A penetrar davvero, negli
spiriti e nelle forme, la sostanza poetica della Vita Nova, giova non mai
dimenticarsi dell'ambiente letterario che la vide nascere, caratterizzato
dalle esperienze chiuse, aristocratiche, estremamente raffinate del «
dolce stil novo ». Solo in tal modo si potrà evitare di cadere nell'uno o
nell'altro de' due modi opposti, ma ugualmente fallaci, d'interpretazione
del romanzo dantesco, che han tenuto fino a poco fa il campo: voglio dir
quello di chi lo considera senz'altro come un racconto autobiografico, una
serie di notizie, quasi direi di documenti, sulla vita del poeta; ovvero
l'altro di chi vuol vedere in esso soltanto una finzione allegorica, una
complessa trama di simboli mistici, da interpretare. Entrambi gli
atteggiamenti trovano nella natura singolarissima della Vita Nova la loro
relativa giustificazione e insieme la loro condanna. Invero gli
allegoristi addurranno, come prove della loro interpretazione - a parte le
ragioni estrinseche, di scarso o nullo rilievo - le strane forme rituali
di questo racconto d'amore, l'assenza d'umanità o almeno di materialità,
l'atmosfera eterea e celeste, il discorso religioso qua e là punteggiato
di ricordi biblici, infine certi simboli evidenti, da Dante stesso posti e
dichiarati, com'è quello del tre e del nove. Senonché, a legger con
semplicità le pagine dell'Alighieri, ogni sospetto d'allegoria generale,
che investa tutta la narrazione, si dirada e sfuma. Nell'opera che Dante
stesso definì « fervida e passionata », contrapponendola alla maniera «
temperata e virile » del Convivio (proprio là dove accenna al carattere
dottrinale di quest'ultimo e alle allegorie che vi verranno proposte e
spiegate) non v'ha quasi traccia di linguaggio simbolico, se non in talune
espressioni e maniere del discorso che rimangono esteriori alla sostanza
del racconto. E se pur vi si parla talora « sotto vesta di figura »,
questa poi fa tutt'uno col « colore rettorico » (cap. XXV) e le
personificazioni stesse, e in particolare quella d'Amore, ci son
chiaramente additate da Dante medesimo come artifici letterari, per mezzo
dei quali ora ci descrive il contenuto della sua anima - ciò che il suo
cuore gli dice dentro « con la lingua d'Amore » (XXIV) - ora ci espone le
sue originali dottrine in un complicato problema di psicologia. Il «
libello » è certamente la storia d'un amore reale ed umano e esclude non
pur interpretazioni mistiche, o peggio settarie, ma anche troppo complesse
architetture dottrinali e numerosi ed ampi riferimenti filosofici: invero
è opera ingenua e giovanile, nella quale si rispecchia una cultura non
vasta né ordinata, bensì informe ancora e tumultuosa. (Insieme con
l'educazione biblica, v'appare una conoscenza, non sappiam quanto
profonda, de' maggiori poeti latini; una citazione, probabilmente di
seconda mano, da Aristotele; e soprattutto l'imitazione della letteratura
d'amore contemporanea). Rifiutate per altro le spiegazioni più o meno
stravaganti degli allegoristi, teniam presenti gli appigli che il libro
stesso di Dante offrì al loro sorgere.
Eviteremo così di cadere in quell'altro atteggiamento d'intatta e sicura
fede, ch'è privilegio di certi dantisti, i quali vengono a trattare una
opera di poesia alla stregua d'un documento biografico, dimenticando che i
due piani dell'arte e della vita procedon si paralleli, ma senza
confondersi mai. Perché se la Vita Nova non è certo un trattato mistico,
in veste d'allegoria, né un romanzo costruito con meri intenti d'arte,
neppure può esser definita senz'altro un libro di memorie: e la verità del
suo contenuto non è tanto dei particolari singoli, quanto di tutta
l'esperienza sentimentale che la pervade. Occorre notare per altro che
tanta insistente curiosità intorno alle vicende reali, che possono aver
suggerito e in parte collaborato ad intessere la trama del racconto, non
poteva essere al tutto ingiustificata e arbitraria: invero, per quanto da
taluno s'insista sull'atmosfera fantastica del libello, è pur certo che
non pochi luoghi esso ci AN l'impressione d'una verità immediata e neppur
ricreata poeticamente. Più precisamente si dovrà dire che la Vita Nova
appartiene a quel tipo di opere letterarie, nelle quali (proprio perché
l'elaborazione artistica e gli artifici retorici vi son più, evidenti e
men mascherato il lavoro di composizione e l'ordinamento architettonico
delle parti) i particolari autobiografici ne acquistano, in paragone e per
contrasto, un maggior rilievo: e questi e quelli, insomma, non riescono a
fondersi in un quadro vivo e armonioso. Indubbiamente le ragioni dei
realisti sono assai più forti e probative che non quelle degli allegoristi
e vogliono essere tenute in maggior conto...
D'altronde l'interpretazione meramente biografica della Víta Nova è non
pur resa impossibile, o almeno limitata di molto, dall'insorgere di mille
dubbi particolari, destinati a rimanere insoluti, bensì anche, direi,
vietata in certo modo dal tono medesimo complessivo del libro, nel quale
_, sarebbe irragionevole negar l'intervento vasto e profondo d'una volontà
x costruttiva, che la realtà umana rielabora, secondo una sua visione
intellettuale ed artistica, in uno svolgimento progressivo e rettilineo,
liberato da ogni vicenda accidentale od incoerente, ridotto ai suoi
momenti essenziali. Fin dove è giunta l'azione di questa volontà
costruttiva? s'è limitata essa a riordinare, interpretandoli secondo un
criterio nuovo di giudizio (che sarebbe già un deformarli, sia pur
parzialmente), gli eventi dell'amore reale per Beatrice, ovvero li ha
profondamente modificati, ora impoverendoli ora arricchendoli, per farli
aderire alle linee d'una narrazione tipica e affatto fantastica? Quanto a
noi, crediamo che un'esperienza vera, un sentimento vivo e appassionato,
trovi bensì la sua espressione nella Vita Nova: senonché quel sentimento
riesce a manifestarsi, e talora a diventar poesia, solo per la via
dell'arte, intesa; secondo il costume dello « stil novo », nel doppio
significato di maniera letteraria e di elaborazione concettuale.
Ed ecco perché fin dal principio s'è detto che, ad intendere davvero nella
sua precisa cornice storica il libretto giovanile di Dante, occorreva
ricollegarlo a quel singolare e raffinato clima di cultura che, culminando
per noi nel movimento poetico del dolce stile, ha pur le sue radici
profonde in tutta la letteratura artistica dottrinale mistica filosofica
dei secoli di mezzo, e non d'Italia soltanto...
Anche la Vita Nova è un'espressione poetica del dolce stile: e così
nell'insieme come nei particolari, è impossibile comprenderla davvero, se
non la s'inquadri in quella vasta corrente lirica che dal Guinizelli,
attraverso il Cavalcanti e Cino da Pistoia e i minori, arriva fino al
Petrarca. Non può pertanto esser interpretata senz'altro veristicamente,
quasi fosse la trascrizione precisa e documentabile d'un brano di realtà
vissuta. Ma neppure è il caso di chiuder gli occhi alle chiare e sicure
testimonianze, che ci additano una sostanza di verità alle origini e nel
nucleo essenziale del racconto. Gli stessi artifici retorici e dottrinali,
la pesantezza medesima - astratta e numerica - dei simboli, ci mostrano lo
sforzo durato dal poeta per trasportare un episodio della sua vita sul
piano diverso e più alto, se non della poesia, almeno della letteratura.
Ne risulta un contrasto più accentuato, un più stridente gioco di luce e
d'ombra, fra gli episodi e i particolari desunti dall'esistenza comune e
quotidiana da un lato, e dall'altro lato le visioni, i dialoghi tra le
facoltà dell'animo, le dissertazioni didascaliche, i complicati giochi
numerici. Alle radici del romanzo è di certo una sostanza umana, anzi
autobiografica: senonché Dante, ispirandosi all'ideale di arte
aristocratica e dotta bandito dallo « stil novo », non ha voluto tradurre
la vita nella sua immediatezza e neppure ha saputo farla diventar poesia
senza passare per la strada della letteratura. Egli è un giovane (non lo
si dimentichi) e la sua carriera artistica è appena agli inizi: inoltre,
cosa anche questa troppo spesso dimenticata o ignorata, egli si trova a
vivere in un clima letterario raffinato e colto, sottile e non privo d'una
sua giovanile pedanteria. La storia dell'amore di Dante prende per ciò,
nella Vita Nova, aspetto generale e tipico, assoluto, quasi direi
filosofico: diventa la descrizione della vicenda d'amore in sé stesso,
degli effetti che quel sentimento produce nell'animo dell'amante, della
trasformazione morale che vi opera. Allo stesso modo la tragedia della
morte di Beatrice e, dopo un primo periodo di smarrimento e d'angoscioso
brancolare, il crescer nell'animo del giovane poeta d'una nuova vigorosa
potenza di fede, si traducono nel « libello » in un tono di devota biblica
solennità, che a tutta prima può sembrarci astratto: e il romanzo
dell'amor perfetto, che in altri stilnovisti è più umano e drammatico,
prende in Dante un singolare color religioso, un'intonazione celeste.
Non sarà inopportuno ripercorrere brevemente la linea logica della
narrazione. L'uomo toccato dall'amore ne deriva anzitutto un miglioramento
generale, un'elevazione dei costumi, una nuova gentilezza dell'animo: cui
corrisponde d'altro canto un affinamento e struggimento fisico. Senonché
egli è preso dapprima da rispetto umano: teme i discorsi altrui, teme di
mostrare agli altri la sua nuova, più nobile ma anche più strana,
coscienza; e intanto cerca di persuadersi che è necessario che 1a sua
passione rimanga occulta perché non sia deformata e avvilita dai contatti
esterni: donde l'episodio delle donne-schermo. Liberatosi da cotesti
infingimenti e rinunziato ad ogni contatto esteriore, e persino al saluto,
l'amante - nella sua platonica solitudine - tocca, insieme con un profondo
dolore, un'altezza spirituale e morale mai raggiunta: che si rispecchia
nelle poesie della « lode ». Ma interviene la morte della donna: momento
di paurosa angoscia, dal quale l'innamorato esce dapprima smarrito ed
incerto: cerca un rifugio di consolazione, di pietà: la Donna Gentile.
Poi, allontanandosi nel tempo la data dolorosa, incomincia a rifletter su
sé stesso, a prender chiara coscienza di ciò che gli è avvenuto, a
intenderne il significato più alto e segreto. Allora s'avvede che non la
presenza della donna, e neppur la sua immagine reale, o anche solo la lode
di lei come donna, è il contenuto più profondo del sentimento che ha
trasfigurato tutta la sua vita, e nel quale ritrova ora, dopo l'oblio d'un
istante, la sua consolazione più vera. Il sentimento è palpito in sé puro
e infinitamente vasto, che sussiste, esaurite anche tutte le condizioni
esteriori tra le quali e per le quali pareva esser nato. La donna, che
parve angelo in terra, vive ora con gli angeli in cielo. E al cielo si
rivolge, con il suo amore purificato, l'amante che, mosso dalla passione
terrena, è giunto in modo misterioso ed esemplare al sommo apice della
caritas divina.
Sotto gli schemi un po' rigidi dell'amor perfetto (se sapremo con mano
cauta e leggera spogliarlo degli artifici e dei simboli, del resto quasi
tutti trasparentissimi che lo ricoprono) troveremo un dramma umano che è
di tutti i tempi: finché almeno vi saranno al mondo giovani con i loro
amori vergini e contemplativi, e purificazioni e conversioni nate
dall'angoscia e dalla morte. Su questo dramma umano naturalmente dovremo
appuntare la nostra attenzione critica, se vogliam renderci conto della
poesia che la Vita Nova contiene: ma converrà non dimenticare al tempo
stesso che il « libello », nella mente di Dante, è anche in certo modo
un'opera simbolica e quasi direi didattica: nella quale però allegoria e
senso letterale, narrazione e insegnamento son strettamente e stranamente
fusi e quasi forman tutt'uno. Studio di sottile complicata e raffinata
psicologia, s'accentra nel personaggio del poeta, che racconta la sua
angoscia, la sua solitaria riflessione, la difficile conquista della sua
purezza. Ché se la donna, Beatrice, ci parrà troppo lontana e smorta, e le
linee della sua figura pallide e incerte, dovremo pensare che la vediamo
sempre soltanto indirettamente, nello specchio vivo e mobile in cui
l'ombra di lei si riflette. E insomma, ad intender bene tutto il romanzo,
gioverà saperlo considerare nella sua natura singolarissima, che sta a
mezzo tra la vita e la letteratura, la poesia e la scienza: della vita e
della poesia tengono gli slanci sinceri, pur nella loro delicata fralezza,
del sentimento; alla letteratura, alla scienza si debbono invece gli
schemi esteriori, i simboli, ma insieme anche quell'atmosfera un po'
trasognata ed astratta, nella quale il dramma trova la forma singolare del
suo svolgimento e ad un tempo i suoi limiti.
Solo da un punto di vista siffatto è possibile dare della Vita Nova una
valutazione estetica positiva: mentre un critico realista dovrà alla fine
riconoscerla povera ed insufficiente secondo il suo gusto; e il mistico e
il simbolista poi escludono a priori, sia pure inconsapevolmente, ogni
valore di poesia. Invero la Vita Nova non è tutta una lirica compatta ed
omogenea e neppure soltanto un gioco allegorico e didascalico: è opera
complessa e multiforme, nella quale la poesia vivace e calda spesso si
trova accanto ad una prosa ancor ampollosa o squallida, la sincera
espressione degli intimi affetti erompe talora con difficoltà attraverso
il gergo manierato del giovane poeta ancor sottomesso ed impacciato dalle
regole della sua scuola. Cosicché non hanno avuto torto quei critici (tra
i quali, con maggior chiarezza, il Croce) che hanno sentito nel romanzo
qualcosa d'artificioso, d'immaturo, d'acerbo; e hanno quindi posto tra
esso e la Commedia un profondo distacco. E veramente, se al maggior poema
la Vita Nova si riattacca per l'animo religioso che già la pervade, ne è
lontanissima come opera di poesia. L'arte del « dolce stil novo », cui
essa appartiene, è (insieme con tutte le altre correnti della lirica
interiore - amorosa e mistica - del medio evo) sulla strada che conduce
all'analisi complicata e raffinatissima del Petrarca: ma la Commedia
rimane al di fuori di questa linea, e più in alto.
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