CRITICA: L'ARCADIA E IL METASTASIO

 LA "DIDONE ABBANDONATA"

 AUTORE: Francesco De Sanctis    TRATTO DA: Storia della letteratura italiana

 

Prendiamo il primo suo dramma, la Didone. Volea fare una tragedia. Studiò l'argomento in Virgilio, e più in Ovidio. Ma andate a fare una tragedia con quell'uomo e con quella società. Non capiva che a quella società e a lui stesso mancava la stoffa da cui può uscire una tragedia. Fare una tragedia con la Bulgarelli consigliera, con maestro Porpora direttore, con quel Sarro compositore, e col pubblico dell'Angelica e degli Orti Esperidi, e in presenza della sua anima elegiaca, idillica, melodica, impressionabile e superficiale, come il suo pubblico! Ne uscì non una tragedia, che sarebbe stata una pedanteria nata morta, ma un capolavoro, tutto caldo della vita che era in lui e intorno a lui, e che anche oggi si legge con avidità da un capo all'altro. La Didone virgiliana è sfumata. Le reminiscenze classiche sono soverchiate da impressioni fresche e contemporanee. Sotto nome di Didone qui vedi l'Armida del Tasso, messa in musica. La donna olimpica e paradisiaca cede il posto alla donna terrena, come l'ha abbozzata il Tasso in questa tra le sue creature la più popolare, dalla quale scappan fuori i più vari e concitati moti della passione femminile, le sue smanie e le sue furie. Ma è un'Armida col commento della Bulgarelli, alla cui ispirazione appartengono i movimenti comici penetrati in questa natura appassionata, com'è nella scena della gelosia, applauditissima alla rappresentazione. Una Didone così fatta non ha niente di classico, qui non ci è Virgilio, e non Sofocle: tutto è vivo, tutto è contemporaneo. La passione non ha semplicità e non ha misura, e nella sua violenza rompe ogni freno, perde ogni decoro. Se in Didone fosse eminente il patriottismo, il pudore, la dignità di regina, l'amore de' suoi, la pietà verso gl'iddii, se in lei fosse più accentuata l'eroina, il contrasto sarebbe drammatico, altamente tragico. Ma l'eroina c'è a parole, e la donna è tutto: la passione, unica dominatrice, diviene come una pazzia del cuore, cinica e sfrontata sino al grottesco, e scende dritta la scala della vita sino alle più basse regioni della commedia. AI buon Pindemonte dànno fastidio alcuni tratti comici, e non vede che sotto forme tragiche la situazione è sostanzialmente comica, sicché, se in ultimo Enea si potesse rappattumare con l'amata, sarebbe il dramma con lievi mutazioni una vera commedia. E non già una commedia costruita artificialmente, ma colta dal vero, perché è la donna come poteva essere concepita in quel tempo, ispirata dalla Bulgarelli e da quel pubblico nell'anima conforme del poeta, e contro le sue intenzioni, e senza sua coscienza. A Metastasio, che voleva fare una tragedia, dire che aveva partorito una commedia in forma tragica, sarebbe stato come dire una bestemmia. Il comico è in quei sì e no della passione, in quei movimenti subitanei, irrefrenabili, che scoppiano improvvisi e contro l'aspettazione, nell'irragionevole spinto sino all'assurdo, negl'intrighi e nelle scaltrezze, di bassa lega, piú da donnetta che da regina, e tutto così a proposito, così naturale, con tanta vivacità, che il pubblico ride e applaude, come volesse dire: - E vero -. Fu per il poeta un trionfo. Alcuni motti rimasero proverbiali, come:

 

Temerario! Ch'ei venga!


quando allora allora avea detto:

 

Mai più non mi vedrà Quell'alma rea.


O come:

 

Passato é il tempo, Enea,
Che Dido a te pensò



La sua sortita contro Arbace, quasi nello stesso punto che gli aveva promessa la sua mano, quel cacciar via da sé Osmida e Selene nella cecità del suo furore, le sue credulità, le sue dissimulazioni, le sue astuzie, tutto ciò è tanto più, comico, quanto è meno intenzionale, contemperato co' moti più variati di un'anima impressionabile e subitanea, sdegni che son tenerezze, e minacce che sono carezze. C'è della Lisetta e della Colombina sotto quel regio manto. E tutto il quadro è conforme. Iarba con le sue vanterie e le sue pose rasenta il bravo della commedia popolare; Selene, ch'è l'«Anna, soror mea», rappresenta la parte della «patita» con molta insipidezza; e il pio Enea nella sua parte di amoroso attinge il più alto comico, massime quando Didone lo costringe a tenerle la candela. Il nodo stesso dell'azione ha l'aria di un intrigo di bassa commedia, co' suoi equivoci e i suoi incontri fortuiti.
La Didone fece il giro de' teatri italiani. E dappertutto piacque. Metastasio indovinava il suo pubblico e trovava sé stesso. Quel suo dramma a superficie tragica, a fondo comico, coglieva la vita italiana nel più intimo, quel suo contrasto tra il grandioso del di fuori e la vacuità del di dentro. Il tragico non era elevazione dell'anima, ma una semplice fonte del maraviglioso, così piacevole alla plebe, come incendi, duelli, suicidi. Il comico riconduceva quelle magnifiche apparenze di una vita fantastica nella prosaica e volgare realtà, piccoli intrighi, amori pettegoli, stizze, braverie. Concordare elementi così disparati, fondere insieme fantastico e reale, tragico e comico, sembra poco meno che impossibile: pure qui è fatto con una facilità piena di brio e senz'alcuna coscienza, com'è la vita nella sua spontaneità. L'illusione è perfetta. Una vita così fatta pare un'assurdità: pure è là, fresca, giovane, vivace, armonica, e t'investe e ti trascina. Il povero Metastasio, inconscio del grande miracolo, si difendeva con Aristotile e con Orazio: alle vecchie critiche si aggiunsero le nuove; oggi la ragione e l'estetica condannano quella vita, come convenzionale e incoerente. Ma essa è là, nella stia giovanezza immortale, e le basta rispondere: - Io vivo -. E se l'estetica non l'intende, tanto peggio per l'estetica.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis