Certo il Beolco ebbe
anche lui dei limiti. Infatti i suoi motivi, che pur toccano talvolta la
grande poesia, non furono molti; e l'insistere su alcuni se denotò un
fecondo travaglio che spingeva ad approfondirli, a contemplarli sotto
nuova luce, denotò anche una certa angustia d'orizzonte; tant'è vero che
alcuni di quei peetici motivi decaddero perfino nella ripetizione di
maniera; ed egli stcsso avvertì il pericolo quando, compiuto il suo più
ricco sforzo creativo - che fu segnato dalla Betia, dal Parlamento, dal
Bilora, dalla Moschetta, e che mandò pur vividi bagliori nella discontinua
vena sia del Ménego, sia della Fiorina -, sentì il bisogno di
ricongiungersi a una grande tradizione letteraria - quella della commedia
classica - soprattutto per rompere la cerchia in cui si stava chiudendo.
Le tre ultime commedie furono, come altrove ho accennato, un frutto non
indegno del suo geniale temperamento: anche per le esperienze che egli
tentò sul tronco della commedia classica e che potevano avere sviluppi
assai fecondi; ma certo è che, se in esse notiamo il lampo di una vena
ancora tanto ricca insieme a un'arte che vuole raffinarsi e disciplinarsi,
non vi balenano motivi così vigorosi e originali da slargare e rinnovare
sostanzialmente il mondo poetico dello scrittore.
Un altro limite del Ruzzante sorge da una delle sue qualità più positive e
cioè da quell'impeto creativo, da quella gagliarda sicurezza d'estro che,
forse proprio nei suoi lavori più ispirati, sembra meno docile a una
costante disciplina d'arte che imponga ovunque un uguale senso di misura e
non disdegni quel paziente lavoro di lima di cui anche il genio non può
fare a meno. E in ciò, ma solo entro certi limiti ideali, il Ruzzante si
abbandona all'improvvisazione.
Ho qua e là accennato a qualche probabile rapporto col Folengo e a qualche
occasionale affinità col Rabelais. Dal Folengo e dalla poesia maccheronica
in genere, che ebbe la sua culla proprio a Padova, forse qualche stimolo
può essere venuto al Beolco ma, secondo me, in modo generico, senza
nessuna puntuale influenza, poiché il suo prepotente interesse umano, il
suo amore per il naturale anche nelle più assurde deformazioni del comico,
lo rendevano intimamente alieno da certi capovolgimenti quasi
programmatici, da quella prestabilita deformazione a cui - cominciando
dalla lingua - era pur soggetta la poesia maccheronica; dalla quale, caso
mai, poté essere sollecitata una certa sua tendenza alla iperbolizzazione
farsesca, al paradosso comico; tendenza che tuttavia egli sviluppò poi con
un gusto indipendente e quasi di volata lirica, che talvolta, per una
saltuaria e occasionale affinità - per esempio in alcuni tratti farseschi
della Pastoral o nella Betìa - richiama piuttosto Rabelais; che pure non
ignorò il Folengo e anzi ne attinse perfino precisi spunti, ma restandone
anche lui lontano per lo spirito della sua arte, dove il paradosso, pur
essendo un costante e compiaciutissimo giuoco d'intelligenza, non si
assoggetta mai scopertamente a niente di prestabilito. Voglio poi
osservare che nel Folengo e in Rabelais entra, per via diretta o
indiretta, molta cultura: sacra e profana; mentre Ruzzante la presuppone -
in più modeste proporzioni - ma non la porta mai nella sua arte, tutta
impostata su apertissime posizioni umane; di cui anche i paradossi comici
sono naturali, estreme proiezioni.
Ora che abbiamo cercato di precisare meglio certi fondamentali aspetti del
Beolco, dobbiamo pur concludere che la sua ribellione alla letteratura in
nome del naturale non si esaurì mai in una semplice posizione polemica, ma
si attuò con una pienezza, con un vigore, che costituiscono un raro
esempio della nostra letteratura rinascimentale; e - cosa davvero
inconsueta in quei tempi - egli innalzò alla poesia il mondo più umile, e
con le più umili parole; e fece risuonare una intima, dolente nota umana:
che toccò i suoi vertici nel Parlamento e nel Bìlora; con un « realismo »
che, uscendo dal semplice gusto del descrittivo, volle essere e fu il
granitico linguaggio dell'anima. Con accenti nuovissimi commedia e farsa
furono le vie attraverso cui passò anche il dramma come poesia; ma furono
esse stesse innalzate da geniali motivi di poesia.
La fantasia del Ruzzante ebbe una singolare potenza trasfiguratrice e,
sotto l'apparenza di un'arte veristica e regionale e dialettale - e pur
entro limiti non vasti -, creò un mondo senza strettoie di confini,
eternamente e profondamente vivo nelle sue modeste vicende ora amare ora
grottesche. E ogni sfumatura di dolore fu da lui nascosta sotto il riso,
perché il riso fu per lui anche il freno antiretorico che guidò la sua
arte verso una superiore armonia, come in armonia componeva tutti i
contrasti della vita; secondo quel mito di Madonna Allegrezza a .cui il
poeta affidò l'ultima sua voce.
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