Le antiche colte nazioni, o sia che fossero più religiose di
noi, o che in paragone dell'altre stimassero maggiormente se
stesse, fatto si è, che quei loro soggetti, in cui era mista
una forza soprannaturale, esse li reputarono i più atti a
commuovere in teatro. E certamente non si potrà né dire, né
supporre, che una città come Atene, in cui Pirrone e tanti
altri filosofi di ogni setta ed ogni opinione pubblicamente
insegnavano al popolo, fosse più credula e meno spregiudicata
che niuna delle nostre moderne capitali.
Ma comunque ciò fosse, io benissimo so, che quanto piacevano
tali specie di tragedie a quei popoli, altrettanto
dispiacciono ai nostri; e massimamente quando il
soprannaturale si accatta dalla propria nostra officina. Se ad
un così fatto pensare non avessi trovato principalmente
inclinato il mio secolo, io avrei ritratto dalla Bibbia più
altri soggetti di tragedie, che ottimi da ciò mi pareano.
Nessun tema lascia maggior libertà al poeta di innestarvi
poesia descrittiva, fantastica e lirica, senza punto
pregiudicare alla drammaticità e all'effetto; essendo queste
ammissioni o esclusioni una cosa di mera convenzione; poiché
tale espressione, che in bocca di un Romano, di un Greco (e
più ancora in bocca di alcuni dei nostri moderni eroi)
gigantesca parrebbe e forzata, verrà a parer semplice e
naturale in bocca di un eroe di Israele. Ciò nasce dall'aver
noi sempre conosciuti codesti biblici eroi sotto quella sola
scorza, e non mai sotto altra; onde siamo venuti a reputare in
essi natura, quello che in altri reputeremmo affettazione,
falsità e turgidezza.
L'aprire il campo all'immagine, il poter parlare per
similitudini, potere esagerare le passioni coi detti, e
rendere per vie soprannaturali verisimile il falso; tutti
questi possenti aiuti riescono di un grande incentivo al poeta
per fargli intraprendere tragedie di questo genere: ma le
rendono altresì, appunto per questo, più facili assai e
trattarsi; perché con arte e abilità minore il poeta può
colpire assai più, e oltre il diletto, cagionar meraviglia.
Quel poter vagare, bisognando; e il parlar d'altro, senza
abbandonare il soggetto; e il sostituire ai ragionamenti
poesia, e agli effetti il meraviglioso; era questo un gran
campo da cui gli antichi poeti raccoglievano con minor fatica
più gloria. Ma il nostro secolo, niente poetico, e tanto
ragionatore, non vuole queste bellezze in teatro,
ogniqualvolta non siano elle necessarie ed utili, e parte
integrante della cosa stessa.
Saul, ammessa da noi la fatal punizione di Dio per aver egli
disobbedito ai sacerdoti, si mostra, per quanto a me pare,
quale essere dovea. Ma per chi anche non ammettesse questa
mano di Dio vendicatrice aggravata sovr'esso, basterà
l'osservare, che Saul credendo d'essersi meritata l'ira di
Dio, per questa sola stia opinione fortemente concepita e
creduta, potea egli benissimo cadere in questo stato di
turbazione, che lo rende non meno degno di pietà che di
meraviglia.
David, amabile e prode giovinetto, credo che in questa
tragedia, potendovi egli sviluppare principalmente la sua
natia bontà, la compassione ch'egli ha per Saul, l'amore per
Gionata e Micol, ed il suo non finto rispetto per i sacerdoti,
e la sua magnanima fidanza in Dio solo; io credo che da questo
tutto ne venga David a riuscire un personaggio a un tempo
commoventissimo e meraviglioso.
Micol, è una tenera sposa e una figlia obbediente; né altro
dovea essere.
Gionata ha del soprannaturale forse ancor più che David; ed
egli in questa tragedia ne ha più bisogno, per poter mirare di
buon occhio il giovinetto David, il quale preconizzato re dai
profeti, se non era l'aiuto di Dio, dovea parere a Gionata
piuttosto un rivale nemico, che non un fratello. L'effetto che
risulta in lui da questa specie di amore inspirato e dalla sua
totale rassegnazione al volere divino, parmi che sia di
renderlo affettuosissimo in tutti i suoi detti al padre, alla
sorella, e al cognato; e ammirabilissimo, senza
inverisimiglianza, agli spettatori.
Abner, è un ministro guerriero, più amico che servo a Saulle;
quindi a me non par vile, benché esecutore talora dei suoi
crudeli comandi.
Achimelèch è introdotto qui, non per altro, se non per avervi
un sacerdote, che sviluppasse la parte minacciante e irritata
di Dio, mentre che David non ne sviluppa che la parte pietosa.
Questo personaggio potrà da taluno, e non senza ragione, esser
tacciato d'inutile. Né io dirò che necessario egli sia,
potendo benissimo stare la tragedia senz'esso. Ma credo che
questa tragedia non si abbia intieramente a giudicare come
l'altre, con le semplici regole dell'arte; ed io primo
confesso, che ella non regge a un tale esame severo.
Giudicandola assai più sulla impressione che se ne riceverà,
che non sulla ragione che ciascheduno potrà chiedere a se
stesso della impressione ricevuta, io stimo che si verrà così
a fare ad un tempo e la lode e la critica del soprannaturale
adoprato in teatro.
Tutta la parte lirica di David nel terz'atto, siccome
probabilmente l'attore (quando ne avremo) non sarà musico, non
è già necessario che ella venga cantata per ottenere il suo
effetto. Io credo, che se un'arpa eccellente farà ad ogni
stanza degli ottimi preludi esprimenti ed imitanti il diverso
affetto che David si propone destare nell'animo di Saul,
l'attore dopo un tal preludio potrà semplicemente recitare i
suoi versi lirici; ed in questi gli sarà allora concesso di
pigliare quella armoniosa intuonazione tra il canto e la
recita, che di sommo diletto ci riesce allorquando sentiamo
ben porgere alcuna buona poesia da quei pochissimi che
intendendola, invasandosene, non la leggendo e non la
cantando, ce la sanno pur fare penetrar dolcemente per gli
orecchi nel cuore. Se questo David sarà dunque mai qual dev'essere
un attore perfetto, egli conoscerà oltre l'arte della recita,
anche quella del porger versi; e s'io non mi lusingo, questi
versi lirici in tal modo presentati, e interrotti dall'arpa
maestra nascosta fra le scene, verranno a destare nel cuore
degli spettatori un non minore effetto che nel cuore di
Saulle.
Quanto alla condotta, il quart'atto è il più debole, e il più
vuoto, di questa tragedia. L'effetto rapido e sommamente
funesto della catastrofe, crederei che dovesse riuscire molto
teatrale.
In questa tragedia l'autore ha sviluppato, o spinta assai più
oltre che nell'altre sue, quella perplessità del cuore umano,
così magica per l'effetto; per cui un uomo appassionato di due
passioni fra loro contrarie, a vicenda vuole e disvuole una
cosa stessa. Questa perplessità è uno dei maggiori segreti per
generare commozione e sospensione in teatro. L'autore forse
per la natura sua poco perplessa, non intendeva questa parte
nelle prime sue tragedie, e non abbastanza ha saputo valersene
nelle seguenti, fino a questa, in cui l'ha adoprata per quanto
era possibile in lui. Ed anche, per questa parte, Saul mi pare
molto più dottamente colorito, che tutti gli eroi precedenti.
Nei suoi lucidi intervalli, ora agitato dall'invidia e
sospetto contro David, ora dall'amor della figlia per il
genero; ora irritato contro ai sacerdoti, or penetrato e
compunto di timore e di rispetto per Iddio, fra le orribili
tempeste della travagliata sua mente, e dell'esacerbato ed
oppresso suo cuore, o sia egli pietoso, o feroce, non riesce
pur mai né disprezzabile, né odioso.
Con tutto ciò un re vinto, che uccide di propria mano se
stesso per non essere ucciso dai soprastanti vincitori, è un
accidente compassionevole sì, ma per quest'ultima impressione
che lascia nel cuore degli spettatori, è un accidente assai
meno tragico che ogni altro dall'autore finora trattato. |