CRITICA: L'ARCADIA E IL METASTASIO

 METASTASIO POETA GALANTE NON EROICO

 AUTORE: Luigi Russo    TRATTO DA: Metastasio

 

Il Metastasio, chiamato da un'improvvisa fama ad essere il poeta per antonomasia del secolo, dovette sentire questa oscura necessità di suggellare nella sua opera lo spirito di velleità eroica del suo popolo arcade nel sentimento, ozioso e mediocre nella pratica quotidiana.
La tradizione letteraria italiana degli ultimi due secoli segnava una via: altri poeti (Tasso, per esempio) si erano straniati dal proprio centro lirico, per costruire un inondo eroico (o religioso) ad uso e lusinga di una società poco eroica (o poco religiosa), giacché l'arte celebratoria epica, solenne è stata sempre la sublime debolezza del letterato italiano. E la critica, che ha il vezzo di imporre ai docili e lusingati poeti il contenuto della propria poesia, non ha mancato di eccitare e regolare l'attività degli artisti, accarezzando programmi ispirati ad alti sensi e pieni d'onestate.
Il Metastasio fu docile all'appello, tacito o espresso, della critica; l'eroismo, dall'impalcatura dell'epica, passava sulle scene. L'eroe, che presentivamo già nell'Enea della Didone, vestirà nei drammi posteriori una uniforme più corretta e più dignitosa; i critici, oltre che il pubblico, applaudiranno. Il poeta sarà incoraggiato nella sua impresa artistica, finché farà lo stremo della sua forza creativa con l'Attilio Regolo, che, al dire di una critica più che secolare, sarebbe il capolavoro del Metastasio...

L'eroismo per il Metastasio è come una categoria ideale che vale rigidamente per sé, come un oggetto che viva fuori del soggetto. E l'eroismo astratto, fuori degli individui; e appunto perché astratto, è convenzionale, e di una convenzionalità tutta settecentesca. È ovvio che l'eroismo, anche se lo si contempli nelle note astratte che conchiude in sé, non appena però viene calato nella vita, nella realtà, si atteggia diversamente secondo la qualità fantastica di questo o quel popolo, di questa o quella società che lo idoleggia. L'eroismo, calato nella realtà della vita settecentesca, si scompagina nella sua rigidità meccanica, penetrandosi del soffio dell'umanità circostante...

Potremmo distinguere, se mai, per comodo didascalico, i drammi in: eroici-sentimentali, semplicemente eroici, semplicemente sentimentali. Per i primi, intenderemo quelli in cui il protagonsita è esitante tra il suo ufficio di eroe e la sua passione di uomo del secolo decimottavo; per i secondi, quelli in cui l'azione è imperniata attorno ad un eroe che ha superato le debolezze dell'anima settecentesca (l'amore), ed è rimasto con un delirio di eroismo ad ogni costo in corpo; per i terzi, quelli in cui il fondo è costituito in buona parte da intrecci e scene patetiche di amore. S'intende, che con questa divisione che ha solo valore didascalico, noi non vogliamo precluderci la via alle contaminazioni, ai ravvicinamenti dei drammi di questa o quella serie; mi pare anzi che nel caso di Metastasio, non sia opportuno volersi fissare su una singola opera o su un gruppo isolato di opere, poiché bisognerà rintracciare la parte vitale della sua arte, dove essa risplende in una parte più e meno altrove, rapsodicamente.

E, d'altra parte, sarebbe inutile un'analisi ripetuta e staccata di tutti i drammi, poiché il critico condannerebbe sé stesso ad una monotonia di giudizi, parallela alla monotonia e alla uniformità artistica dell'opera dell'autore? Poiché il Metastasio calca con un compiacimento pigro di artista la sua arte; ha innanzi a sé un modello trigemino, che sfaccetta insistentemente: ora drammatizza un suo stato d'animo flebile e soave, ora complica questo stato d'animo patetico-amoroso con sovrapposizioni eroiche, e ora si scardina dal suo centro sentimentale per congegnare pacatamente l'eroe puro, presentandolo in una forma decorosa e teatrale. Nel primo caso abbiamo i drammi pieni del genio amoroso della sua anima, la Didone, l'Issipile, il Demetrio, l'Olimpiade, il Demofoonte; nel secondo, per non abbondare in citazioni, abbiamo l'Adriano in Siria, e l'Achille in Sciro; nel terzo, Catone, La clemenza di Tito, Temistocle, Attilio Regolo, e qualche dramma sacro.
È curioso, ma non strano, il favore accademico concesso dalla critica agli ultimi drammi citati; la costruzione corretta e decorosa, il garbo dell'insieme, la linea più serrata dello svolgimento, ci fanno ripetere volentieri che La clemenza di Tito, Temistocle, Attilio Regolo sono tra i migliori drammi metastasiani. Migliori certamente, aggiungiamo noi, quando ci si collochi dal punto di vista del letterato italiano, che ama il decoro della forma, la facies honesta, la togata serietà del contenuto; ma non esitiamo a dire che la vita settecentesca vibra in tutta la sua umanità, senza deformazioni e senza accrescimenti, meglio nei drammi che noi abbiamo chiamato sentimentali, che in altri. Non ci offendano quegli amori femminei, quei languori, quelle flebili cantilene della passione idillica: il genio del poeta è lì, nella musica di quelle arie di sdegno, di congedo, di promesse di fede e di rinunzie di amore. Gli eroi, tali quali volgarmente li drammatizzava il Metastasio, esistevano nella fiacca immaginazione, mai nella realtà spirituale del poeta; lo stesso pubblico d'allora ammirava un po' a freddo i Titi e gli Attili Regoli, e i critici ufficiali ne dicevano mirabilia, più per dovere di moralisti e per civico ossequio che per impulso di schietti ammiratori pieni di abbandono.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis