Il Metastasio, chiamato da un'improvvisa fama ad essere il
poeta per antonomasia del secolo, dovette sentire questa
oscura necessità di suggellare nella sua opera lo spirito di
velleità eroica del suo popolo arcade nel sentimento, ozioso e
mediocre nella pratica quotidiana.
La tradizione letteraria italiana degli ultimi due secoli
segnava una via: altri poeti (Tasso, per esempio) si erano
straniati dal proprio centro lirico, per costruire un inondo
eroico (o religioso) ad uso e lusinga di una società poco
eroica (o poco religiosa), giacché l'arte celebratoria epica,
solenne è stata sempre la sublime debolezza del letterato
italiano. E la critica, che ha il vezzo di imporre ai docili e
lusingati poeti il contenuto della propria poesia, non ha
mancato di eccitare e regolare l'attività degli artisti,
accarezzando programmi ispirati ad alti sensi e pieni d'onestate.
Il Metastasio fu docile all'appello, tacito o espresso, della
critica; l'eroismo, dall'impalcatura dell'epica, passava sulle
scene. L'eroe, che presentivamo già nell'Enea della Didone,
vestirà nei drammi posteriori una uniforme più corretta e più
dignitosa; i critici, oltre che il pubblico, applaudiranno. Il
poeta sarà incoraggiato nella sua impresa artistica, finché
farà lo stremo della sua forza creativa con l'Attilio Regolo,
che, al dire di una critica più che secolare, sarebbe il
capolavoro del Metastasio...
L'eroismo per il Metastasio è come una categoria ideale che
vale rigidamente per sé, come un oggetto che viva fuori del
soggetto. E l'eroismo astratto, fuori degli individui; e
appunto perché astratto, è convenzionale, e di una
convenzionalità tutta settecentesca. È ovvio che l'eroismo,
anche se lo si contempli nelle note astratte che conchiude in
sé, non appena però viene calato nella vita, nella realtà, si
atteggia diversamente secondo la qualità fantastica di questo
o quel popolo, di questa o quella società che lo idoleggia.
L'eroismo, calato nella realtà della vita settecentesca, si
scompagina nella sua rigidità meccanica, penetrandosi del
soffio dell'umanità circostante...
Potremmo distinguere, se mai, per comodo didascalico, i drammi
in: eroici-sentimentali, semplicemente eroici, semplicemente
sentimentali. Per i primi, intenderemo quelli in cui il
protagonsita è esitante tra il suo ufficio di eroe e la sua
passione di uomo del secolo decimottavo; per i secondi, quelli
in cui l'azione è imperniata attorno ad un eroe che ha
superato le debolezze dell'anima settecentesca (l'amore), ed è
rimasto con un delirio di eroismo ad ogni costo in corpo; per
i terzi, quelli in cui il fondo è costituito in buona parte da
intrecci e scene patetiche di amore. S'intende, che con questa
divisione che ha solo valore didascalico, noi non vogliamo
precluderci la via alle contaminazioni, ai ravvicinamenti dei
drammi di questa o quella serie; mi pare anzi che nel caso di
Metastasio, non sia opportuno volersi fissare su una singola
opera o su un gruppo isolato di opere, poiché bisognerà
rintracciare la parte vitale della sua arte, dove essa
risplende in una parte più e meno altrove, rapsodicamente.
E, d'altra parte, sarebbe inutile un'analisi ripetuta e
staccata di tutti i drammi, poiché il critico condannerebbe sé
stesso ad una monotonia di giudizi, parallela alla monotonia e
alla uniformità artistica dell'opera dell'autore? Poiché il
Metastasio calca con un compiacimento pigro di artista la sua
arte; ha innanzi a sé un modello trigemino, che sfaccetta
insistentemente: ora drammatizza un suo stato d'animo flebile
e soave, ora complica questo stato d'animo patetico-amoroso
con sovrapposizioni eroiche, e ora si scardina dal suo centro
sentimentale per congegnare pacatamente l'eroe puro,
presentandolo in una forma decorosa e teatrale. Nel primo caso
abbiamo i drammi pieni del genio amoroso della sua anima, la
Didone, l'Issipile, il Demetrio, l'Olimpiade, il Demofoonte;
nel secondo, per non abbondare in citazioni, abbiamo l'Adriano
in Siria, e l'Achille in Sciro; nel terzo, Catone, La clemenza
di Tito, Temistocle, Attilio Regolo, e qualche dramma sacro.
È curioso, ma non strano, il favore accademico concesso dalla
critica agli ultimi drammi citati; la costruzione corretta e
decorosa, il garbo dell'insieme, la linea più serrata dello
svolgimento, ci fanno ripetere volentieri che La clemenza di
Tito, Temistocle, Attilio Regolo sono tra i migliori drammi
metastasiani. Migliori certamente, aggiungiamo noi, quando ci
si collochi dal punto di vista del letterato italiano, che ama
il decoro della forma, la facies honesta, la togata serietà
del contenuto; ma non esitiamo a dire che la vita
settecentesca vibra in tutta la sua umanità, senza
deformazioni e senza accrescimenti, meglio nei drammi che noi
abbiamo chiamato sentimentali, che in altri. Non ci offendano
quegli amori femminei, quei languori, quelle flebili cantilene
della passione idillica: il genio del poeta è lì, nella musica
di quelle arie di sdegno, di congedo, di promesse di fede e di
rinunzie di amore. Gli eroi, tali quali volgarmente li
drammatizzava il Metastasio, esistevano nella fiacca
immaginazione, mai nella realtà spirituale del poeta; lo
stesso pubblico d'allora ammirava un po' a freddo i Titi e gli
Attili Regoli, e i critici ufficiali ne dicevano mirabilia,
più per dovere di moralisti e per civico ossequio che per
impulso di schietti ammiratori pieni di abbandono. |