CINQUECENTO MINORE

  • LA STRUTTURA DEL "BALDUS"
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    Autore: Ettore Bonora Tratto da: Le Macheronee di Teofilo Folengo


         

    Sebbene solo una lettura puntuale possa dare conto dei minori frammenti poetici disseminati anche dove più la fantasia sembra languire, nel Baldus la fondamentale differenza delle due parti, così forte ancora nell'ultima redazione,, ripropone il problema del rapporto di struttura e poesia come un fatto che interessa insieme la concezione morale dello scrittore e l'effettiva vitalità poetica del suo singolare linguaggio. Non proprio fittizio, ossia costruito intellettualisticamente, può essere lo schema del poema, se dentro quello schema la poesia venne via via potenziandosi e i nuovi episodi non si aggiunsero come brani a sé, ma s'innestarono nella trama arricchendo e rendendo più chiaro e coerente l'insieme, e se la rinunzia a spunti in sé anche felici rispose all'esigenza di un ordine migliore nell'insieme. Per chiarirsi il significato della struttura del Baldus occorre dunque una lettura spregiudicata, attenta ai particolari ma al tempo stesso difesa contro il gusto dispersivo e divagante di Merlino, una lettura che non sopravaluti gli elementi oratori ,e gli sfoghi d'umore quasi fossero filoni conduttori del romanzo, ma non per questo distacchi il singolare poema dalla cultura del suo tempo né d'altra parte dei rapporti con quella cultura dia una meccanica semplificazione. Non sapremmo certo immaginare l'opus macaronicum senza la vita spirituale del Cinquecento e senza la raffinatezza letteraria dell'umanesimo; eppure (e ci sembra d'averlo sufficientemente dimostrato) la poesia di Merlino si pone polemicamente fuori dalla grande linea della letteratura cinquecentesca; e, precisiamo ora, non solo fuori dall'aristocratica decantazione di temi psicologici e di usi linguistici propria della maniera petrarchesca, si bene da quell'ideale di medietas e di armonia la cui più alta espressione si ha nell'Orlando Furioso. Tuttavia la singolarità e la vitalità artistica del Folengo non consistono in un atteggiamento meramente polemico che porterebbe il nostro scrittore al livello dei poeti giocosi, degli antipetrarchisti, degli oppositori della letteratura; la polemica del Folengo implica non una negazione ma una interpretazione personale della cultura e della poetica dell'umanesimo, tanto che la simpatia stessa verso la materia dialettale e popolare non poté tradursi in originali forme artistiche senza quell'assimilazione della retorica degli umanisti, grazie alla quale il maccheronico acquistava piena coscienza della sua forza espressiva e nella tensione della smorfia caricaturale riusciva a far nuova una materia letteraria che per l'eccesso stesso di perfezione e di misura già scopriva segni di esaurimento.

    Non occorre ripercorrere ad una ad una le dichiarazioni serie o facete dello scrittore per dimostrare come il Baldus si colleghi alla fiorente tradizione della narrativa rinascimentale; ma occorre osservare come nello schema stesso del romanzo si trasformi quell'amore delle ambages pulcherrimae che, pur nel variare d'intonazione da poema a poema, si risolveva nei narratori dei Rinascimento nel vagheggiamento di un mondo diverso da quello reale, quasi in un trasognato piacere del narrare, sensibile non meno dove si dava una comica contaminazione dell'ideale e del prosaico che dove risuonava il rimpianto di bellezze e virtù d'altri tempi. Proprio perché concepito come storia della vita d'un eroe, dalla sua nascita alle avventure che lo portano fuori dal nostro mondo di uomini sino ad un fantastico inferno né pagano né cristiano, il Baldus si staccava prima che nello spirito nella forma dalla tradizione della poesia cavalleresca del Rinascimento. Appunto chi ebbe presente quella tradizione e per. primo cercò di farsene giudice e interprete, Giambattista Giraldi Cintio, aveva ragione di osservare che gli autori di romanzi « ancora che molte azioni abbiano avuto a dire de' loro cavalieri, non hanno però cominciato (parlando de' poeti che non siano indegni del nome) dalle opere della puerizia loro, ma dalle azioni illustri della loro matura età, quantunque anco alcuna volta si narri la prima età d'alcuni cavalieri, e i nascimenti loro, o per avvenimento che sopravvenga, o per persona acconciamente introdotta nel poema a questo effetto, o per qualche sprovveduto caso »; e se ammetteva che si potesse fare quello che non avevano tentato i nostri poeti cavallereschi, perché quando un personaggio « nella cuna diede segno della sua grandezza, dalla cuna si dovevano cominciare le azioni della sua vita », a questo proposito non sapeva citare altro di meglio che il caso di chi volesse narrare i fatti di Ercole, ché « non dovrebbe egli lasciare di scrivere la sua puerizia, che per avventura fu maggiore e più onorata che la snatura età di molti altri valorosi cavalieri ». Ricorrere a un esempio fittizio, lontano dagli argomenti prediletti dai romanzieri moderni, era buon indizio degli interessi di grammatico del Giraldi : la forma della narrazione era per lui questione estrinseca di ordine e di convenienza, tanto che poteva collocare quasi sullo stesso piano i libri veramente scritti e quelli che solo si potevano supporre. Il Baldus, il vasto romanzo costruito nella forma che il Giraldi ammetteva solo come possibile, era ancora qualche cosa di più di quello che il critico supponeva, come sempre e soltanto avviene alle opere vive e vere: non dalla cuna vi si prendeva a narrare le imprese dell'eroe, ma addirittura si partiva dagli antefatti della sua genealogia e, dopo la singolare fanciullezza e la non comune valentia degli anni giovanili, le strane avventure lontano dalla patria dovevano portare alla sua conclusione l'itinerario di un'esistenza eccezionale e a loro volta rischiarare di nuova luce i remoti presagi di tanta grandezza. Né in questo modo il Folengo si rifaceva artificiosamente a esempi dell'epica antica, ma in una direzione sua mirava ad adeguare alla sensibilità moderna la inateria cavalleresca.
     


         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis