CRITICA: LUDOVICO ARIOSTO

 IL GUSTO DEL PARTICOLARE NELL'ARIOSTO

 AUTORE: Antonio Conti    TRATTO DA: Prose e poesie

 

L'Ariosto ha imitato Omero, prendendo un soggetto per se stesso appassionato, qual era il furore di Orlando. Egli ne fa cagione una bellezza amata universalmente da tutto ciò che v'era di più illustre nell'esercito de' Cristiani e de' Mori, e che colla bellezza ha forza di trattenere qualche tempo la sospesa ferocia del popolo d'Ebuda, e di commover Ruggero tanto fedele a Bradamante, non meno che i divoti Eremiti. Una cagione così efficace, per cui aveva fatto Orlando tanti viaggi, mette della compassione per lui, cui i suoi lamenti e i suoi sogni vanno insensibilmente accrescendo, fin che al fine non cercando che d'ostare al suo destino, lo ritrova nel riconoscimento d'aver perduta ogni speranza, per essersi ella abbandonata a Medoro. Impazzisce, e più compassionevole è la sua pazzia, per la quale un Uomo sì saggio e generoso fa cose così vili e ridicole. Ma questa passione nata solamente per amore non interessa vivamente se non coloro, che sono presso poco nel caso d'Orlando; non è una passione universale, che interessa, come quelle introdotte da Virgilio e da Omero. Il furor di Didone mi commove infinitamente più, e il furor d'Achille per la morte di Patroclo, che la pazzia d'Orlando, in quella guisa che appunto infinitamente mi move il dolor dello stesso Orlando per Brandimarte. Compassionevole è assai la morte di Zerbino tra le braccia d'Isabella, l'abbandono d'Olimpia, la condannagione di Ginevra, e tutto il caso di Ruggero allora ch'egli è impedito di sposar Bradamante. Ma tutte queste cose sono estrinseche al furor d'Orlando, né vi si rapportano, né come parti, né come episodj tratti dalle circostanze dello stesso suggetto...

Merita tutta la lode l'Ariosto d'aver estesa la potenza delle Fate; perché nel suo tempo il popolo così credeva; e di non aver dato alle spade, agli elmi, alle corazze, agli scudi, malgrado tutta la loro fatatura, se non le qualità che loro convenivano, come di tagliar altre spade. Fa consister in oltre la più parte degli incanti in illusioni che poi si discoprono. Ma quel ch'è più bello, tutto questo sistema d'incanti svanisce a proporzione che s'accosta al fine: Ruggero getta nel pozzo lo scudo, Angelica porta in India l'anello; l'elmo d'Ettore svanisce con Ferraù, Balisarda si perde con Gradasso ecc. Ma poi l'Ariosto non si può lodare in quest'altra parte: dà somma forza a Gradasso, a Ruggero, a Rodomonte. Se egli a proporzione l'accrescesse in Orlando, sino ad un grado competente ad un Uomo, come fa Omero e Virgilio, non vi sarebbe inconveniente; ma dargli una forza che più tira in una scossa che un argano in dieci, che può maneggiar un'ancora come un remo, ed entrato nella bocca di un'orca in un battello, attaccargliela al palato e alla lingua, questo è qualche cosa di più, che prender con le mani un Eremita nel collo, raggirarlo due o tre volte in aria, e scagliarlo nel mare. Tutta la grazia del comico, con cui procura di rimediar a tali inconvenienti, non lo giustifica appieno. Perché chi l'obbligava ad unire in un'opera sola coll'eroico e col tragico il comico, e talvolta un comico basso ed osceno, che lo stesso Gravina, grande ammiratore dell'Ariosto, non ha potuto scusare con tutta la buona intenzione che aveva in suo favore? Pare che Orazio avesse in vista l'Ariosto allorché nella sua Poetica scrisse: « Spesso a' gravi principi e che promettono gran cose innesta parte di un panno risplendente, mentre o il bosco o l'altare di Diana, o il giro di un ruscello che scorra per campi ameni, o il fiume Reno vi descrive, o l'arco piovoso. Non era questo il luogo opportuno: forse tu sai dipinger un rivo, un cipresso: ma ciò, che giova se dei dipingere un naufrago disperato? Al girar della ruota incominciansi un'anfora, e al fine esce un orciolo. Sia dunque semplice ed uno ciò che fai ». E più abbasso egli dice: « Chi desidera con portentosa varietà trasformar un corpo, dipinge tra boschi il delfino e il cinghiale tra l'onde. L'ultimo fabbro del Circo Emilio sa vivamente imitare nel bronzo l'unghie e i capelli molli, ma è poscia infelice nell'opra intiera, perché ci non sa unire il tutto. Io non torrei più di esser tale quando mi dessi a comporre, che vivere con un naso diforme, lodato per occhi neri, e neri capelli ». Ho trascritto tutto intero questo passo perché si vegga, se le novelle di Giocondo, del Cagnolino, della Maga, della coppa incantata, non rassomigliano al fiume, all'iride, al ruscello, al cipresso, al delfino d'Orazio; e se tutte le parti dell'Ariosto egregie, come l'unghie e i capelli scolpiti nel bronzo, non compongano poi un tutto per la loro eterogeneità molto diforme, almeno se si giudica della Poesia secondo i principi d'Orazio e d'Aristotele, approvati da tutte le Nazioni, come fondati sulla convenienza, la sola ed universal regola della Poesia. Ben se n'è accorto il Tasso, e con meno fantasia ed ingegno dell'Ariosto, meno se si vuole di felicità nell'armonia del verso, e nella leggiadria dell'imagini, ha fatto un tutto regolarissimo, perché composto di parti tra loro né contrarie né eterogenee, salvo forse quello della donna che viaggia all'isole fortunate. Se si compari la fuga d'Angelica a quella d'Erminia, i funerali di Brandimarte a quelli di Ugone, i tre castelli d'Atlante al giardino, al castello, alla selva d'Armida, il viaggio d'Astolfo alla luna a quello di Carlo e d'Ubaldo al1'isole fortunate; in queste parti si troverà forse da alcuni, per non dir da tutti, superiore l'Ariosto di gran lunga al Tasso; ma si cerchi poi il principio, il mezzo e il fine dell'opera, gli episodi nati dal capriccio o dalle circostanze del fatto, e si vedrà nel Tasso cosa sia la forza architettonica di una mente, che mai non si parte dalle regole della convenienza.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis