CRITICA: LUDOVICO ARIOSTO

 COME LAVORAVA L'ARIOSTO

 AUTORE: Gianfranco Contini    TRATTO DA: Esercizi di lettura

 

Correggere, per la discrezione ariostesca, era prevedibile che significasse anzitutto arte del levare. S'è veduto dianzi come l'innalzamento del tono s'inscrivesse nel capitolo più generale dell'armonia; ma questa si tradurrà con prevalenza statistica in abbassamento di tono. E si comincia dal caso minimo, cioè a dire l'abbassamento in quanto risulti da uno spostamento di parola: in « Che tutte poi spargon per l'aria i venti » il « poi » è trasportato dietro a « spargon »; la iattanza di « Vedrete altrove il falso amor rivolto » si spenge nella modestia quasi bruttina di « Vedrete il falso amor altrove volto » (poi: « ...tolto... e altrove volto »). Le contraddizioni a codesta norma di soffocazione sono infatti illusorie. Si tratterà, ad esempio, di riformare questo passo (IX, 24):

 

Quei giorni che con noi contrario vento
A' Biscaglini, a me propicio, il tenne
(Che fur quaranta agli altri, a me un momento:
Così al fuggir hebbon veloci penne)


nel senso di sottolineare, al secondo e al terzo verso, l'antitesi retorica:

 

Contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(Ch'agli altri fur quaranta...


In effetti, l'accentuazione apparente dell'artificio è aumento d'intimità, per l'innamorata Olimpia. Anzi l'alessandrinismo è l'individuato nemico dell'Ariosto. Se un particolare erudito, poniamo geografico, tende a « localizzare » in senso ornante, viene senz'altro soppresso. In una delle ottave sullo Scudo, l'Isola Perduta, già « di là da Tile oltre il gran polo asisa », si fa « di là dal polo e il mar di gelo asisa ». Altra volta si sostituisce l'onesto nome («E tosto che l'Aurora fece segno») a una vana perifrasi letteraria (« Fin che l'amica di Titon fe' segno »). E fin qui il procedimento è negativo, si limita a eliminare; ma spesso l'eliminazione ha un «sottoprodotto» positivo: elementi liricamente essenzialissimi, scoperti lungo la strada, surrogano elementi alessandrini. Così nel prologo del canto XII (dei prologhi sia detto, qui in parentesi, che sulla scorta dei manoscritti il Debenedetti ha potuto dimostrarne inoppugnabilmente la posteriorità rispetto ai canti relativi):

 

Cerere, poi che da la madre Idea
Tornando in fretta alla sicania valle... ;


questo neghittoso «epitheton» sostanzialmente «ornans» è espunto e sostituito dal pateticissimo «solinga». Stesso, stupendo, guadagno (anzi qui il guadagno è quasi doppio) in un'altra apertura d'ottava (XLVI, 59):

 

Quale il nettunio Egèo rimase quando
Si fu alla mensa inhospitale accorto... ;


«nettunio» diventa «canuto», di più «inhospitale» diventa «scelerata». Si viene trapassando dall'epillio ovidiano all'oceanica ed argonautica mitologia del Paradiso; ma questa qui è anche più spoglia di sontuoso prestigio a priori.
E cogliamo finalmente il processo antialessandrino dell'Ariosto in due specificazioni estreme. L'una è il passaggio dal determinato all'indeterminato: intendiamo il determinato di Myricae e dei Conviviali (onesto in sede di poetica, ma insomma contemporaneo dell'Idioma gentile), l'indeterminato dell'Infinito e di A Silvia. Del paladino che naviga fuori della Schelda era detto (IX, 90):

 

E così, poi che dei guadosi stagni
Nel più profondo mar si vide uscito,
Si che non appariano li vivagni
Del destro più, né del sinistro lito...


Si noti che v'era già progresso: gli stagni erano stati « salati », il mare aveva cominciato ad essere « periglioso ». Ma al termine del procedimento elaborativo sta la pura essenza marina:

 

E così, poi che fuor de la marea...
Sì che segno lontan non si vedea...


La seconda specificazione è lo smorzamento d'un fantasma autonomo, antropomorfico, che è sottomesso all'unità fondamentale dell'ottava. Troviamo, proprio sull'inizio del primo frammento (IX, 8), un fiume mitologico,

 

Che facea gonfio e bianco andar di spume
La nieve sciolta e le montane piove:
ed è ridotto a descrittivo, elemento di natura
Ch'alhora gonfio e bianco iva di spume
Per nieve sciolta e per montane piove


(l'«iva» diventerà poi «era», poi ancora «gia» nella stampa). Trionfa altrove (XXXVII, 11o) un torrente mitologico («Come torrente che superbo faccia Lunga pioggia talvolta o nievi sciolte») ; ma quello resterà, come allegoria di Marganorre; e l'aggiunta, dunque la differenziazione, è dello stesso tempo: fase revisoria dell'edizione del '21.
Ma come chiameremo, con precisione lessicale, i processi antialessandrini che siamo venuti descrivendo? Certamente, processi distruttivi; e ricordiamo: «Palpabile è quest'opera di svalutazione e distruzione... E questo tono è altresì la tante volte notata e denominata, e non mai bene determinata ironia ariostesca...» (Croce). Così più su s'era dovuto definire con l'esatto nome il proprio contenuto del Furioso: « Il primo cangiamento ch'essi sentimenti particolari soffersero non appena vennero toccati dall'Armonia..., si manifestò nella perdita della loro autonomia, nella sottomissione a un unico signore, nella discesa da tutto a parte... ». È quanto dire: la direzione costante che s'individua nel lavoro correttorio dell'Ariosto si trova a coincidere perfettamente con la miglior descrizione caratterizzante che sia stata data fin qui della sua poesia.
 

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis