Sebbene solo una lettura
puntuale possa dare conto dei minori frammenti poetici disseminati anche
dove più la fantasia sembra languire, nel Baldus la fondamentale
differenza delle due parti, così forte ancora nell'ultima redazione,,
ripropone il problema del rapporto di struttura e poesia come un fatto che
interessa insieme la concezione morale dello scrittore e l'effettiva
vitalità poetica del suo singolare linguaggio. Non proprio fittizio, ossia
costruito intellettualisticamente, può essere lo schema del poema, se
dentro quello schema la poesia venne via via potenziandosi e i nuovi
episodi non si aggiunsero come brani a sé, ma s'innestarono nella trama
arricchendo e rendendo più chiaro e coerente l'insieme, e se la rinunzia a
spunti in sé anche felici rispose all'esigenza di un ordine migliore
nell'insieme. Per chiarirsi il significato della struttura del Baldus
occorre dunque una lettura spregiudicata, attenta ai particolari ma al
tempo stesso difesa contro il gusto dispersivo e divagante di Merlino, una
lettura che non sopravaluti gli elementi oratori ,e gli sfoghi d'umore
quasi fossero filoni conduttori del romanzo, ma non per questo distacchi
il singolare poema dalla cultura del suo tempo né d'altra parte dei
rapporti con quella cultura dia una meccanica semplificazione. Non
sapremmo certo immaginare l'opus macaronicum senza la vita spirituale del
Cinquecento e senza la raffinatezza letteraria dell'umanesimo; eppure (e
ci sembra d'averlo sufficientemente dimostrato) la poesia di Merlino si
pone polemicamente fuori dalla grande linea della letteratura
cinquecentesca; e, precisiamo ora, non solo fuori dall'aristocratica
decantazione di temi psicologici e di usi linguistici propria della
maniera petrarchesca, si bene da quell'ideale di medietas e di armonia la
cui più alta espressione si ha nell'Orlando Furioso. Tuttavia la
singolarità e la vitalità artistica del Folengo non consistono in un
atteggiamento meramente polemico che porterebbe il nostro scrittore al
livello dei poeti giocosi, degli antipetrarchisti, degli oppositori della
letteratura; la polemica del Folengo implica non una negazione ma una
interpretazione personale della cultura e della poetica dell'umanesimo,
tanto che la simpatia stessa verso la materia dialettale e popolare non
poté tradursi in originali forme artistiche senza quell'assimilazione
della retorica degli umanisti, grazie alla quale il maccheronico
acquistava piena coscienza della sua forza espressiva e nella tensione
della smorfia caricaturale riusciva a far nuova una materia letteraria che
per l'eccesso stesso di perfezione e di misura già scopriva segni di
esaurimento.
Non occorre ripercorrere ad una ad una le dichiarazioni serie o facete
dello scrittore per dimostrare come il Baldus si colleghi alla fiorente
tradizione della narrativa rinascimentale; ma occorre osservare come nello
schema stesso del romanzo si trasformi quell'amore delle ambages
pulcherrimae che, pur nel variare d'intonazione da poema a poema, si
risolveva nei narratori dei Rinascimento nel vagheggiamento di un mondo
diverso da quello reale, quasi in un trasognato piacere del narrare,
sensibile non meno dove si dava una comica contaminazione dell'ideale e
del prosaico che dove risuonava il rimpianto di bellezze e virtù d'altri
tempi. Proprio perché concepito come storia della vita d'un eroe, dalla
sua nascita alle avventure che lo portano fuori dal nostro mondo di uomini
sino ad un fantastico inferno né pagano né cristiano, il Baldus si
staccava prima che nello spirito nella forma dalla tradizione della poesia
cavalleresca del Rinascimento. Appunto chi ebbe presente quella tradizione
e per. primo cercò di farsene giudice e interprete, Giambattista Giraldi
Cintio, aveva ragione di osservare che gli autori di romanzi « ancora che
molte azioni abbiano avuto a dire de' loro cavalieri, non hanno però
cominciato (parlando de' poeti che non siano indegni del nome) dalle opere
della puerizia loro, ma dalle azioni illustri della loro matura età,
quantunque anco alcuna volta si narri la prima età d'alcuni cavalieri, e i
nascimenti loro, o per avvenimento che sopravvenga, o per persona
acconciamente introdotta nel poema a questo effetto, o per qualche
sprovveduto caso »; e se ammetteva che si potesse fare quello che non
avevano tentato i nostri poeti cavallereschi, perché quando un personaggio
« nella cuna diede segno della sua grandezza, dalla cuna si dovevano
cominciare le azioni della sua vita », a questo proposito non sapeva
citare altro di meglio che il caso di chi volesse narrare i fatti di
Ercole, ché « non dovrebbe egli lasciare di scrivere la sua puerizia, che
per avventura fu maggiore e più onorata che la snatura età di molti altri
valorosi cavalieri ». Ricorrere a un esempio fittizio, lontano dagli
argomenti prediletti dai romanzieri moderni, era buon indizio degli
interessi di grammatico del Giraldi : la forma della narrazione era per
lui questione estrinseca di ordine e di convenienza, tanto che poteva
collocare quasi sullo stesso piano i libri veramente scritti e quelli che
solo si potevano supporre. Il Baldus, il vasto romanzo costruito nella
forma che il Giraldi ammetteva solo come possibile, era ancora qualche
cosa di più di quello che il critico supponeva, come sempre e soltanto
avviene alle opere vive e vere: non dalla cuna vi si prendeva a narrare le
imprese dell'eroe, ma addirittura si partiva dagli antefatti della sua
genealogia e, dopo la singolare fanciullezza e la non comune valentia
degli anni giovanili, le strane avventure lontano dalla patria dovevano
portare alla sua conclusione l'itinerario di un'esistenza eccezionale e a
loro volta rischiarare di nuova luce i remoti presagi di tanta grandezza.
Né in questo modo il Folengo si rifaceva artificiosamente a esempi
dell'epica antica, ma in una direzione sua mirava ad adeguare alla
sensibilità moderna la inateria cavalleresca.
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