DANTE ALIGHIERI

  • DELLE OPERE COMPOSTE DA DANTE
  •  
    Autore: Giovanni Boccaccio Tratto da: Vita di Dante

     
         

    Compose questo glorioso poeta più opere ne' suoi giorni, delle quali fare ordinata memoria credo che sia convenevole, acciocché né alcuno delle sue s'intitolasse, né a lui fossero per avventura intitolate l'altrui. Egli primieramente, duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice, quasi nel suo ventesimosesto anno compose in un volumetto, il quale egli intitolò Vita nova, certe operette, sì come sonetti e canzoni, in diversi tempi davanti in rima fatte da lui, maravigliosamente belle; di sopra da ciascuna partitamente e ordinatamente scrivendo le cagioni che a quelle fare l'avean mosso, e di dietro ponendo le divisioni delle precedenti opere.
    E comeché egli d'avere questo libretto fatto, negli anni più maturi si vergognasse molto, nondimeno, considerata la sua età, è egli assai bello e piacevole, e massimamente a' volgari.
    Appresso questa compilazione più anni, riguardando egli della sommità del governo della repubblica, sopra la quale stava, e veggendo in grandissima parte, così come di sì fatti luoghi si vede, qual fosse la vita degli uomini, e quali fossero gli errori del vulgo, e come fossero pochi i disvianti da quello e di quanto onore degni fossero, e quegli, che a quello s'accostassero, di quanta confusione; dannando gli studi di questi cotali e molto più li suoi commendando, gli venne nell'animo un alto pensiero, per lo quale a un'ora, cioè in una medesima opera, propose, mostrando la sua sufficienza di mordere con gravissime pene i viziosi, e con altissimi premi li valorosi onorare, e a sé perpetua gloria apparecchiare. E, percioché, come già è mostrato, egli aveva a ogni studio preposta la poesia, poetica opera estimò di comporre. E, avendo molto davanti  premeditato quello che fare dovesse, nel suo trentacinquesimo anno si cominciò a dare al mandare ad effetto ciò che davanti premeditato avea, cioè a volere secondo i meriti e mordere e premiare, secondo la sua diversità, la vita degli uomini. La quale, percioché conobbe essere di tre maniere, cioè viziosa, o da' vizi partentesi e andante alla virtù, o virtuosa; quella in tre libri, dal mordere la viziosa cominciando e finendo nel premiare la virtuosa, mirabilmente distinse in un volume, il quale tutto intitolò Comedia De' quali tre libri egli ciascuno distinse per canti e i canti per rittimi, sì come chiaro si vede; e quello in rima volgare compose con tanta arte, con sì mirabile ordine e con sì bello, che niuno fu ancora che giustamente quello potesse in alcuno atto riprendere. Quanto sottilmente egli in esso poetasse pertutto, coloro, alli quali è tanto ingegno prestato che 'ntendano, il possono vedere. Ma, sì come noi veggiamo le gran cose non potersi in brieve tempo comprendere, e per questo conoscer dobbiamo così alta, così grande, così escogitata impresa, come fu tutti gli atti degli uomini e i loro meriti poeticamente volere sotto versi volgari e rimari racchiudere, non essere stato possibile in picicolo spazio avere al suo fine recata; e massimamente da uomo, il quale da molti e vari casi della fortuna, pieni tutti d'angoscia e d'amaritudine venenati, sia stato agitato (cornei d sopra mostrato è che fu Dante) : per che dall'ora che di sopra è detta che egli a così alto lavorio si diede infino allo stremo della sua vita, comeché altre opere, come apparirà, non ostante questa, componesse in questo mezzo, gli fu fatica continua...

    Muovono molti, e intra essi alcuni savi uomini generalmente una quistione così fatta: che conciofossecosa Dante fosse in iscienzia solennissimo uomo, perché a comporre così grande, di sì alta materia e sì notabile libro, come è questa sua Comedia, nel fiorentino idioma si disponesse; perché non piuttosto in versi latini, come gli altri poeti precedenti hanno fatto. A così fatta domanda rispondere, tra molte ragioni, due a l'apre principali me ne occorrono. Delle quali la prima è per fare utilità più comune a' suoi cittadini e agli altri italiani : conoscendo che, se metricamente in latino, come gli altri poeti passati, avesse scritto, solamente a' letterati avrebbe fatto utile; scrivendo in volgare fece opera mai più non fatta, e non tolse il non potere esser inteso da' letterati, e mostrando la bellezza del nostro idioma e la sua eccellente arte in quello, e diletto e intendimento di sé diede agl'idioti, abbandonati per adrieto da ciascheduno. La seconda ragione, che a questo il mosse, fu questa. Vedendo egli li liberali studi del tutto abbandonati, e massimamente da' prencipi e dagli altri grandi uomini, a' quali si soleano le poetiche fatiche intitolare, e per questo e le divine opere di Virgilio e degli altri solenni poeti non solamente essere in poco pregio divenute, ma quasi da' piú disprezzate; avendo egli incominciaro, secondo che l'altezza della materia richiedea, in questa guisa

     

    Ultima regna canam, fluido contermina mundo,
    spiritibus quae lata patent, quae premia solvunt
    pro meritis cuicumque suis, ecc.


    il lasciò stare; e, immaginando invano le croste del pane porsi alla bocca di coloro che ancora il latte suggano, in stile atto a' moderni sensi ricominciò la sua opera e perseguilla in volgare...
    Similmente questo egregio autore nella venuta d'Arrigo settimo imperadore fece un libro in latina prosa, il cui titolo è Monarchia, il quale, secondo tre quistioni le quali in esso ditermina, in tre libri divise. Nel primo, loicalmente disputando, pruova che a ben essere del mondo sia di necessità essere imperio; la quale è la prima quistione. Nel secondo, per argomenti istoriografi procedendo, mostra Roma di ragione ottenere il titolo dello imperio; ch'è la seconda quistione. Nel terzo, per argomenti teologi pruova l'autorità dello 'mperio immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcuno suo vicario, come li cherici pare che vogliano; ch'è la terza quistione.
    Questo libro più anni dopo la morte dell'autore fu dannato da messer Beltrando cardinale del Poggetto e legato di papa nelle parti di Lombardia, sedente Giovanni papa ventesimosecondo. E la cagione fu però che Lodovico duca di Baviera, dagli elettori della Magna eletto in re de' romani, e venendo per la sua coronazione a Roma, contra il piacere del detto Giovanni papa essendo in Roma, fece contra gli ordinamenti ecclesiastici un frate minore, chiamato frate Pietro della Corvara, papa, e molti cardinali e vescovi; e quivi a questo papa si fece coronare. E, nata poi in molti casi della sua autorità quistione, egli e' suoi seguaci, trovato questo libro, a difensione di quella e di sé molti degli argomenti in esso posti cominciarono a usare; per la qual cosa il libro, il quale infino allora appena era saputo, divenne molto famoso. Ma poi, tornatosi il detto Lodovico nella Magna, e li suoi seguaci, e massimamente i cherici, venuti al dichino e dispersi; il detto cardinale, non essendo chi a ciò s'opponesse, avuto il soprascritto libro, quelli in publico, sì come cose ereriche contenente, dannò al fuoco. E il simigliante si sforzava di fare dell'ossa dell'autore a eterna infamia e confusione della sua memoria, se a ciò non si fosse opposto un valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bologna, dove ciò si trattava, si trovò, e con lui messer Ostagio da Polenta, potente ciascuno
    assai nel cospetto del cardinale di sopra detto.

    Oltre questi compose il detto Dante due egloghe assai belle, le quali furono intitolate e mandate da lui, per risposta di certi versi mandatigli, a maestro Giovanni del Virgilio...
    Compunse ancora un convento in prosa in fiorentino volgare sopra tre delle sue canzoni distese, comeché egli appaia lui avere avuto intendimento, quando il cominció, dicommentarle tutte, benché poi, o per mutamento di proposito o per mancamento di tempo che avvenisse, più
    commentate non se ne truovano da lui; e questo intitolò Convivio, assai bella e laudevole operetta.
    Appresso, già vicino alla sua morte, compunse uno libretto in prosa latina, il quale egli intitoló De vulgari eloquentia, dove intendea di dare dottrina, a chi imprendere la volesse, del dire in rima; e comeché per lo detto libretto apparisca lui avere in animo di dovere in ciò comporre quattro libri, o che più non ne facesse dalla morte soprapreso, o che per-
    duti sieno gli altri, più non appariscono che due solamente.
    Fece ancora questo valoroso poeta molte pistole prosaiche in latino, delle quali ancora appariscono assai. Compunse molte canzoni distese, sonetti e ballate assai e d'amore e morali, oltre a quelle che nella sua Vita Nova appariscono; delle quali cose non curo di fare spezial menzione al presente.
     

     
         
    HOME PAGE
         
    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis