Volle il Boccaccio servar
gravità in questo cominciamento delle sue Novelle: Umana cosa è l'avere
compassione agli afitti; perché egli prese voci di qualità, che avessero
gli accenti nella penultima per lo più, la qual cosa fece il detto
principio tutto grave e riposato. Che se egli avesse preso voci che
avessero gli accenti nella innanzi penultima, sì come sarebbe stato il
dire: Debita cosa è l'essere compassionevole a' miseri, il numero di
quella sentenza tutta sarebbe stato men grave, e non avrebbe compiutamente
quello adoperato, che si cercava. E se vorremo ancora, senza levar alcuna
voce, mutar di loro solamente. l'ordine, il quale mutato, conviene che si
muti l'ordine degli accenti altresì e dove dice: Umana cosa è l'avere
compassione agli afflitti, dice così: L'avere compassione agli afitti
umana cosa è, ancora più chiaro si vedrà quanto mutamento fanno pochissimi
accenti, più ad una via posti che ad altra nelle scritture. Volle il
medesimo compositore versar dolcezza in queste parole di Gismonda, sopra
il cuore del suo morto Guiscardo ragionate: O molto amato cuore, ogni mio
ufficio verso te è fornito; nè più altro mi resta a fare, se non di venire
con la mia anima a fare alla tua compagnia; per che egli prese
medesimamente voci che nelle penultime loro sillabe gli accenti avessero
per la gran parte, e quelle ordinò nella maniera, che più giovar potesse a
trarne quello effetto che ad esso mettea bene che si traesse. Le quali
voci se in voci d'altri accenti si muteranno, e dove esso dice: O molto
amato cuore, ogni mio Ufficio, noi diremo: O sventuratissimo cuore,
ciascuno dover nostro; o pure se si muterà di loro solamente l'ordine e
farassi così: Ogni ufcio mio, o cuore -molto amato, e fornito verso te; nè
altro mi resta a fare più, se non di venire a fate compagnia con la mia
all'anima tua; tanta differenza potranno per aventura queste voci dolci
pigliare, quanta quelle gravi per lo mutamento, che io dissi, hanno
pigliato. Né quali mutamenti, benché dire si possa che la disposizione
delle voci ancora per altra cagione, che per quella degli accenti
considerata, alquanto vaglia a generar la disparutezza che essere si vede
nel così porgere e pronunciare esse voci, nondimeno è da sapere che, a
compensazione di quello degli accenti, ogni altro rispetto è poco: con ciò
sia cosa che essi danno il concento a tutte le voci, e l'armonia, il che a
dire è tanto, quanto sarebbe dare a' corpi lo spirito e l'anima. La quale
cosa se nelle prose tanto può, quanto si vede potere, molto più è da dire
che ella possa nel verso ; nel qual verso il suono e l'armonia vie più
naturale e proprio e conveniente luogo hanno sempre, che nelle prose.
Per ciò che le prose, come che elle meglio stiano a questa guisa ordinate,
che a quella, elle tuttavolta prose sono: dove del verso puossi gli
accenti porre di modo, che egli non rimane più verso, ma divien prosa, e
muta in tutto la sua natura, di regolato in dissoluto cangiandosi; come
sarebbe, se alcun dicesse: Voi, ch'in rime sparse ascoltate il suono; e
Per una sua leggiadra vendetta; o veramente Che s'addita per cosa
mirabile, e somiglianti. Ne' quali mutamenti, rimanendo le voci e il
numero delle sillabe intero, non rimane per tutto ciò né forma, né odore
di verso. E questo per niuna altra cagione adiviene, se non per lo essere
un solo accento levato dal suo luogo in essi versi, e ciò è della quarta o
della sesta sillaba in quelli, e della decima in questo. Ché, con ciò sia
cosa che a formare il verso necessariamente si richieggia che nella quarta
o nella sesta o nella decima sillaba sieno sempre gli accenti, ogni volta
che qualunque s'è l'una di queste due positure non gli ha, quello non è
più verso, comunque poi si stiano le altre sillabe. E questo detto sia ne
meno del verso rotto, che dello intero, in quanto egli capevole non può
essere. Sono dunque, Messer Ercole, questi risguardi non solo a grazia, ma
ancora a necessità del verso.
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