Nel proemio al Filocolo
il Boccaccio dichiara d'aver preso a narrare ancora una volta la storia
tradizionale di Florio e Biancofiore, affinché « la memoria degli amorosi
giovani » e la «gran costanza de' loro animi» fosse «esaltata da' versi
d'alcun poeta», mentre fino a quel momento era stata «lasciata solamente
ne' favolosi parlari degli ignoranti». Alcunché di simile avrebbe potuto
agevolmente ripetere per la materia che confluisce in tutte le sue opere
fantastiche: le leggende del ciclo troiano nel Filostrato e quelle del
ciclo tebano nella Teseida; il mondo fiabesco e patetico dei
volgarizzamenti e rifacimenti ovidiani, che dal Filocolo all'Ameto e alla
Fiammetta costituisce gran parte dell'eloquenza appassionata e del
repertorio di situazioni psicologiche dei romanzi e dei poemetti minori; i
trattati d'Amore, i novellini, i fabliaux, le cronache, l'elegia di
Arrighetto e le allegorie amorose, il ritmo narrativo un po' frettoloso e
pedestre e l'ingenua umanità dei cantari, il gusto del romanzesco,
dell'avventuroso, dell'esotico, del mirabile che tengono gran posto nella
letteratura minore delle civiltà romanze, e che di volta in volta offrono
spunti, stimoli e suggerimenti tematici alla sua accesa fantasia. Il gusto
e la cultura, che si rispecchiano in questo mondo poetico così composito,
contraddistinguono fin dall'inizio l'arte del Boccaccio, rispetto a quelle
di Dante e del Petrarca; sia per quanto si riferisce alla disposizione
sentimentale eclettica e curiosa, inquieta ed espansiva (laddove in quelli
è, sia pur diversamente, tenuta a freno da un rigoroso criterio di
scelta), sia per quanto spetta ai modi espressivi decisamente indirizzati
al racconto, all'analisi minuta e cordiale delle vicende, degli ambienti,
delle figure (mentre nell'Alighieri la rappresentazione dei fatti e degli
uomini si condensa in una sintesi drammatica, in funzione di una dottrina
e di una individualità prepotente, e nel Petrarca tutta l'attenzione si
rivolge all'interno e si determina in forme liriche). Si potrebbe dire
che, di quanto gli altri due grandi trecentisti tendono a ricondurre
energicamente tutto il contenuto poetico alla loro persona, di tanto
invece il Boccaccio tende ad espandere la sua esperienza autobiografica e
ad obliarla nella contemplazione di una realtà esteriore, nella creazione
di una serie di accadimenti, di paesaggi, di caratteri. Questo significa
che la cultura borghese dell'età dei comuni (non genericamente «
medioevale », come si suol ripetere) opera nel certaldese con un rapporto
più immediato e diretto, meno impacciato da preoccupazioni dottrinali e da
schemi culturali; che in lui, più che negli altri, essa si esprime in
tutta la sua complessità e in tutte le sue manifestazioni più varie e
contrastanti; che egli ne riassume, rendendoli espliciti e chiari, il
significato e le aspirazioni e trova le forme più adeguate per
corrispondere alle sue esigenze concrete e realistiche e insieme ai suoi
ideali di decoro e di raffinatezza il romanzo e la novella.
Non si dimentichi tuttavia che questa disposizione del Boccaccio nei
confronti della minor cultura borghese del Due e del Trecento, se è sempre
aperta e fiduciosa, non è mai peraltro meramente passiva. Dinanzi a quella
materia, in cui pure avverte e ama una straordinaria ricchezza dei motivi
poetici allo stato grezzo, c'è sempre l'artista che reagisce con il suo
proposito di ricomporre in una superiore dignità e in una più classica
armonia quelle esperienze incondite e disperse, e con la sua educazione
tecnica rettorica e lirica laboriosamente foggiata sui modelli della prosa
d'arte latineggiante e dei rimatori aulici, e c'è l'uomo con le sue
personali esperienze erotiche e mondane, con le sue aspirazioni cortesi e
raffinate, con le sue confessioni e le sue ambizioni.
Di qui la duplice tensione che caratterizza lo svolgimento dell'arte
boccaccesca fino al Decameron, nello sforzo di raggiungere e di
contemperare l'equilibrio degli affetti con quello delle forme, la
serenità dello spirito e il ritmo pacato dell'esposizione. Tutta la storia
di quest'arte può riassumersi, per una parte, nel contrasto fra
un'esperienza sentimentale esuberante tumultuosa e appassionata e
l'ambizione di una cultura ricca, ma farraginosa e ancora acerba, fra
un'autobiografia invadente e una rettorica tuttora scolastica, e per
un'altra parte, nel contrasto, che fino ad un certo punto coincide col
precedente, fra la persistenza di motivi lirici (di confessione, elegiaci,
patetici) e l'esigenza di un ritmo narrativo robusto ed agile al tempo
stesso, umano e pur distaccato. Donde una somma di incongruenze di
incertezze e di scadimenti tonali, che si risolve soltanto nella raggiunta
maturità umana e stilistica del capolavoro. Nel quadro di questi contrasti
si colloca anche, come problema in apparenza minore ma persistente,
l'esigenza di un organismo in cui vengano a disporsi in una composizione
ordinata ed armonica tutte quelle esperienze disperse e di per sé
frammentarie, l'esigenza cioè della « cornice », che, intravista e
abbozzata nell'episodio delle « questioni d'amore » del Filocolo e nel
disegno dell'Ameto, diventerà elemento essenziale e necessario della
struttura del Decameron.
Occorre che i temi lirici si vengano a poco a poco decantando del loro
prevalente soggettivismo e autobiografismo, attraverso un assiduo
esercizio di ritrascrizione letteraria, perché all'autore riesca alla fine
di ridurli a materia viva e pulsante di un'obiettiva ricostruzione
psicologica, e di fonderli con gli altri temi, che pure affiorano
insistenti e un po' striduli già dalle pagine dei primi scritti
napoletani, di un realismo ora sorridente ora acre. Occorre che
l'ammirazione compiaciuta di un mondo idoleggiato di raffinate costumanze
e di eleganze cortigiane si sciolga via via dai moduli fissi di una
letteratura convenzionale, e diventi norma ideale, misura di decoro e di
gentilezza, capace di aderire all'infinita varietà delle situazioni reali
nei diversi strati e nelle distinte articolazioni della vita sociale.
Occorre che la cultura e la tecnica letteraria cessino a poco a poco di
porsi come strumento di ornamentazione e stilizzazione, e acquistino
libertà e duttilità di movimenti, così da piegarsi volta per volta alle
mobili situazioni del sentimento. Occorre infine, e soprattutto, che ad
organizzare questa multiforme materia s'affacci e prenda alfine il
sopravvento un criterio di valutazione e di interpretazione risoluto e
vigoroso; onde la complessa realtà, non più accarezzata in alcuni aspetti
esclusivi, ma rivissuta nella totalità delle sue manifestazioni, si
definisca come materia organica di un'ispirazione di vasto e ordinato
respiro, retta da un fermo e lucido giudizio, lievitata da un profondo e
vitale impulso polemico.
Questo è il senso e l'importanza della prolungata esperienza sentimentale
e stilistica, che occupa la giovinezza e la prima maturità dello scrittore
e si esplica nelle opere minori.
La ricchezza e la varietà dei motivi fantastici, che urge nelle pagine del
Filocolo e le assiepa con una dovizia di invenzioni tematiche, che sembra
venir meno negli scritti immediatamente posteriori; il caldo e abbondante
lirismo che illumina nel Filostrato i tentativi ancora sommari ed ingenui
di definizione psicologica, nello studio dei caratteri singoli e nel
taglio preciso della favola; la stilizzazione dei motivi patetici e
sensuali perseguita nella Teseida, attraverso un proposito ambizioso di
struttura epica; il cauto accostamento nell'Ameto a una materia che
l'inquadratura stilnovistica e allegorica si propone di innalzare e
nobilitare, conferendo loro una prima, ancor tutta esterna e provvisoria,
unità di organismo poetico; l'impegno di un ritmo narrativo e
dell'accanita esplorazione di un sentimento, indagato in tutte le
gradazioni e sfumature, in tutte le fasi della sua storia segreta,
nell'Elegia di Fiammetta, con un rigore di moralista e di stilista ancor
più che di poeta; la freschezza e la libertà inventiva del Ninfale
fiesolano, con quel suo fortunato equilibrio di delicata sensibilità e di
vivacità popolaresca; sono altrettanti momenti di un processo di
maturazione sentimentale e di allargamento degli orizzonti poetici, che
culmina nella serena e potente commedia umana del Decameron. Così come ai
modi formali, al linguaggio e allo stile del capolavoro, forniscono la
necessaria preparazione i molteplici esperimenti giovanili, in cui si
viene elaborando, in forme via via più originali e più aderenti, la
sintassi del racconto e del dialogo, mentre il lessico si svincola dai
modelli letterari e si arricchisce al contatto di una viva e sensuosa
materia.
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