Nel delirio dell'argutezza metaforica, quanto più l'attenzione
al vero aspetto e moto dell'universo si fece acuta, né
soltanto nella scienza propriamente detta ma anche nelle
facoltà intuitive, tanto più l'immaginazione degli scrittori
che furon detti marinisti o secentisti ampliò il suo gioco per
uscire iperbolicamente dal reale. Ma l'immaginazione per se
stessa non è affatto poesia: e nel Seicento fu troppe volte
una forma vizio: un compromesso e una dilatazione che
consentivano di sconfinare, con ozioso piacere, dagli impegni
della realtà, e assecondava la voglia di appisolarsi o almeno
stordirsi nel gioco delle balenate parole, dei virtuosi suoni,
delle stupite linee: o magari nell'astrologia, nella magia,
nell'alchimia, supremo trastullo dell'immaginazione.
In quell'età che molto amò il finto (scale finte, finestre e
porte finte, pietre finte, marmi finti, colonne finte, statue
finte) si moltiplicarono anche le finte parole: le quali, a
parte tutte le inconsistenti metafore e figure, consistono
nelle prestese allegoriche, con consapevolissima
mistificazione dettate a giustificare forme morali che il
testo non comportava anzi contraddiceva ed escludeva. S'aprì
allora la gran fiera dei concettini, la cui tradizione passò
come ésprit al Settecento per giungere a noi come freddura.
S'aprì la gara della bravura immaginosa atta a generare
stupore, a fare inarcar le ciglia. Ogni vera immagine è
inattesa, e desta cordiale stupore: né mai i marinisti
giunsero a dare immagini così direi, astrattamente vive e
irreali quanto son quelle di Dante, unendo le qualità di sensi
fisici ben disparati (« Io venni in loco d'ogni luce muto N: «
Mi ripingeva là dove il sol tace»); ma se un Marino dice
dell'acqua che è « mammella dei fiori » pensando alla brina,
l'animo suo è tutto nella volontà pretenziosa di stupire. Né
se uno dice: « Ai bronzi tuoi serva di palla il mondo »,
pronunzia cosa più arrischiata che il semplice verso: « E
naufragar m'è dolce in questo mare » : cose fisicamente
imposslbili l'una e l'altra; ma la prima delle due è
liricamente falsa indirizzata a stupire con la bravura del
concettino : l'altra è liricamente vera, perché non ha altro
scopo che la semplice trascrizione d'un affetto interiore: e
si sa che la poesia non può essere paragonata sul verosimile
del mondo fisico ma sulla genuina coerenza interiore. Non è
già che le immagini siano discordanti dall'imitazione della
natura: tutte le immagini, essendo sempre spiritualità,
superano i riferimenti alle cose reali, anche quando ad esse
si richiamano; ma gli è che nei secentisti non c'è l'animo
immaginoso; anzi l'esibizione di questo animo, o la finzione:
il che sposta radicalmente il tono.
Ecco le antitesi di figura congiungere insieme idee
contrastanti, come in un velato gioco filosofico di opposti e
una dissimulata dialettica: « Lince privo di lume, Argo
bendato, Vecchio lattante e pargoletto antico »; « Sai che
fermezza in lei (Venere) può durar poco, Sendo figlia del mar,
moglie del foco »; argomenti in barocco, né più né meno: ed
hanno la freddezza della macchina scolastica: simulati
sillogismi immaginosi fondati su arguzie e stupefazioni di
parole o di luci o di suoni...
Può dirsi che il simbolo del Seicento sia il pavone, vistoso,
vanitoso e a lungo andare noioso: quello di cui si legge
nell'Adone:
Orbe del lume e de la scorta prive
Fuggian le stelle in varie schiere accolte,
E sì come talor per l'ombre estive
Quando l'aria è serena avien più volte,
Sbigottite, tremanti e fuggitive
Per fretta nel fuggir ne cadean molte:
Pavone allora il suo mantel distese,
Ed un gruppo nel lembo alfin ne prese.
Giove, che vide il forsennato e sciocco
Giovane depredar l'auree fiammelle,
Sdegnossi forte e da grand'ira tocco
Gli trasformò repente abito e pelle.
L'orgoglioso cimier divenne un fiocco
E ne la falda gli restar le stelle.
Febo, ché pietà n'ebbe e l'amò tanto,
Per sempre poi gliele stampò sul manto. |
La parola diventa ipocrita e ad un tempo letterariamente
sfrontata. All'arguzia, al concettino s'accompagna una
tensione di motivi che tutti presumono di accrescere
l'effetto. Non vi sono mezzi termini, ma sempre note
altissime, colori abbaglianti, movimenti eccessivi: non
dolcezze ma svenevolezze; non sorrisi ma sghignazzamenti: gli
organi sempre a canne piene e tutte sugli acuti.
E poiché non v'è una ispirazione centrale che anima di sé
l'insieme e colloca ogni cosa al giusto posto, creando i
rilievi, qui l'indifferenza del contenuto spirituale consente
ed anzi impone di indugiare su ogni particolare, e trattare
con un medesimo stile ogni più diversa materia.
Il Seicento marinista, del quale l'Alfieri scrisse che
delirava, fu, nonostante la novità sperimentale, un secolo
marcio di maturità letteraria: e troppi suoi scrittori,
briachi di fermenti libreschi, primo avvelenamento in grande
del libro, dopo l'invenzione della stampa, furono letterati e
stilisti, piuttosto che poeti o artisti. Miravano a
perfezionare con minutissimo e gratuito eroismo le forme per
le forme, anzi singoli elementi retorici della forma, dai
tropi alle figure propriamente dette, anzi le parti del
discorso, si direbbe, una per una, dal verbo all'interiezione;
e poi fiato e la dieresi e tutti gli atomi di un verso: e
lustravano così ogni cosa fino all'ultima politezza, o che
almeno tale a loro malgusto sembrava, servendo con umile
compunzione, anche quando facevano gli sdegnosi novatori o
coglievan nel segno a rivendicare la vera regola che consiste
nel saper rompere a tempo opportuno anche le regole, tutti i
precetti delle Poetiche cinquecentesche.
Avevano raccolto « col rampino » o « ronciglio » - son parole
del Marino - quanto più di raffinato e sottile si potea
leggere nella poesia greca e latina e italiana (di altri
popoli poco o nulla, perché tutti eran reputati barbari di
fronte alla raffinatezza cartacea della nostra letteratura
d'allora) e si compiacevano talvolta di furtarelli puri e
semplici, consigliati, del resto, da tutta la Poetica del
Cinquecento. Avveniva così che spesso, lavorando
d'ornamentazione e di bravura su materia letteraria già
consumata, volevano in gara strepitosa superare il modello, o,
infine, traevano, dalle complicate letture, bizzarre parafrasi
ed amplificazioni concettose. Intorno alla parola (o alla
linea e al colore) in sé presa, si affatica così la pedanteria
dell'immaginazione, come quella della Poetica, e non è caso
che l'Accademia della Crusca sia stata, secondo l'efficace
espressione del De Sanctis, il Concilio di Trento della
lingua. C'è rapporto profondissimo tra secentismo e cruschismo
: tutti e due vizi, di cui l'uno ripete e affina le belle
forme isolate, l'altro le espone in vetrina e ne fa un museo. |