CRITICA: L'ARCADIA E IL METASTASIO

 L' "OLIMPIADE"

 AUTORE: Claudio Varese    TRATTO DA: Saggio sul Metastasio

 

Se l'Attilio Regolo parve all'autore vicino al suo cuore e alla sua ispirazione, la profondità della partecipazione estetica e sentimentale di lui all'Olimpiade, come alla più perfetta, alla più metastasiana delle opere, ci è dimostrato dal sonetto Sogni e favole io fingo..., nel quale il poeta riflette sulla sua poesia, quasi sorpreso e ammirato della propria tenera partecipazione. La trama, che pur ricorda il Pastor Fido e certi spunti ariosteschi, si piega, nella sua favolosa assurdità, a sostenere, a secondare questa tenera analisi dell'affetto, dell'amicizia, dell'amore, della galanteria e della infedeltà.

Sin dalle prime scene, il racconto è connesso con questa possibilità di tradurre in termini poetici l'analisi psicologica, di farne motivo e ispirazione della poesia. Nella scena III dell'atto I, la gioia di Licida, che aspetta impaziente il suo amico, si scompone e insieme si crea proprio in questa : coscienza di se stessa e in questa analisi psicologica: «E si forma una gioia presente del pensiero che lieta sarà». Nella scena IV dell'atto I ritroviamo un rapporto, stabilito nel giro di una sottigliezza psicologica e di un confronto fra i personaggi e i sentimenti: «Il mio dolor seduci raddolcisci se puoi / i miei tormenti in rammentando i tuoi...» Vi è una coscienza analitica, del sentimento, una chiarezza interna dei suoi passaggi e dei suoi processi: per questo, in questa scena IV dell'atto I, il colloquio tra Argene e Aristea scompone e contrappone le situazioni e i personaggi. Come talvolta, per esempio nel Demofoonte, c'era stato un richiamo inopportuno a massime o a pensieri di carattere generale, così massime sulle donne, teorie sulla infedeltà, si alternano in questo I atto. Argene, nella scena VII si lamenta della diffusa infedeltà umana, e Clistene, nella V, sermoneggia sulle donne e sulla loro condizione: massime e situazioni, che altre volte stonano, trovano qui il loro posto, e servono di sfondo. L'arietta di Argene sulla infedeltà è parte del rapporto tra lei e l'infedele Licida, allo stesso modo che le parole di Clistene contribuiscono a dare complessità e intrico alla trama. Aristea rifiuta il matrimonio perché innamorata di Megacle; il padre crede che vi sia in questo rifiuto un atteggiamento comune a tutte le donne, una forma di incertezza femminile: così in questo equivoco, la trama ha un suo più complesso svolgimento. Argene, meglio di Aristea, rappresenta quel personaggio metastasiano che abbiamo incontrato in Sabina, in Creusa e, entro certi limiti, anche in Didone: sa scomporre e analizzare una situazione, usando nella scena VII, un tono di dramma, anzi di tragicommedia pastorale: questo sfondo leggermente ironico e malizioso, non toglie valore alle scene più intensamente patetiche e sentimentali, anzi contribuisce a immergere tutto il dramma in un tono di sensibilità, dove l'amore appare come in una gradazione e in una serie di momenti e di sfumature, dalla passione di Aristea, che non conosce altra legge se non quella di se stessa, al contrasto tra onore, amicizia ed amore, nel cuore di Megacle, alla leggerezza sensuale di Licida, alla malizia, alla tenerezza e al dispetto di Argene...

Nella scena X dell'atto Il, Megacle, salutando Licida, l'incarica di un messaggio di amore per Aristea: apparentemente l'arietta, come tante altre del Metastasio, è appoggiata a un sostegno logico, ma la pronta flessibilità di questa ispirazione è proprio in questo sottile gioco intellettuale, in questa riflessione analitica sciolta nella tenerezza. Come in altre ariette, anche in questa il se è un punto di appoggio, un elemento di questo processo poetico: vi è una supposizione logica in quel se ripetuto con insistenza, e, d'altra parte, un riferirsi a una serie di fatti e di azioni: vi è un processo interno di drammatizzazione, e soprattutto la capacità di raccogliere in questi singoli elementi e momenti la proiezione di un sentimento. «Se cerca, se dice: / L'amico d'ov'è? /L'amico infelice; Rispondi, morì». In dodici brevi versi vi è la sintesi insieme di un lungo racconto e di una serie di sentimenti, accompagnati dal commento lirico. Il Metastasio dimostra in questo una grande facoltà di analisi, e insieme una non comune capacità di scorciare e di esprimere, attraverso un taglio del quale conosceva il segreto, una parte dell'anima umana e dei suoi moti. Una poesia come questa, anche se ha un intenso valore lirico, non poteva non nascere e non essere alimentata da un interesse teatrale, e non accompagnarsi all'immagine dei personaggi.
In questo melodramma, che è tra i più felici dell'autore, anche i personaggi minori sono meglio disegnati; Aminta e Clistene hanno qualcosa di malinconico e di pensoso; questa vena di mestizia serve a dare un significato più sensibile, e come una minaccia più vasta del destino anche alle situazioni più particolari. Un alone di malinconia sfuma e circonda il disegno, altrimenti troppo scarno c troppo netto. Aminta, nel suo soliloquio, e il re Clistene dinanzi alla morte che minaccia Megacle e Licida, riflettono sul dolore che accompagna l'umanità, e allargano il tono malinconico di tutta l'opera.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis