CRITICA: GIOSUE' CARDUCCI

 IL LINGUAGGIO CARDUCCIANO DAI "GIAMBI" ALLE "ODI"

 AUTORE: Cesare De Lollis         TRATTO DA: Saggi sulla forma poetica dell'Ottocento

 

Anche il massimo e miglior Carducci, quello delle Odi Barbare, e precisamente delle prime; dove egli ha raggiunta la suprema vetta della sua arte, proprio perché, spogliandosi della preoccupazione di parlare alla terza Italia un linguaggio d'attualità col quale il suo ideale d'arte nobile era riuscito ad acconciarsi fino a un certo punto, interpreta finalmente se stesso qual'è: un poeta che gli orrori o le miserie del presente non sente fino al punto da arrivare ai divini furori degli Chatiments, mentre riesce a obliarsi e bearsi completamente nella visione del passato; contento di giustificare codesto suo oblio e codesta sua beatitudine coll'illusione - imposta agli altri i quali... la cercavano - ch'egli sia l'erede di quel mondo scomparso e rimpianto!
Che differenza tra l'Avanti! Avanti! che sta quasi a seconda vedetta dei Giambi ed Epodi e le Fonti del Clitumno, la più solennemente ispirata e la più ampiamente disegnata delle Odi Barbare!
Là un polimetro: qui la saffica, un breve metro, cioè, di tre endecasillabi, chiuso, volta per volta, quasi con un vibrato giro di chiave, dal conciso adonio.
Là, come spunto, un «Avanti! Avanti!» che ha la furia d'una carica incontro all'avvenire, e si ripete nell'identica posizione dopo l'intermezzo elegiaco, ch'è, naturalmente, il meglio:


Ahi, dai prim'anni, o gloria,...


Qui un «Ancor» iniziale, che appar d'un tratto colla solennità d'un sacerdote in testa alla processione delle memorie, che dal presente si stende giù giù fino al remoto orizzonte dei tempi preistorici; e a riassumer l'antitesi tra il presente e l'antico, due volte, a una certa distanza, occorre, intonato a discrezione e spoglio d'ogni aggressività, un «tutto ora tace».
Là, singolari figurazioni ed azioni: il «sauro destrier», ch'è anche « indomito destrier» e il «sacro destrier degl'inni», l'«alivolo corridore», il «nobile corsiero», e perfino - banalità che oscilla tra la colonna della Regia Parnassi e lo stemma da locanda di una piccola città di provincia - l'«apollinea fiera dall'alato dorso», il cui brio un po' troppo nominale è anche voluto rilevare dall'antitesi colla romantica «alfana», strascinantesi lungo l'orlo della via e sgraziatamente infronzolata di gualdrappe e cingoli... Un po' Pegaso un po' Ippogrifo, un po' anche cavallo postale, rompe i venti, e percote selci che dan lampi, e salta torrenti, e corre ai torridi soli, ai cieli stellati, a note plaghe e incognite, ma anche leva gran polvere, che non può essere se non della strada maestra. Alla ripresa - esaurito cioè l'intermezzo elegiaco, pur qua e là turbato di note giambiche - che altro fargli fare? Afferrarlo pel freno e sforzarlo alla rievocazione delle antiche memorie:


Ricordi tu le vedove piagge del mar toscano...?


Qui, invece, nell'ode alle Fonti del Clitumno, noi siamo illico et immediate davanti a una visione semplice, concreta e precisa: il poeta, senza alcun alivolo corsiero a .fianco o tra le gambe, contempla un fanciullo che immerge nell'onda una pecora riluttante, la madre che siede, a guardarlo, col poppante in seno, davanti al casolare; il padre, vestito di caprine pelli, alle prese coi robusti giovenchi aggiogati al carro dipinto.
Qui siamo in pieno idillio, in piena pastorale. Ma c'è buccolica e buccolica; poeta e poeta; poeta antico e poeta moderno; poeta classico e poeta romantico. Ogni storia ha una preistoria; ogni presente ha un passato; ogni luogo ha le sue memorie. Male frescure di Tivoli beavano e acquetavano a pieno Orazio, e gli consigliavano quel rispetto del presente nel quale non era solo epicureismo, ma anche rispetto per gli Dei, soli arbitri del futuro...

Ma il Carducci delle prime odi barbare diffida della foga dell'ispirazione; e il romantico trapasso dal senso pieno e giocondo della bellezza presente alla rievocazione dei grandi eventi trascorsi è legittimato col salice che d'un tratto colpisce l'occhio del poeta:


Chi l'ombre indusse del piangente salcio
Su' rivi sacri



del salice, pianta moderna, sentimentale, cristiana? Elci e cipressi voglion essere, come ai tempi antichi, nei quali ecc. ecc...
Ed esaurita la parte delle rievocazioni storiche, ecco un « tutto ora tace », che non può non ricordare il


Far other scene is Trasimene now


del Byron, in mezzo allo stesso paesaggio e nell'identica situazione di spirito; e ch'è come un colpo secco di suggello, dopo il quale s'inizia, con evidente ossequenza alla disciplina dell'arte classica, l'evocazione delle leggiadre figure mitiche: ninfe, najadi, e oreadi danzanti a sera sotto l'imminente luna, evocazione che si chiude anch'essa con un « tutto ora tace », in posizione di perfetto pendant rispetto all'altro:


Tutto ora tace, o vedovo Clitumno.
Tutto...



E forse sarebbe stato bene che qui l'ode fosse finita.
Quel che segue, l'ascensione del rosso Galileo in Campidoglio, la caccia degl'iconoclasti e dei flagellanti alle ninfe - che si ritiran tra i monti (dove, tra parentesi, avrebbero incontrato gli eremiti!) e in fondo ai fiumi; le imprecazioni atroci dei primi cristiani all'amore e a tutte le gioie della vita, e alla vita stessa; tutto codesto, vero o no che sia storicamente, sa di ritorno al genere imprecativo dei Giambi ed Epodi, di ritorno voluto per far della poesia di tendenza; sa, dunque, di rettorica o di letteratura che dir si voglia.
Un poeta del secolo decimonono declinante non riesce a parlare di codeste cose, con quello stupore e odio ugualmente sinceri, coi quali Rutilio Namaziano, veleggiando in vista della Capraja e della Gorgona, parlava dei monaci colà appartatisi. E io sento qui il freddo che sento nelle poesie di Leconte de Lisle, così sistematicamente infastidito di quanto sappia di cristiano.
Chi abbia fugato le ninfe e le altre gentili deità del mondo pagano non lo dice così precisamente il Leopardi nella sua romanticissima canzone Alla Primavera o Delle Favole Antiche. Ivi è semplicemente detto che


...la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo...



la bella età, la quale, s'intende, anche Leopardi descrive, e come! nelle sue gioconde fantasie mitiche.


Visser le ninfe, vissero...


esse che


...danze sotto l'imminente luna
guidavan...



ecco, nella poesia carducciana, spunti e reminiscenze leopardiane. Ma un paragone a colpo d'occhio tra le due poesie basta a precisar la differenza tra un poeta grande - il Carducci - e uno divino - il Leopardi. Tutta la seconda stanza della canzone leopardiana


Vivi, tu, vivi, o santa
natura? vivi, e il dissueto orecchio
della materna voce il suono accoglie
Già di candide Ninfe i rivi albergo...



tutta questa seconda stanza è una miracolosa selezione di motivi del mondo mitico-pastorale riveduto con quella concretezza con cui li riproduceva il Bócklin. Non una parola di più, non una di meno. È una di quelle stanze che non pajon fatte, ma ritrovate, come un diamante, sotto terra, dall'artista.
Mentre, d'altra parte, non credo che il Leopardi avrebbe scritto la stanza


Egli (Giano) dal cielo, autoctona virago
ella (Camesena) : fu letto l'Appennin fumante:
velaro i nembi il grande amplesso e nacque
l'itala gente,



nella quale, per quanto ci sia il precedente degli amplessi di Giove e Giunone sul monte Ida, di visto e di visibile non c'è nulla.
In ogni modo, l'ode Alle fonti del Clitumno è, come le canzoni leopardiane, di fattura eminentemente classica.
L'ispirazione vi fa i suoi conti coll'ordine logico, l'espressione vi è sempre perspicua e pur generale e sempre uniformemente intonata. Gli amori di Giano e Camesena che dettero occasione a quella stanza or ora riportata, ecco, al più, qualcosa che sa di peregrinità scolastica.
Tanto diversa, in tutto e per tutto codesto dall'Avanti ! Avanti!, così fiero del suo disordine romantico, del suo polimetrismo; così turgido di onomastica peregrina, di lessico tecnico; così irto di disuguaglianze che son vere sporgenze, così privo d'ogni principio di disegno e nell'insieme e in qualche sua stanza (E tu pascevi ecc.)!
E tutte queste prime Odi barbare - le rimanenti, anzi, della serie, anche per la tenuità della mole - rispondono al tipo esatto di quella che si dice arte classica.
La lingua poetica, schifiltosa, distinta, schiva d'ogni valore realistico, v'è come livellata a fil della sinopia.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis