DANTE ALIGHIERI

  • L'UGOLINO DI DANTE
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    Autore: Francesco De Sanctis Tratto da: Storia della letteratura italiana

     
         

    L'Inferno è l'uomo compiutamente realizzato come individuo, nella pienezza e libertà delle sue forze. E può misurare la grandezza dell'opera chi vede gli abbozzi di Dino Compagni, o lo scarno Ezzelino, o le rozze formazioni dei misteri e delle leggende. L'individuo era ancora astratto e impigliato nelle formole, nelle allegorie e nell'ascetismo. In quelle vuote generalità ci è la donna e l'uomo, come genere, come simbolo, come l'anima: manca l'individuo. E manca tanto, che spesso non ha un nome, ed è la mia donna, o un giovine, un santo uomo. Non un nome solo era rimasto vivo nel mondo dell'arte, fra tante liriche e leggende. Dante volea scrivere il mistero dell'anima; si cacciò tra allegorie e formole; ed ecco uscirgli dalla fantasia l'individuo, valente e possente, nel rigoglio e nella gioventù della forza, spezzato il nocciolo dove lo avea chiuso il medio evo. I pittori disegnavano santi e cupole; i filosofi fantasticavano sull'ente; i lirici platonizzavano; gli ascetici contemplavano e pregavano; Dante pensava l'Inferno; e là, tra' furori della carne e l'infuriar delle passioni, trovava la stoffa di Adamo, l'uomo com'è impastato con la sua grandezza e con la sua miseria, e non descritto, ma rappresentato e in azione, e non solo ne' suoi atti, ma ne' suoi motivi più intimi. Così apparvero sull'orizzonte poetico Francesca, Farinata, Cavalcanti, la Fortuna, Pier delle Vigne, Brunetto, Capaneo, Ulisse, Vanni Fucci, il nero cherubino, Niccolò III e Ugolino. Tutte le corde del cuore umano vibrano. Vedi, attorno a questa schiera d'immortali, turba infinita di popolo nella maggior varietà di attitudini, di forme, di sentimenti, di caratteri, che ti passano avanti, alcuni appena sbozzati, altri numero e nome, altri segnati in fronte di qualche frase indimenticabile, che li eterna, come Taide, Mosca, Giasone, Omero, Aristotile, papa Celestino, Bonifazio, Clemente, Bruto, Bocca degli Abati, Bertram dal Bornio.

    Nel regno de' morti si sente per la prima volta la vita del mondo moderno. Come è bella la luce, il dolce lome, a Cavalcanti! Quanta malinconia è in quella selva de' suicidi, spogliata del verde! Come è commovente Brunetto, che raccomanda a Dante il suo Tesoro, e Pier delle Vigne che gli raccomanda la sua memoria! Come ride quel giardino del peccato innanzi a Francesca! Col vivo sentimento della dolce vita, della bella natura, è accompagnato il sentimento della famiglia. Quel padre che cade supino udendo la morte del figlio; e Ugolino che, dannato a morire di fame, guarda nel viso a' figliuoli; e Anselmuccio che gli domanda: Che hai? e Gaddo che gli dice: Perché non mi aiuti? sono scene solitarie della poesia italiana. Ciascuno è in una situazione appassionata. I sentimenti spinti alla punta, idealizzano e ingrandiscono gli oggetti. Tutto è colossale, e tutto è naturale. E in mezzo torreggia Dante, il più infernale, il più vivente di tutti; pietoso, sdegnoso, gentile, crudele, sarcastico, vendicativo, feroce, col suo elevato sentimento morale, col suo culto della grandezza e della scienza anche nella colpa, col suo dispregio del vile e dell'ignobile; alto sopra tanta plebe, così ingegnoso nelle sue vendette, così eloquente nelle sue invettive.

    Queste grandi figure, là sul loro piedistallo rigide ed epiche come statue, attendono l'artista che le prenda per mano e le gitti nel tumulto della vita, e le faccia esseri drammatici. E l'artista non fu un italiano: fu Shakespeare.

    Chi vuole ora concepire il Purgatorio, si metta in quella età della vita che le passioni si scoloriscono e l'esperienza e il disinganno tolgono le illusioni, e, scemata la parte attiva e personale, l'uomo si sente generalizzare, si sente più come genere che come individuo. Spettatore più che attore, la vita si manifesta in lui non come azione, ma come contemplazione artistica, filosofica, religiosa. In quella calma delle passioni e de' sensi era posto l'ideale antico del savio, l'ideale nuovo del santo, fuso insieme in quel Catone, che Dante chiama nel Convito anima nobilissima e la più perfetta immagine di Dio sulla terra. Catone è il savio antico, pinto come i filosofi, con quella sua lunga barba, in quella calma e gravità della sua decorosa vecchiezza:

     

    Degno di tanta reverenza in vista,
    Che più non dee a padre alcun figliuolo.


    Ma è qualcosa di più: è il savio battezzato e santificato con la fronte radiante, illuminata dalla grazia, sì che pare un sole. Virgilio non comprende questo savio cristianizzato, e parla al Catone di sua conoscenza, ricordando la sua virtù, la sua morte per la libertà, la sua Marzia. E il nuovo Catone risponde: Marzia, che piacque tanto agli occhi miei, non mi muove più; ma se Donna del cielo ti guida, non ci è mestier lusinga:

     

    Basta ben che per lei tu mi richegge.


    Che cosa è il Purgatorio? È il mondo dove questo doppio ideale è realizzato: il mondo di Catone o della libertà, dove lo spirito si sviluppa dalla carne e cerca la sua libertà:

     

    Libertà va cercando, ch'è sì cara,
    Come sa chi per lei vita rifiuta.


    Altro concetto, altra natura, altro uomo, altra forma, altro stile. Non è più l'Iliade; è l'Odissea, è un nuovo poema. Paragonare Inferno e Purgatorio, e maravigliarsi che qui non sieno le bellezze ammirate colà, gli è come maravigliarsi che il purgatorio sia purgatorio non inferno. O se pur vogliamo maravigliarci di qualche cosa, maravigliamoci che il poeta abbia potuto così compiutamente dimenticare l'antico sé stesso, le sue abitudini di concepire, di disporre, di colorire, e, seppellito, in questo nuovo mondo, ricrearsi l'ingegno e la fantasia a quella immagine, e con tanta spontaneità, che pare non se ne accorga: obblio dell'anima nella cosa, il secreto della vita, dell'amore e del genio.

    L'inferno è il regno della carne, che scende con costante regresso sino a Lucifero. Il purgatorio è il regno dello spirito, che sale di grado in grado sino al paradiso. È là che si sviluppa il mistero, la commedia dell'anima, la quale dall'estremo del male si riscote e si sente, e, mediante l'espiazione e il dolore, si purifica e si salva. Onde con senso profondo il purgatorio esce dall'ultima bolgia infernale; e Lucifero, principe delle tenebre, è quello stesso per le spalle del quale Dante salendo esce a riveder le stelle.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis