CRITICA: LUDOVICO ARIOSTO

 NATURALEZZA E SERENITA' NEL "FURIOSO"

 AUTORE: Ugo Foscolo    TRATTO DA: Saggio sui poemi narrativi e romanzeschi italiani

 

Nel Furioso la tela sviluppasi di soverchio, e la memoria può appena giovarci nel tener dietro a tante complicazioni sino alla fine. I vari casi non riescono ad una grande catastrofe, né sorgono fuori dalla principale azione del poema. Molti canti potrebbero mettere insieme un'altra opera che stesse da sé, nella quale non troveremmo avventura che avesse la menoma relazione con Orlando furioso o con Parigi assediata. I cavalieri si urtano l'uno coll'altro, e appunto quando chi legge si fa più sollecito d'ascoltare il séguito de' loro casi, e più curioso di saperne la fine, il poeta interrompe d'un tratto e svagasi altrove; e poiché non ripiglia la narrazione interrotta finché il lettore non l'abbia quasi dimenticata, ci ricomincia con alcune ottave le quali ne contengono in breve le più notabili circostanze. Ma rammentiamoci che la consuetudine aveva legittimato un tal metodo, e che il poema cavalleresco era fatto per essere recitato.
L'Ariosto aveva pensato sull'arte e sul gusto de' suoi coetanei, e una lunga esperienza gli aveva giovato. El tenevasi certo del buon effetto del suo poetare poiché, parlando col Pigna di altro poema da sé ideato, gli disse che non si sarebbe partito da quel suo metodo di complicare l'azione principale frapponendovi gran varietà di favole secondarie, le quali, sebbene possano sviare chi legge, pure hanno virtù di colpirgli la fantasia, e di strascinarlo alla catastrofe del poema dove si vede lo scioglimento delle varie avventure. Facile il disegnare, ma l'eseguire è cosa difficile anche ai grandissimi. Nel Furioso le persone principali scompariscono lungo tempo innanzi la fine. Elena piange sul corpo di Ettore nell'ultimo dell'Iliade; Angelica, che è la cagione del 'furore di Orlando e di guerre sì fiere, è perduta da noi di vista prima d'essere giunti a metà del poema. Pur tali osservazioni non montano, poiché ci avvediamo di aver ragione, e nondimeno intendiamo che il poeta non crede bene di dover far caso delle nostre ragioni. Egli inebria la fantasia, vuole che quanto a sé piace piaccia anco a noi, che solo vediamo ciò ch'egli vede. - Palazzi aerei - Fate - l'anello che rende invisibile chi lo tiene - la lancia d'oro,

 

Ch'al fiero scontro abbatte ogni giostrante,


- il cavallo alato - la salita alla luna, e tante altre strane finzioni che negli altri poeti ci divertono e insieme ci movono a compassione sulla credulità della moltitudine, vengono tutte rappresentate dall'Ariosto come se fossero creazioni fantastiche veramente della natura. Che se vi pensiamo alcun poco, non possiamo loro dar fede; pure, mentre leggiamo, è appena possibile di soffermarci a pensare. L'Ariosto ci padroneggia ognor più tra per la sospensione nella quale ci tiene una serie tanto variata di casi, e per la confusione che questi producono nella memoria. Nell'istante medesimo che la narrazione di un'avventura ci scorre innanzi come torrente, questo diventa secco ad un tratto, e subito dopo udiamo il mormorio di ruscelli di cui avevamo smarrito il corso, desiderando pur sempre di tornare a trovarlo. Le loro acque si mischiano, poi tornano a dividersi, poi si precipitano in direzioni diverse; talché il lettore rimansi piacevolmente perplesso al pari del pescatore, che attonito all'armonia de' mille stromenti che suonano nell'isola di Circe, pende le reti.

 

...Stupefatto
Pende le reti il pescatore, ed ode.

 

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis