E qui lo spirito racconta
la sua storia. E dov'è più l'inferno? dov'è il tronco? Noi siamo in
Napoli, nella corte di Re Federico, innanzi a un Cancelliere. Se guardiamo
al fatto, abbiamo in pochi ersi tutto un dramma nelle sue parti
essenziali. Pier delle Vigne al sommo della potenza e della grandezza, la
guerra che gli move contro l'invidia, collisione che genera la catastrofe.
Pier delle Vigne non fa che narrare; ma se guardiamo allo stile, vi
troviamo un carattere ricchissimo, una compiuta persona poetica. Voi lo
vedete tutto vano del suo uffizio, del suo « glorioso uffizio »,
compiaciuto di volger a suo senno le chiavi del cuore di Federico, geloso
della confidenza che in lui pone il suo signore ed intento a rimuoverne
ogni altro; un uomo debole, che vede nella sua sventura gli onori tornati
in lutto, la gioia volta in mestizia, e che si uccide per « disdegnoso
gusto », per non saper sostenere il nuovo suo stato; un'anima schietta che
parlando fa senza saperlo il suo proprio ritratto, e si rivela qual è in
tutto il suo abbandono. Quanta ricchezza di determinazioni! Un dramma
intero non potrebbe mostrarcelo più compiutamente: qui è quello che dicesi
visione poetica, quel saper cogliere il personaggio nell'atto della vita.
Il fondo di questo carattere non è la grandezza e la forza, ma una
squisita gentilezza di cui ammirammo il tipo in Francesca da Rimini, e che
qui scorgiamo fin dalle prime parole:
.
. . Sì col dolce dir m'adeschi,
Ch'io non posso tacere; e voi non gravi
Perch'io un poco a ragionar m'inveschi. |
Non solo egli si esprime con delicatezza ma con grazia ed eleganza, da
uomo colto, ingegnoso e finamente educato; con antitesi, con metafore, con
concetti, con frasi a due a due: « morte comune e delle corti vizio » - «
gl'infiammati infiammarono Augusto » - « i lieti onor tornarono in tristi
lutti » - « per disdegnoso gusto credendo... fuggire disdegno » - «
ingiusto fece me contra me giusto ». E perché questo? Perché Pier delle
Vigile non è commosso ancora da quello che dice; e se parla della sua
abilità segretariesca, egli può bene uscir su con quel suo serrare e
disserrare di chiavi; e se parla dei suoi avversarli, può bene usare una
personificazione rettorica, la « meretrice » che infiamma, sicché gli
infiammati infiammino Augusto. Il suicidio stesso non lo commove;
quell'istante supremo non vale a risvegliare in lui una ricordanza o una
immagine: è un concetto che gli esce dal labbro. Si sente in lui non
l'uomo, ma il cortigiano e il trovatore. Ma vi è una cosa, una sola cosa
seria che gli pesa, l'infamia che si tenta di gittare sulla sua memoria,
l'accusa che gli è lanciata di traditore. Qui è il patetico del racconto:
qui la sua immaginazione si scalda, di sotto alla veste del cortigiano
spunta l'uomo, e il suo linguaggio diviene semplice ed eloquente:
Per le nuove radici d'esto legno
Vi giuro che giammai non ruppi fede
Al mio Signor, che fu di onor sì degno.
E se di voi alcun nel mondo riede,
Conforti la memoria mia che giace
Ancor del colpo che 'nvidia le diede. |
A questa pianta una sola cosa avanza viva e presente di uomo, la sua
memoria in terra, e strazia il cuore a vedere un tronco che, in nome delle
sue radici ancor nuove, raccomanda quella parte di sé che gli rimane
ancora uomo, la sua memoria. Essa è qualche cosa di vivente che non è lui,
o che piuttosto è l'antico lui: egli è un tronco.
Noi siamo all'ultimo atto, alla scena delle spiegazioni. La spiegazione
distrugge il fantastico: il misterioso vien meno. Quando la realtà è ancor
nuova e poco nota, l'anima vive d'immaginazione, e popola la terra di
fate, di giganti e di streghe: il reale uccide questo fantastico. Quando
l'uomo non sa spiegare i fenomeni naturali, egli immagina esseri
fantastici che sieno causa di quelli; la scienza uccide questo fantastico:
Apollo col suo cocchio svanisce innanzi al telescopio di Galileo. Qui il
fantastico è spiegato e diviene intelligibile, cioè a dire cessa di essere
un fantastico, un maraviglioso, e diviene la realtà, l'eterna realtà
dell'inferno. Ma se il fantastico muore, rimane il patetico, anzi si
accresce. Poiché la spiegazione qui non ha niente di didattico: il
concetto scientifico è gittato per incidente in un verso
Ché non è giusto aver ciò ch'uom si toglie. |
Il qua concetto diviene poesia, perché Dante ne ha fatto un individuo,
l'anima del suicida che racconta la propria storia dal punto che si è
separata dal corpo fino al giudizio universale. Non vi è pensiero, ma
azione, narrata con una vigoria ed efficacia di stile insolita. Le parole
sono molto comprensive e risvegliano parecchie idee accessorie. Nel «
disvelta » si sente non solo la separazione, ma la violenza e lo sforzo
contro natura; nel « balestra » non solo il cadere, ma l'impeto e la
rapidità della caduta e l'ampio spazio percorso; nella parola « finestra
», si sentono i sospiri ed i lamenti e il pianto che esce fuori per quel
varco. Perché tanto affetto e vivacità nella spiegazione di un fatto?
Perché è un suicida che spiega la pena del suicidio, e narrando la storia
dell'anima suicida ricorda insieme la sua propria storia.
Nell'immaginazione di Pier delle Vigne vi è sé stesso presente: sul suo
labbro vi è « un'anima »; nella sua coscienza vi è « io »: tanto che da
ultimo si mescola nella narrazione: la terza persona va via, e al « parte
», al « cade », al « surge » succede « verremo » e « strascineremo ».
Quando la spiegazione è compiuta, sembra che la situazione sia oramai
esausta; ma ecco un nuovo fatto che infiammala pietà: le spoglie del
suicida appese all'albero, ch'egli si vedrà innanzi eternamente senza
potersene mai rivestire. Nelle parole di Pier delle Vigne si sente una
mestizia ineffabile:
Qui le strascineremo, e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascun al prun dell'ombra sua molesta. |
La sua immaginazione gli presenta quei corpi che penzolano, « i nostri
corpi », ma quel « nostri » desta un'immagine in confuso e collettiva;
egli vede tra gli alberi il suo proprio corpo, e sente il bisogno di
singolarizzare quel plurale
«
Ciascuno » al prun dell'ombra sua molesta. |
Tal è questo canto, una ricca armonia che dal misterioso e dal fantastico
va digradando in suoni flebili e soavi.
|