DANTE ALIGHIERI

  • LA STRUTTURA DELLA COMMEDIA
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    Autore: Benedetto Croce Tratto da: La poesia di Dante

     
         

    Sulla struttura della Commedia, cioè sul romanzo teologico che le è messo a fondamento, è sorta una delle più cospicue sezioni della letteratura dantesca, gareggiante per mole con quella accumulata sulle allegorie, e si chiama della « topografia fisica » e della « topografia morale dei tre regni. E poiché quella struttura Dante la volle ed eseguì, ed esiste nel suo libro, è naturale che gl'interpreti curino di chiarirla, ed è utile che, per far si che l'abbiano chiara in mente i lettori (i quali per solito ne accolgono un'idea sommaria e confusa, perché vi s'interessano poco) si disegnino, come si sono disegnati, atlanti, e si diano geografie dell'altro mondo dantesco, ed orari od orologi del viaggio in esso, e commenti al codice penale che vi regna, e alla graduatoria dei meriti e delle ricompense. Solo che sarebbe da ripetere, rinforzandola, la raccomandazione che già s'è fatta, di guardarsi dal troppo, e di non dimenticare che queste di Dante sono mere costruzioni immaginative, di scarsissima importanza, soprattutto per noi che abbiamo altre immaginazioni pel capo, e che, a ogni modo, delle immaginazioni e dei sogni non conviene a lungo intrattenere la gente, « noiando altrui (ammoniva monsignor della Casa nel Galateo) col recitarli con tanta affezione e facendone si gran meraviglia, che è uno sfinimento di cuore a sentirli » : sicché, poniamo, è perditempo e reca fastidio discutere e udir discutere se Dante impiegò nel suo viaggio sette o nove o dieci giorni, e se nel Paradiso ventotto o quarantadue o settantadue ore, e a quale ora per l'appunto vi fece salita, se prima o dopo il mezzogiorno, e simili. Ma i dantisti ci costringono a ripeter su questo punto anche l'altra e più sostanziale censura, dell'antimetodicità del loro procedere, e a spiegare in che essa, nel caso particolare, consista Dante, per minuzioso e meticoloso che sia proceduto, ha pur lasciato lacune nel congegno del suo romanzo teologico, e, per attento che sia stato, è incorso in talune contraddizioni; fors'anche perché, come da alcuni si pensa, non poté dar l'ultima mano al poema, e sottomettere a generale riaccordo un'opera composta in più anni e sotto l'efficacia di molti e diversi avvenimenti. Se il suo lavoro fosse stato d'indole filosofica e critica, si potrebbe riempirne le lacune e risolverne le contraddizioni, come si usa nello studiare i filosofi, ripigliando e continuando le loro indagini e tirando le logiche conseguenze che dalle loro proposizioni derivano; ma, essendo, com'è, lavoro d'immaginazione, e appartenendo anche quel che egli non ha detto all'immaginario, non si può logicamente supplire, né quello in cui egli si è contraddetto si può conciliare, salvo che non si voglia continuare a lavorar d'immaginazione, senza le buone ragioni che spingevano Dante a farlo, e perciò almanaccando...

    C'è, quel che è peggio, un preconcetto, in quest'ardore di ricerche sulla topografia fisica e morale dei tre regni, che cioè tali notizie concorrano a determinare, e far comprendere e gustare, l'arte di Dante, il carattere di ciascuna delle tre cantiche e le ragioni del passaggio da una parte all'altra di ciascuna, da un episodio all'altro: onde la « storia » dell'altro mondo concepita come « storia estetica », e i legami e gli espedienti, come finezze d'arte. Ma poiché la struttura che abbiamo sommariamente delineata non nasce da motivo poetico, sibbene da un intento didascalico e pratico, essa non vale né a segnare il particolare carattere poetico, posto che vi sia, di ciascuna cantica, né i passaggi da una situazione poetica all'altra, e può dare solamente ciò che è nella sua natura, connessione estrinseca alla poesia e determinata da ragioni strutturali. Ogni sforzo che si faccia per convertire queste ragioni in ragioni estetiche è sterile spreco di acume. La poesia delle tre cantiche non si deduce dal concetto del viaggio pei tre regni, mercé il quale l'umanità, e Dante che la rappresenta, passerebbe dall'angoscia e rimorso pel peccato al pentimento e alla purgazione, e di là alla beatitudine o perfezione morale: questo è uno degli aspetti del romanzo teologico, ma non è il principio informativo della poesia che a esso aderisce. La bellissima rappresentazione dell'arsenale dei Veneziani non ritrova il suo ufficio e la sua giustificazione poetica nell'asserita intenzione che, com'è stato sottilizzato, Dante avrebbe avuta di contrapporre uno spettacolo di fervida operosità economica al malvagio affaccendarsi dei barattieri, che dà materia à quel canto; né l'escurso di Virgilio sull'origine di Mantova, nell'idea di dar saggio di storia veritiera tra le fandonie delle streghe e dei maghi; né Ulisse, che narra il suo ultimo eroico viaggio da esploratore, ha nulla che vedere coi fraudolenti, tra i quali è condannato. Ciascuno di quegli episodi sta per sé ed è una lirica a sé. E nemmeno si può considerare la struttura che sorregge la poesia come la « parte tecnica » del poema, giacché la tecnica (come ormai dovrebbe essere ammesso) o non esiste in arte o coincide con l'arte stessa, laddove la struttura della Commedia, avendo altra origine psicologica, non coincide interamente con la sua poesia...
    Una certa compressione non si può negare che il romanzo teologico eserciti talora sulla vena poetica, come si scorge in più casi che di frequente si ripresentano. Tale è la necessità della inserzione di parti meramente informative o di alcuni geroglifici allegorici, di che non occorrono prove particolari. Tale è la rottura della coerenza onde personaggi e scene, che hanno un lor proprio valore di commozione, un proprio significato sentimentale, sono poi costretti a servir da espedienti per somministrare certe notizie o certe spiegazioni dottrinali; e Farinata abbandona il suo disdegnoso atteggiamento ed esce dai pensieri, in cui è assorto, tutti patriottici e politici, per ispiegare i limiti della conoscenza del presente e del futuro nei dannati; e Matelda, da fata della primavera, diventa ancella ed esecutrice di riti espiatori; e Virgilio, e Dante stesso, quale esso è figurato nel poema, debbono prestarsi a tutte le necessità e sinuosità del racconto, e, come caratteri che si vogliano desumere dal complesso, sembrano troppo vari e discordanti dal modo in cui dapprima si presentano, Virgilio inviato dalle donne celesti, Dante, il peccatore che intraprende docile e compunto la via della purificazione. Tale è altresì la ripetizione di situazioni simili, che il poeta s'industria di variare senza poterne del tutto Vincere la monotonia; per esempio, la meraviglia delle anime del Purgatorio all'avvedersi che la persona di Dante gitta ombra, e gli schiarimenti che Virgilio deve di volta in volta somministrare ....

    Ma bisognerebbe, d'altra parte, rammentare anche la libertà che quello schema oltremondano ed enciclopedico concede ai moti più vari della fantasia di Dante, e notare l'efficacia benefica che quella compressione per altro verso esercita, e per la quale la poesia di Dante prende carattere di assoluta necessità, prorompendo attraverso lo schema, resa più vigorosa e intensa dall'ostacolo che le frappone e che essa sorpassa: cosicché a chi non credesse all'esistenza reale e autonoma della poesia e la reputasse cosa artifiziosa e di cui si possa far di meno, non si potrebbe offrire caso più chiaro da meditare che questo furore poetico di Dante teologo e politico, questo torrente che alta vena preme, che s'apre la via tra le rocce e i sassi e scorre impetuoso. E tanta è la sua forza, tanta la sua ricchezza, che esso penetra in tutti i cavi delle rocce e dei sassi e avvolge con le sue onde spumeggianti e col velo d'acqua che solleva lo spettacolo alpestre, a segno che sovente non si vede altro che il moto delle sue acque. La poesia di Dante, quando altro non può, avviva con freschissima fantasia i particolari delle disquisizioni e parti informative ed espedienti di racconto, e perfino le non infrequenti concettosità dell'erudito in istoria, mitologia e astronomia, e investe tutte queste cose col suo commosso e sublime accento.
    Per tale ragione, schema e poesia, romanzo teologico e lirica, non sono separabili nell'opera di Dante, come non sono separabili le parti nell'anima sua, di cui l'una condiziona l'altra e perciò confluisce nell'altra; e, in questo senso dialettico, la Commedia è sicuramente un'unità. Ma chi ha occhio e orecchio per la poesia discerne sempre, nel corso del poema, ciò che è strutturale e ciò che è poetico...

    Con ciò sembra chiarito il modo in cui bisogna trattare, o il conto in cui bisogna tenere, le parti strutturali della commedia, che non è di prenderle come schietta poesia, ma nemmeno di respingerle comepoesia sbagliata, sì invece di rispettarle come necessità pratiche dello spirito di Dante, e poeticamente soffermarsi in altro. Rispettarle come non usano i dantisti, quando, fissandole con occhio curioso e indiscreto, finiscono, consapevolmente o no, col celiarvi intorno, e discorrere del « domicilio coatto » di Virgilio, e dell'« alpinismo » di Dante, e simili. Ma non insistere in quelle e soffermarsi in altro, ossia leggere Dante proprio come tutti i lettori ingenui lo leggono e hanno ragione di leggerlo, poco badando all'altro mondo, pochissimo alle partizioni morali, nient'affatto alle allegorie, e molto godendo delle rappresentazioni poetiche, in cui tutta la sua multiforme passione si condensa, si purifica e si esprime. Si dirà, e si è detto, che a questo modo Dante viene profanato, togliendoglisi il pensiero religioso; e neanche è vero, perché gli si tolgono o meglio si prescinde solo da quei pensieri, religiosi o politici, o altri che siano, da lui non tradotti nella sua poesia, nella quale d'altra parte, pur vive tanta e seria e sincera religiosità, anche dove non sembra direttamente espressa: vive in tutte le più varie figurazioni, perché viveva nell'animo di Dante, se anche conciliata o equilibrata con altri sentimenti. Finalmente si dirà, e si è detto, che a questo modo si nega ogni unità nella poesia di Dante; e ciò è ancora non vero, perché quella che si nega è l'unità cercata fu della poesia, in un concetto o in uno schema pratico; e, per conseguenza, si rifiutano altresì tutte le vecchie e nuove dispute così sull'unità del concetto come sull'unità d'azione del poema, e sul protagonista, se ci sia o no e se sia Dante stesso, e simili. L'unità vera della poesia dantesca è lo spirito poetico di Dante, del Dante della Commedia, non quella complessiva del volume suo; e il carattere di ciascuna delle tre cantiche non si può ritrovarlo con l'analisi dei concetti dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, ma solo con la contemplazione della varia poesia che ciascuna di esse offre, e che, pur nella sua varietà, ha, in ciascuna delle cantiche, una certa fisionomia particolare, che la differenzia: non diversa per altro e non maggiore di quella che possono presentare tre libri in cui uno stesso poeta abbia raccolto, raggruppandole secondo talune affinità, le proprie liriche.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis