Il Furioso è un'interminabile fuga di avventure straordinarie
e comuni, una vicenda perpetua di incontri inaspettati e di
sùbite scomparse. Si rinnova ad ogni canto, e spesso più volte
in un canto, la sensazione di una potenza che mova gli uomini,
li avvicini, li mescoli, li disperda, li riunisca, « oltre la
difension de' senni umani ».
Il miracolo costante del poema è l'improvviso sopravvenire di
nuovi personaggi a mutar la sorte dei primi e la fisionomia
della scena; l'inatteso trascolorar degli eventi; il
trapassare del paesaggio dalla solitudine deserta al tumulto,
e da questo al più tranquillo silenzio; il risonar subitaneo
di una nota gioconda, dolente, incantata, eroica in .mezzo ai
luoghi riposati o silenti.
Non sono del nostro mondo quel fluire infaticabile di
un'azione in un'altra; quel vento magico che trascina senza
posa le donne e i cavalieri; quel continuo sorgere e cadere di
ostacoli; quel continuo interporsi e svanire di distanze
immense varcate in galoppate fantastiche. Sicché, pure in
mezzo allo sfrenarsi delle avventure, si finisce per avere
l'impressione di immobile corsa e di silenzioso fragore che
danno i grandi viaggi della fantasia. A questo naturalmente
contribuisce soprattutto l'arte dell'Ariosto, la musica del
suo verso che diffonde intorno ai limpidi suoni un'atmosfera
d'intento silenzio: perciò nelle sue pagine vi par di sentire
l'aura nella quale vive la fantasia quando si allontana dal
mondo e lo ricrea dentro di sé liberamente.
Il prodigio, dunque, è infuso in tutto il tessuto del poema,
nell'intreccio delle sue fila nella natura dei personaggi, in
quell'alleggerirsi costante delle comuni leggi della vita, in
quella distanza discreta dalle necessità dell'esistenza
quotidiana che toglie la verità ma ne lascia ancora
l'illusione. Questa è la fisionomia generale del Furioso, non
proprio quella di tutte le pagine: i toni vanno dalle
allucinazioni del palazzo d'Atlante ai discorsi vivaci e
salaci dell'oste di Rodomonte. La comune difficoltà di
definire un capolavoro, qui è accresciuta da quell'altra
caratteristica dell'Orlando, di avere una straordinaria
mobilità di toni sicché ad un'osservazione frammentaria pare
che nel poema echeggino tutte le voci della vita, mentre la
verità ultima è che tutte vi si trasfigurano in un'aura un po'
lontana.
La malia dell'arte ariostesca è nella sua natura insieme
labirintica e limpida. Le ottave singole, le pagine, gli
avvicinamenti di un episodio a un altro, la costruzione delle
singole parti e la loro coordinazione nascono da questo
carattere dominante. L'opera suprema dell'Ariosto è dare una
veste affascinante al Caso che move tutto il poema: fare
dell'Orlando una cangiante fantasmagoria, una rete di strade
innumerevoli, dove il lettore non si smarrisce e non si stanca
perché il volo del poeta è sempre accompagnato dalla
beatitudine del suo pellegrinare.
Questo agevole affollarsi e vuotarsi, formarsi e disperdersi
degli avvenimenti e delle scene nasce dall'agilità della
fantasia, ma presuppone uno stato d'animo particolare che,
diffuso dovunque, è però concentrato nell'episodio della luna
- la remota fonte spirituale del poema -. Il corso di
avvenimenti che d'improvviso s'ingrossa in fiume e
d'improvviso s'attenua in ruscello, l'alternarsi incessante di
silenzio e di tumulto, nascono da un atteggiamento dell'animo
per il quale la realtà è un inconsistente fluire di eventi,
dall'attitudine a scivolar sulle cose come sulla curva di
un'onda, da una volubilità che è insieme della fantasia e del
giudizio e spiega così le inconciliabili riflessioni sugli
uomini e sulle donne come il perenne formarsi e disciogliersi
delle scene. Riflessioni e avvenimenti sono nel Furioso nubi
che accorrono, si trascolorano e dileguano a una folata di
vento.
Le radici di questo mondo veduto come labile spettacolo
d'immagini, come mobile vicenda di convinzioni, sono nel
vallone della luna, dove è raccolto il senno degli uomini - la
facoltà che dà un significato alla vita e consistenza alle
cose -, e le cose della terra sono vedute da un'immensa
distanza e come vanificate. Sicché tutto agli occhi del poeta
di quest'invenzione, tutta la terra - per noi solida, ardente,
tormentosa costante - si assottiglia in parvenze, per
un'ispirazione sfuggente come un placido volo.
Nel vallone della luna è radunato ciò che si perde nel mondo
per colpa degli uomini o del tempo o della fortuna. Là finisce
la fama, che qui si consuma; là salgono le preghiere e i voti
che i peccatori fanno a Dio, le lagrime e i sospiri degli
amanti; là si ritrovano il tempo perduto nel giuoco, l'ozio
degli ignoranti, i desideri e i disegni vani, i grandi regni
antichi, i doni interessati, le adulazioni, i favori dei
principi, i trattati, le congiure, l'opera dei monetieri e dei
ladroni, le elemosine postume, la donazione di Costantino, le
bellezze delle donne. Notate la mescolanza di cose frivole e
vili e di cose serie; e, se vi rimanesse ,qualche dubbio
intorno all'atteggiamento del poeta, fermatevi alla
conclusione:
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
Le cose che gli fur quivi dimostre;
Che dopo mille e mille io non finisco,
E vi son tutte I'occurrenzie nostre, |
e al corollario:
Sol la pazzia non v'è poca né assai;
Che sta qua giù, né se ne parte mai. |
La terra, dunque, è il regno della pazzia; e pazzia è tutto
ciò che l'uomo vi compie. Infatti il senno degli uomini è
svaporato quasi tutto nella luna:
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
Che mai per esso a Dio voti non férse;
Io dico il senno: e n'era quivi un monte,
Solo assai più che l'altre cose conte |
Li Astolfo vede il senno di molti che egli riteneva pieni di
saggezza: chi lo perde per l'amore, chi per gli onori, per le
ricchezze, per la magia, per la poesia. È difficile, oramai,
dire a chi l'Ariosto decreterebbe la corona del saggio: forse
solo al povero di spirito.
Veduta a questo modo, la terra sembra una bolla di sapone, la
vita un'auretta bizzarra, la poesia il sogno di un uomo senza
cervello. Disegni, dolori, speranze paiono - in quel remoto
vallone - farneticazioni spente; a quella distanza favolosa la
terra si fa lieve e vana, il significato e il segreto della
vita inafferrabili: il senno:
Era come un liquor suttile e molle,
Atto a esalar, se non si tien ben chiuso. |
Dopo questo si comprende che l'Ariosto apra il canto seguente
con quel magnifico esordio improvviso, fra moqueur e lirico:
Chi salirà per me, madonna, in cielo
A riportarne il mio perduto ingegno |
Non bisogna, infatti, esagerare il senso di distacco che dà
questo episodio: non ha nulla di aereo, ma quel tono sospeso
fra la realtà e il sogno che è la nota costante di tutto il
poema. Le idee trapassano rapide ma immaginose, e il verso -
soprattutto nelle clausole - canta amabile e chiaro. Non siamo
in un'atmosfera di Sehnsucht, di spleen, in una superba
altezza metafisica, ma in una sfera dove all'aria fine della
spiritualità si mescola la luce tenue dell'arguzia.
L'immaginazione parte da quella che noi chiamiamo volgarmente
« il mondo della luna », e la capovolge. Qui è la terra che è
diventata il mondo della luna; e il pallido astro che illumina
le nostre notti di illusi, è lo specchio nel quale si
riflettono le nostre vanità di terrigeni. In quel vallone si
raccolgono con le loro vere sembianze tutte le cose
ingannevoli e inconsistenti della vita: e la pazzia che le
genera senza tregua, rimane sempre in terra a tessere la sua
perpetua tela:
Sol la pazzia non v'è poca né assai;
Che sta qua giù, né se ne parte mai. |
L'episodio è una fantasia originale, vaga, attraente,
corrosiva, circondata di sorrisi e di silenzio. Certi versi,
labili come la ruota della fortuna o muti come l'oblio, vi
danno in fugaci istanti l'impressione grave del tempo che
smorza il frastuono delle nostre vicende; ma altri, mescolati
con questi, fissando in aspetti coloriti e arguti le vanità
sepolte nella luna, attenuano quel senso di caducità, e vi
mantengono in quella sfera media tra la sfumatura e la forma
che è il carattere della poesia ariostesca. Finché quest'impressione
indecisa culmina nella figurazione del senno, insieme chiara e
impalpabile, grave e arguta:
Era come un liquor suttile e molle,
Atto a esalar, se non si tien ben chiuso. |
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