Se l'Attilio Regolo parve all'autore vicino al suo cuore e
alla sua ispirazione, la profondità della partecipazione
estetica e sentimentale di lui all'Olimpiade, come alla più
perfetta, alla più metastasiana delle opere, ci è dimostrato
dal sonetto Sogni e favole io fingo..., nel quale il poeta
riflette sulla sua poesia, quasi sorpreso e ammirato della
propria tenera partecipazione. La trama, che pur ricorda il
Pastor Fido e certi spunti ariosteschi, si piega, nella sua
favolosa assurdità, a sostenere, a secondare questa tenera
analisi dell'affetto, dell'amicizia, dell'amore, della
galanteria e della infedeltà.
Sin dalle prime scene, il racconto è connesso con questa
possibilità di tradurre in termini poetici l'analisi
psicologica, di farne motivo e ispirazione della poesia. Nella
scena III dell'atto I, la gioia di Licida, che aspetta
impaziente il suo amico, si scompone e insieme si crea proprio
in questa : coscienza di se stessa e in questa analisi
psicologica: «E si forma una gioia presente del pensiero che
lieta sarà». Nella scena IV dell'atto I ritroviamo un
rapporto, stabilito nel giro di una sottigliezza psicologica e
di un confronto fra i personaggi e i sentimenti: «Il mio dolor
seduci raddolcisci se puoi / i miei tormenti in rammentando i
tuoi...» Vi è una coscienza analitica, del sentimento, una
chiarezza interna dei suoi passaggi e dei suoi processi: per
questo, in questa scena IV dell'atto I, il colloquio tra
Argene e Aristea scompone e contrappone le situazioni e i
personaggi. Come talvolta, per esempio nel Demofoonte, c'era
stato un richiamo inopportuno a massime o a pensieri di
carattere generale, così massime sulle donne, teorie sulla
infedeltà, si alternano in questo I atto. Argene, nella scena
VII si lamenta della diffusa infedeltà umana, e Clistene,
nella V, sermoneggia sulle donne e sulla loro condizione:
massime e situazioni, che altre volte stonano, trovano qui il
loro posto, e servono di sfondo. L'arietta di Argene sulla
infedeltà è parte del rapporto tra lei e l'infedele Licida,
allo stesso modo che le parole di Clistene contribuiscono a
dare complessità e intrico alla trama. Aristea rifiuta il
matrimonio perché innamorata di Megacle; il padre crede che vi
sia in questo rifiuto un atteggiamento comune a tutte le
donne, una forma di incertezza femminile: così in questo
equivoco, la trama ha un suo più complesso svolgimento. Argene,
meglio di Aristea, rappresenta quel personaggio metastasiano
che abbiamo incontrato in Sabina, in Creusa e, entro certi
limiti, anche in Didone: sa scomporre e analizzare una
situazione, usando nella scena VII, un tono di dramma, anzi di
tragicommedia pastorale: questo sfondo leggermente ironico e
malizioso, non toglie valore alle scene più intensamente
patetiche e sentimentali, anzi contribuisce a immergere tutto
il dramma in un tono di sensibilità, dove l'amore appare come
in una gradazione e in una serie di momenti e di sfumature,
dalla passione di Aristea, che non conosce altra legge se non
quella di se stessa, al contrasto tra onore, amicizia ed
amore, nel cuore di Megacle, alla leggerezza sensuale di
Licida, alla malizia, alla tenerezza e al dispetto di Argene...
Nella scena X dell'atto Il, Megacle, salutando Licida,
l'incarica di un messaggio di amore per Aristea:
apparentemente l'arietta, come tante altre del Metastasio, è
appoggiata a un sostegno logico, ma la pronta flessibilità di
questa ispirazione è proprio in questo sottile gioco
intellettuale, in questa riflessione analitica sciolta nella
tenerezza. Come in altre ariette, anche in questa il se è un
punto di appoggio, un elemento di questo processo poetico: vi
è una supposizione logica in quel se ripetuto con insistenza,
e, d'altra parte, un riferirsi a una serie di fatti e di
azioni: vi è un processo interno di drammatizzazione, e
soprattutto la capacità di raccogliere in questi singoli
elementi e momenti la proiezione di un sentimento. «Se cerca,
se dice: / L'amico d'ov'è? /L'amico infelice; Rispondi, morì».
In dodici brevi versi vi è la sintesi insieme di un lungo
racconto e di una serie di sentimenti, accompagnati dal
commento lirico. Il Metastasio dimostra in questo una grande
facoltà di analisi, e insieme una non comune capacità di
scorciare e di esprimere, attraverso un taglio del quale
conosceva il segreto, una parte dell'anima umana e dei suoi
moti. Una poesia come questa, anche se ha un intenso valore
lirico, non poteva non nascere e non essere alimentata da un
interesse teatrale, e non accompagnarsi all'immagine dei
personaggi.
In questo melodramma, che è tra i più felici dell'autore,
anche i personaggi minori sono meglio disegnati; Aminta e
Clistene hanno qualcosa di malinconico e di pensoso; questa
vena di mestizia serve a dare un significato più sensibile, e
come una minaccia più vasta del destino anche alle situazioni
più particolari. Un alone di malinconia sfuma e circonda il
disegno, altrimenti troppo scarno c troppo netto. Aminta, nel
suo soliloquio, e il re Clistene dinanzi alla morte che
minaccia Megacle e Licida, riflettono sul dolore che
accompagna l'umanità, e allargano il tono malinconico di tutta
l'opera. |