Oltre al poetare, se il
poetare è libertà, nulla si può ammettere che sia una negazione della sua
infinità. Il poetare non presuppone nulla: e il pensato, il mondo
intenzionale, la struttura, presuppongono assolutamente il poetare. Quindi
non mai dalla struttura e sulla struttura e per la struttura si genera la
poesia, ma è sempre la poesia a generare la sua struttura; e questa
proposizione non vale soltanto per Shakespeare, ma per Dante e per tutti i
poeti, quando facciano veramente poesia. Poiché le parti meramente
strutturali, che potessero valere per sé, prima della poesia, per noi non
saranno nemmeno felici come parti strutturali; ma saranno escogitazioni
fredde della fantasia debilitata, e costituiranno le parti prosaiche
dell'opera d'arte. E, nel caso di Dante in particolare, la sua fantasia
non presuppone storia, mitologia. astronomia, geometria, teologia da
avvivare con sue arti e freschezza di immagini; ma quel suo romanzo
politico-teologico è nient'altro che il concetto stesso della poesia,
quella che si dice la sua logica, la quale, una volta assunta dallo
scrittore, diventa necessaria alla poesia stessa, alla sua vita e al suo
svolgimento. Codesta struttura, che nella Commedia ci crea qualche
imbarazzo critico, è nient'altro che la poetica, la filosofia, la
religione, la si chiami come si vuole, che c'è nella poesia di tutti gli
artisti, anche del poeta più lirico e più aereo; quella struttura è il
mondo storico dell'artista in cui la poesia si spiega, e senza di essa la
poesia non potrebbe affermarsi attualmente. E io non posso fare la storia
della poesia dantesca senza fare al tempo stesso la storia della filosofia
di Dante, non posso fare la storia del suo mondo letterale e apparente
senza quella del mondo così detto recondito e intenzionale. Perché, a
voler sublimare la poesia dalla poetica, dell'artista, o, ciò che è lo
stesso, dalle parti strutturali dell'opera d'arte noi inseguiremmo
un'astratta possibilità; inseguiremmo l'ombra di un corpo, e perché il
corpo ci sfugge, ci sfugge anche l'ombra...
E se il Croce, giunti a questo punto, ci chiedesse se anche noi dunque
crediamo all'unità poetica della Commedia, noi naturalmente diremmo di sì,
perché la struttura per noi è nient'altro che lo stesso mondo storico
dell'artista in cui la sua poesia si riconosce e si attua; e se egli, per
questa nostra voracità critica di trovare tutto poesia nella Commedia,
pensasse bene di trovarci un posto nel numero di quei Troiani, che «
giunti alla riva italica, non sazi di mangiare il pane, addentarono anche
i larghi quadrati di farro, sui quali il pane era posato » noi sentiremmo,
ahimè, di non avere i denti e lo stomaco a ciò. Perché quando noi parliamo
di unità poetica, non vogliamo mai dire che tutto nella Commedia sia
poesia, ma soltanto che anche le parti strutturali sono generate da un
animus fondamentale poetico. In altri termini noi accettiamo la
distinzione tra Poesia e struttura, ma per l'appunto, distinzione di
poesia e struttura, e non viceversa. Non si tratta del semplice
capovolgimento grammaticale dei due termini, ché tale capovolgimento
potenzia un rapporto dialettico, veramente dinamico, fra i due momenti,
mentre la concepita preesistenza della struttura lascia sospettare che la
costruzione strutturale giaccia lì in una sua lenta mole e la poesia vi
svolazzi attorno e quando può vi incastoni qualche sua perla. In tal modo,
la distinzione tra poesia e struttura riesce statica, e tale da favorire
la pigrizia dei critici e certe squisitezze delibatorie dei lettori puri
di poesia. Nella stessa lettura critica che il Croce fa del poema, nella
parte ultima del suo volume, la poesia appare troppo sublimata al disopra
del romanzo politico-teologico, e di essa si fa la storia, assoluta dalle
relazioni con quell'altro elemento, o momento, con cui si predicava unita
in assidua vicenda. Bisogna distinguere si, ma non una volta per sempre,
ma nel vivo, e puntualmente, per non sbarazzarsi della didascalica,
dell'oratoria, della struttura, una volta per tutte, col pericolo di
lasciarle sospettare cose inferiori e, in ogni snodo, favorendo
involontariamente una certa pigrizia ermeneutica.
Poiché la distinzione tra poesia e struttura può generare, a un certo
punto, un sentimento di riposo nel critico, mentre c'è lì tanta parte
della poesia dantesca che aspetta ancora di essere scoperta, illuminata,
come scalpellata nella sua superficie scabra, per essere intesa nella sua
genesi fantastica, e oggi, muniti del canone crociano, si sarebbe tentati
invece di attribuirla più quietisticamente al momento pratico, al romanzo
teologico dello scrittore. Però il nostro insistere sull'unità poetica del
poema non procede dal grosso compiacimento, che è proprio di alcuni
professori, di immaginarsi la Commedia come tutto un bel blocco di poesia,
bello perché indiscutibile, per quello stesso gusto per cui il buon
borghese contemplava un tempo in immaginazione i tesori del Paese; in
verghe e lingotti d'oro, ben chiusi e serrati nelle casse dello Stato; ma
procede invece da irrequieto desiderio di sempre più intendere l'opera di
Dante, perché si continuino a fare i conti con la poesia di Dante, perché
quella poesia circoli nel nostro pensiero, perché, nell'incessante
esegesi, si sveli nella sua luce poetica anche quella parte che oggi ci
appare schema pratico e didascalico. Infatti noi siamo persuasi che il
massiccio della struttura nella Commedia è così massiccio per mala luce
del nostro sguardo, per insufficienza delle nostre conoscenze storiche:
nell'insufficiente dominio che noi abbiamo del mondo medievale noi non
sappiamo misurare equamente tutte le risonanze che quel mondo ebbe nella
fantasia dantesca, e la fatica dell'intendere è ancora spesso contrastata,
perché si avverta quella lieve musica che alita anche nelle parole più
aspre e intellettuali del Poeta. 1 progressi dell'esegesi dantesca saranno
un diradamento continuo, un alleggerimento, una trasfigurazione del
sistema, e quel massiccio strutturale si verrà via via attenuando, ed
estenuando, per l'interno lume che vi traspare. E la storia della critica
dantesca, nel passato, è riprova di ciò, ed è istruttiva, in particolar
modo, la fortuna del Paradiso, che, nell'avanzamento degli studi medievali
e dei metodi critici, è stato sempre più conquistato alla poesia e
alleggerito dalla mora della scolastica. Basterebbe pensare poi
all'incomprensione che, nel Settecento, in generale, si ebbe per la poesia
di Dante, e alle condanne che lo stesso Vico faceva del troppo latino e
della troppa teologia del suo autore, e ai grandi progressi spiegatisi poi
nella critica più illuminata del secolo XIX. E ai nostri tempi, proprio il
Croce ha saputo rilevare la poesia dell'atto dell'indagare e
dell'insegnare in passi del Paradiso, che parevano parti meramente
teologiche e strutturali, e il Vossler ha saputo finemente indicare come
la stessa dimostrazione della macchie lunari, nel canto secondo, abbia
un'animazione poetica, quale non si ritrova certamente, per lo stesso
argomento, nelle pagine del Convivio. E ciascun lettore attento di Dante
potrebbe testimoniare, come nella quotidiana familiarità col poema, parole
e versi si affinino sempre più, e come il chiarimento di un particolare
dottrinale, la soluzione di un dubbio, l'accertamento di un uso
linguistico, il disvelarsi di una tradizione medievale, valgano talvolta a
schiudere un'atmosfera di poesia, che prima mancava.
Però la nostra tesi dell'unità poetica vuole essere non una conclusione,
ma un avviamento, uno stimolo, una ricerca, un canone non di pace, ma di
irrequieta conquista. Non bisogna dimenticare poi quello che è il nostro
principio della poesia, intesa non più come liricità, distinguibile
grammaticalmente da tutto il resto, ma piuttosto, come generazione lirica,
come animus poetico, che investe di sé tutta una costruzione, tutta una
realtà spirituale. E però non vogliamo noi concludere a una concezione
panestetica della Commedia, come potrebbe giudicare qualche frettoloso, ma
a una concezione che è tanto panestetica per quanto si può dire
paralogistica: cioè a dire, noi vogliamo sentire la Commedia nella sua
armonia cosmica, e nella concretezza del suo sviluppo lirico-storico.
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