CRITICA: GIOSUE' CARDUCCI

 CARDUCCI E LA POESIA MODERNA

 AUTORE: Enrico Thovez         TRATTO DA: Il pastore, il gregge e la zampogna

 

No - io dissi a me stesso - la poesia del Carducci, sincera, dotta, robusta, eloquente, colorita, sonora, non può essere la vera poesia del mio tempo: non lo è di spirito, non lo è di forma: robusta com'è; è un fiore di serra, di serra letteraria, e io' voglio una poesia che rampolli dalla vita e non dalla letteratura. Se non fu avvertita come tale, se fu anzi salutata come una polla di lirica spontanea destinata ad irrigare gli aridi orti della poesia nostra, gli è perché l'anima letteraria italiana è prigioniera incosciente della tradizione del classicismo scolastico che da secoli ne comprime le energie native; gli è perché vige da noi l'universale pregiudizio che nulla possa farsi che si scosti dalle vie battute e rompa la catena venerabile della imitazione; la ragione è da cercarsi in quell'incoscienza della modernità che è caratteristica della nostra gente, e che ci pone in ogni campo alla coda delle nazioni europee. Se questa poesia, infine, affascinò la mia giovinezza, ciò avvenne perché rispondeva a quel bisogno di esteriorità formale, e a quel gusto dell'aulico e dello antico che è proprio dei giovani, per i quali il passato, oltre alla poesia propria delle cose morte, ha il fascino della novità. Fu il canovaccio sul quale tramai inconscio l'inesauribile poesia del mio cuore caldo e bramoso, ma essa non tocca più intimamente la mia anima matura. E se ha ancora una forza persuasiva sulla mia psiche, ciò è per una ragione etica più che estetica: è perché venero nel Carducci la rettitudine dell'ingegno e dell'animo, perché sento che chi parla è un uomo onesto, semplice e sincero, che potrà errare ed erra per difetto d'ingegno, di coltura e di sentimento, ma non mai vien meno alla sincerità intima. Ora ciò è divenuto in Italia di una rarità favolosa, in Italia dove la fama letteraria è oramai sinonimo di abilità prestidigitatrice, di bluff giornalistico, di istronìa, di cambiali false ed altre cose da codice penale, dove il poeta fortunato è una specie di cavaliere di industria. No, egli è un insigne artista, ma non è in lui che è da ricercare la poesia nuova di cui avrebbe bisogno l'Italia. La vita moderna è quella che è, ed egli non ostante l'io degli eolii sacri poeti ultimo figlio, è un romano antico, e della romanità ha tutte le caratteristiche: la rigida concezione nazionalista, il furore patriottico, la passione delle lotte civili, la scarsa fantasia inventiva, la tendenza alle forme ornamentali, l'incapacità alla speculazione filosofica: è un vero discendente di quei romani, che persino il Pro£ Bergeret, docente di letteratura latina, dichiara insupportables d'emphase.
Si, così pensavo e mi confortava nella mia persuasione una voce autorevole e non sospetta. lo leggevo in un libro stampato in ottimi elzeviri zanichelliani, in quegli stessi elzeviri che avevano impresso le Nuove Poesie e le Odi Barbare:

...«Gli artisti hanno cominciato a capire che il segreto del trionfo sta nel sapersi ispirare all'ambiente in cui si vive, alla verità di oggi, non a quella di cinquecent'anni addietro. Hanno capito che in arte bisogna essere del proprio tempo o morire. Poco importa se la società non è sana; nel morbo stesso è il segreto dell'evoluzione, la genesi dell'avvenire. Ogni anello deve essere a suo posto; sotto pena di soluzione di continuità... Vogliamo l'arte del presente, non quella del passato, non quella dell'avvenire. Vogliamo sentire come i nostri nervi ed il nostro cervello comportano, non attraverso i diaframma delle sensazioni altrui. Vogliamo amare come sappiamo amar noi, non come amarono i nostri nonni. Vogliamo insomma essere del nostro tempo, e se il tempo non è bello, non lo abbiamo fatto noi e non ce ne abbiamo colpa... i grandi uomini vogliamo onorarli, studiarli, ma adorarli e copiarli no... ogni tempo ha i sui vestiti... Mentre dappertutto si cammina in libertà, noi sentiamo prescriverci la lunghezza dei passi come i coscritti! E non sempre i passi li vorrebbero fatti avanti. Tutti sanno che l'adorazione cieca, la superstizione è difetto italiano... Guai a scostarsi dai modelli! Guai a uscire dal campo arato, seminato dai vecchi! Abbiamo ancora nelle ossa l'antica lue dei petrarchisti. Ma ditemi, per Dio, non è proprio ora di muoversi?... E con tutto questo si sentono alte le grida per la mancanza del romanzo, del teatro, della lirica, della storia, della pittura, dell'arte italiana, insomma! Lo credo, io!... Siamo sempre all'errore di prendere gli effetti per le cause. Nel r 86o si poteva, si doveva avere l'ideale dell'Italia una. Ora che questa unità non è più né discussa, né minacciata, come faremo ad avere lo stesso ideale e cantarlo,... Il verismo e il borghesismo che cosa sono dunque se non effetti di uno stato sociale, momenti di un'educazione civile Oggi la rettorica del quarantotto ci fa sorridere perché quell'entusiasmo giovanile non c'è più, e non c'è arte al mondo che lo possa resuscitare colla sua sola forza, per quanto grande la si voglia credere».

Già; proprio ciò che pensavo io. E chi scriveva queste belle ed eloquenti cose contro l'arcaismo nell'arte ed in favore della modernità Le scriveva un amico del Carducci, un suo compagno di combattimento, Olindo Guerrini, in quella prefazione alla Nuova Polemica, alla quale il Carducci venne autorevolmente in aiuto con quel suo scritto Nuovissima Polemica, in cui assomigliò l'amico ai muratori che mura vano le mura di Gerusalemme e che tenevano con una mano la cazzuola e con l'altra la spada. E aggiunse: «Lo stesso debbiamo fare, e da piè anni facciamo noi, come ci chiamano, della nuova scuola o della scuola dell'avvenire, noi cioè, che usciti dalla servitù di Nebucdnesar, per grazia di Dio divenuto bestia, vogliamo vivere, pensare, amare, adorare e scrivere a modo nostro».

Ora, che resterebbe della poesia del Carducci, se a me prendesse il gusto di analizzarla al lume della ragione poetica della «nuova scuola», ragione poetica che il Carducci tacitamente approvò, poiché si guardò bene dal dissentirne? Questa arte «del proprio tempo, ispirata all'ambiente», quest'arte «del presente», che vuole nomi suoi, amori suoi, abiti suoi, che vuol camminare liberamente, che vuol uscire dal seminato, che non vuol più saperne di innografia patriottica, non è proprio l'arte della sensibilità e sensualità individuale, la secrezione mucosa dell'affetto combattuta acremente dal Carducci con la teoria e con l'esempio? Che resterebbe delle Lidie, delle Lalagi, delle Dafni carducciane, della mitologia greca e delle eleganze oraziane, delle odi patriottiche e celebrative, se misurate alla stregua ehi questa estetica modernista? Sembrerebbero un museo archeologico, a dir poco. Non se ne accorse il Carducci? O forse la modernità era nefasta solo quando fosse predicata dai leopardiani e dai manzoniani di Milano e di Vicenza, ma ottima se sfornata dai sollazzevoli epicurei di Bologna, perciò solo che era razionalista ed anticlericale, e non deista e cristiana? Dunque la salute della lirica non era tutta nell'estetica carducciana, se c'era bisogno di bandire con tanto rullo di tamburi il verismo e il naturalismo?

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis