No - io dissi a me stesso - la poesia del Carducci, sincera,
dotta, robusta, eloquente, colorita, sonora, non può essere la
vera poesia del mio tempo: non lo è di spirito, non lo è di
forma: robusta com'è; è un fiore di serra, di serra
letteraria, e io' voglio una poesia che rampolli dalla vita e
non dalla letteratura. Se non fu avvertita come tale, se fu
anzi salutata come una polla di lirica spontanea destinata ad
irrigare gli aridi orti della poesia nostra, gli è perché
l'anima letteraria italiana è prigioniera incosciente della
tradizione del classicismo scolastico che da secoli ne
comprime le energie native; gli è perché vige da noi
l'universale pregiudizio che nulla possa farsi che si scosti
dalle vie battute e rompa la catena venerabile della
imitazione; la ragione è da cercarsi in quell'incoscienza
della modernità che è caratteristica della nostra gente, e che
ci pone in ogni campo alla coda delle nazioni europee. Se
questa poesia, infine, affascinò la mia giovinezza, ciò
avvenne perché rispondeva a quel bisogno di esteriorità
formale, e a quel gusto dell'aulico e dello antico che è
proprio dei giovani, per i quali il passato, oltre alla poesia
propria delle cose morte, ha il fascino della novità. Fu il
canovaccio sul quale tramai inconscio l'inesauribile poesia
del mio cuore caldo e bramoso, ma essa non tocca più
intimamente la mia anima matura. E se ha ancora una forza
persuasiva sulla mia psiche, ciò è per una ragione etica più
che estetica: è perché venero nel Carducci la rettitudine
dell'ingegno e dell'animo, perché sento che chi parla è un
uomo onesto, semplice e sincero, che potrà errare ed erra per
difetto d'ingegno, di coltura e di sentimento, ma non mai vien
meno alla sincerità intima. Ora ciò è divenuto in Italia di
una rarità favolosa, in Italia dove la fama letteraria è
oramai sinonimo di abilità prestidigitatrice, di bluff
giornalistico, di istronìa, di cambiali false ed altre cose da
codice penale, dove il poeta fortunato è una specie di
cavaliere di industria. No, egli è un insigne artista, ma non
è in lui che è da ricercare la poesia nuova di cui avrebbe
bisogno l'Italia. La vita moderna è quella che è, ed egli non
ostante l'io degli eolii sacri poeti ultimo figlio, è un
romano antico, e della romanità ha tutte le caratteristiche:
la rigida concezione nazionalista, il furore patriottico, la
passione delle lotte civili, la scarsa fantasia inventiva, la
tendenza alle forme ornamentali, l'incapacità alla
speculazione filosofica: è un vero discendente di quei romani,
che persino il Pro£ Bergeret, docente di letteratura latina,
dichiara insupportables d'emphase.
Si, così pensavo e mi confortava nella mia persuasione una
voce autorevole e non sospetta. lo leggevo in un libro
stampato in ottimi elzeviri zanichelliani, in quegli stessi
elzeviri che avevano impresso le Nuove Poesie e le Odi
Barbare:
...«Gli artisti hanno cominciato a capire che il segreto del
trionfo sta nel sapersi ispirare all'ambiente in cui si vive,
alla verità di oggi, non a quella di cinquecent'anni addietro.
Hanno capito che in arte bisogna essere del proprio tempo o
morire. Poco importa se la società non è sana; nel morbo
stesso è il segreto dell'evoluzione, la genesi dell'avvenire.
Ogni anello deve essere a suo posto; sotto pena di soluzione
di continuità... Vogliamo l'arte del presente, non quella del
passato, non quella dell'avvenire. Vogliamo sentire come i
nostri nervi ed il nostro cervello comportano, non attraverso
i diaframma delle sensazioni altrui. Vogliamo amare come
sappiamo amar noi, non come amarono i nostri nonni. Vogliamo
insomma essere del nostro tempo, e se il tempo non è bello,
non lo abbiamo fatto noi e non ce ne abbiamo colpa... i grandi
uomini vogliamo onorarli, studiarli, ma adorarli e copiarli
no... ogni tempo ha i sui vestiti... Mentre dappertutto si
cammina in libertà, noi sentiamo prescriverci la lunghezza dei
passi come i coscritti! E non sempre i passi li vorrebbero
fatti avanti. Tutti sanno che l'adorazione cieca, la
superstizione è difetto italiano... Guai a scostarsi dai
modelli! Guai a uscire dal campo arato, seminato dai vecchi!
Abbiamo ancora nelle ossa l'antica lue dei petrarchisti. Ma
ditemi, per Dio, non è proprio ora di muoversi?... E con tutto
questo si sentono alte le grida per la mancanza del romanzo,
del teatro, della lirica, della storia, della pittura,
dell'arte italiana, insomma! Lo credo, io!... Siamo sempre
all'errore di prendere gli effetti per le cause. Nel r 86o si
poteva, si doveva avere l'ideale dell'Italia una. Ora che
questa unità non è più né discussa, né minacciata, come faremo
ad avere lo stesso ideale e cantarlo,... Il verismo e il
borghesismo che cosa sono dunque se non effetti di uno stato
sociale, momenti di un'educazione civile Oggi la rettorica del
quarantotto ci fa sorridere perché quell'entusiasmo giovanile
non c'è più, e non c'è arte al mondo che lo possa resuscitare
colla sua sola forza, per quanto grande la si voglia credere».
Già; proprio ciò che pensavo io. E chi scriveva queste belle
ed eloquenti cose contro l'arcaismo nell'arte ed in favore
della modernità Le scriveva un amico del Carducci, un suo
compagno di combattimento, Olindo Guerrini, in quella
prefazione alla Nuova Polemica, alla quale il Carducci venne
autorevolmente in aiuto con quel suo scritto Nuovissima
Polemica, in cui assomigliò l'amico ai muratori che mura vano
le mura di Gerusalemme e che tenevano con una mano la cazzuola
e con l'altra la spada. E aggiunse: «Lo stesso debbiamo fare,
e da piè anni facciamo noi, come ci chiamano, della nuova
scuola o della scuola dell'avvenire, noi cioè, che usciti
dalla servitù di Nebucdnesar, per grazia di Dio divenuto
bestia, vogliamo vivere, pensare, amare, adorare e scrivere a
modo nostro».
Ora, che resterebbe della poesia del Carducci, se a me
prendesse il gusto di analizzarla al lume della ragione
poetica della «nuova scuola», ragione poetica che il Carducci
tacitamente approvò, poiché si guardò bene dal dissentirne?
Questa arte «del proprio tempo, ispirata all'ambiente», quest'arte
«del presente», che vuole nomi suoi, amori suoi, abiti suoi,
che vuol camminare liberamente, che vuol uscire dal seminato,
che non vuol più saperne di innografia patriottica, non è
proprio l'arte della sensibilità e sensualità individuale, la
secrezione mucosa dell'affetto combattuta acremente dal
Carducci con la teoria e con l'esempio? Che resterebbe delle
Lidie, delle Lalagi, delle Dafni carducciane, della mitologia
greca e delle eleganze oraziane, delle odi patriottiche e
celebrative, se misurate alla stregua ehi questa estetica
modernista? Sembrerebbero un museo archeologico, a dir poco.
Non se ne accorse il Carducci? O forse la modernità era
nefasta solo quando fosse predicata dai leopardiani e dai
manzoniani di Milano e di Vicenza, ma ottima se sfornata dai
sollazzevoli epicurei di Bologna, perciò solo che era
razionalista ed anticlericale, e non deista e cristiana?
Dunque la salute della lirica non era tutta nell'estetica
carducciana, se c'era bisogno di bandire con tanto rullo di
tamburi il verismo e il naturalismo? |