CRITICA: LUDOVICO ARIOSTO

 VARIETA' DEL "FURIOSO"

 AUTORE: Voltaire    TRATTO DA: Dictionnaire philosophique

 

Il romanzo dell'Ariosto è sì pieno, sì vario, sì fecondo di bellezze d'ogni maniera, che più d'una volta m'avvenne, dopo lettolo tutto intero, di non avere altro desiderio che ricominciare da capo. Qual è dunque il fascino della poesia naturale! Non ho mai potuto leggere un solo canto di questo poema in una delle nostre traduzioni in prosa.
Quello che soprattutto mi affascina in cotesta opera meravigliosa è che l'autore sempre superiore alla sua materia la tratta scherzando. Dice senza sforzo le cose più sublimi e spesso le termina con tratti di piacevolezza non mai ricercati né fuor di luogo. Cotesto poema è insieme l'Iliade, l'Odissea e il Don Quichotte, perché il cavaliere principale divien matto come l'eroe spagnolo ed è senza paragone più piacevole. Ancora: a Orlando uno s'affeziona, ma nessuno s'interessa a Don Quichotte, il quale è rappresentato come un forsennato a cui tutti fanno delle burle e dei tiri...

Il Furioso ha un merito ignoto a tutta l'antichità, quello degli esordi. Ogni canto è come un palazzo incantato, il cui vestibolo è sempre di gusto differente, ora maestoso, ora semplice, qualche volta anche grottesco. C'è della morale, della gaiezza o della galanteria, sempre della natura e della verità.
Osservate solo l'esordio del quarantaquattresimo canto di questo poema che ne contiene quarantasei, e che non è tuttavia troppo lungo, di questo poema che è tutto in stanze rimate, e che purtuttavia non ha nulla di greve, di questo poema che prova la necessità della rima in tutte le lingue moderne; di questo poema delizioso che scopre soprattutto la sterilità e la grossolanità dei poemi epici barbari, nei quali gli autori si sono scaricati del peso della rima, perché non avevano la forza di sopportarlo; come diceva Pope, e come ha scritto Luigi Raéine che ebbe ragione.
Spesso in poveri alberghi, e in picciol tetti, Nelle calamitadi, e nei disagi, Meglio s'aggiongon d'amicizia i petti, Che fra ricchezze invidiose, ed agi Delle piene d'insidie, e di sospetti Corti regali, e splendidi palagi, Dove la caritade è in tutto estinta; Né si vede amicizia se non finta.

 

Quindi avien che tra principi, e signori
Patti, e convenzion' sono sì frali.
Fan' lega oggi re, papi, imperatori;
Doman saran nemici capitali;
Perché, qual l'apparenze esteriori,
Non hanno i cor, non han gli animi tali,
Ché non mirando al torto, più ch'al dritto
Attendon solamente al lor profitto...


A lui solo fu dato d'andare e venire da queste descrizioni terribili alle più voluttuose pitture e da queste pitture alla più sana morale. E più anche straordinario riesce nell'interessar così vivamente i lettori a' suoi eroi e alle eroine, quanti e quante pur siano. V'ha nel suo poema forse tante storie commoventi quante avventure grottesche; ma il lettore s'abitua così bene a quella screziata varietà, che passa dall'una all'altra senza stupore...

Egli fu il maestro del Tasso. Armida deriva da Alcina. Il viaggio dei due cavalieri che vanno a sottrarre Rinaldo all'incanto, è in tutto imitato dal viaggio di Astolfo. E bisogna ancora confessare che le immagini fantastiche che si trovano così di sovente nell'Orlando furioso, convengono ben di più a questo soggetto misto di serio e di piacevole, che al poema serio del Tasso, il cui soggetto sembrava esigere costumi più severi.
Né voglio passar sotto silenzio un altro merito dell'Ariosto: voglio dire i deliziosi prologhi di tutti i canti.
Altra volta non osai annoverar l'Ariosto tra i poeti epici, e lo considerai soltanto come il primo dei grotteschi; ma rileggendolo l'ho trovato tanto sublime quanto piacevole, e gli faccio umilissima riparazione. È pur vero che il papa Leone X pubblicò in favore dell'Orlando furioso una bolla, e dichiarò scomunicati quelli che avessero detto male di questo poema. Non voglio certo correre il rischio di esser scomunicato.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis