DANTE ALIGHIERI

  • LA VITA NOVA
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    Autore: Natalino Sapegno Tratto da: Pagine di storia letteraria

     
         

    A penetrar davvero, negli spiriti e nelle forme, la sostanza poetica della Vita Nova, giova non mai dimenticarsi dell'ambiente letterario che la vide nascere, caratterizzato dalle esperienze chiuse, aristocratiche, estremamente raffinate del « dolce stil novo ». Solo in tal modo si potrà evitare di cadere nell'uno o nell'altro de' due modi opposti, ma ugualmente fallaci, d'interpretazione del romanzo dantesco, che han tenuto fino a poco fa il campo: voglio dir quello di chi lo considera senz'altro come un racconto autobiografico, una serie di notizie, quasi direi di documenti, sulla vita del poeta; ovvero l'altro di chi vuol vedere in esso soltanto una finzione allegorica, una complessa trama di simboli mistici, da interpretare. Entrambi gli atteggiamenti trovano nella natura singolarissima della Vita Nova la loro relativa giustificazione e insieme la loro condanna. Invero gli allegoristi addurranno, come prove della loro interpretazione - a parte le ragioni estrinseche, di scarso o nullo rilievo - le strane forme rituali di questo racconto d'amore, l'assenza d'umanità o almeno di materialità, l'atmosfera eterea e celeste, il discorso religioso qua e là punteggiato di ricordi biblici, infine certi simboli evidenti, da Dante stesso posti e dichiarati, com'è quello del tre e del nove. Senonché, a legger con semplicità le pagine dell'Alighieri, ogni sospetto d'allegoria generale, che investa tutta la narrazione, si dirada e sfuma. Nell'opera che Dante stesso definì « fervida e passionata », contrapponendola alla maniera « temperata e virile » del Convivio (proprio là dove accenna al carattere dottrinale di quest'ultimo e alle allegorie che vi verranno proposte e spiegate) non v'ha quasi traccia di linguaggio simbolico, se non in talune espressioni e maniere del discorso che rimangono esteriori alla sostanza del racconto. E se pur vi si parla talora « sotto vesta di figura », questa poi fa tutt'uno col « colore rettorico » (cap. XXV) e le personificazioni stesse, e in particolare quella d'Amore, ci son chiaramente additate da Dante medesimo come artifici letterari, per mezzo dei quali ora ci descrive il contenuto della sua anima - ciò che il suo cuore gli dice dentro « con la lingua d'Amore » (XXIV) - ora ci espone le sue originali dottrine in un complicato problema di psicologia. Il « libello » è certamente la storia d'un amore reale ed umano e esclude non pur interpretazioni mistiche, o peggio settarie, ma anche troppo complesse architetture dottrinali e numerosi ed ampi riferimenti filosofici: invero è opera ingenua e giovanile, nella quale si rispecchia una cultura non vasta né ordinata, bensì informe ancora e tumultuosa. (Insieme con l'educazione biblica, v'appare una conoscenza, non sappiam quanto profonda, de' maggiori poeti latini; una citazione, probabilmente di seconda mano, da Aristotele; e soprattutto l'imitazione della letteratura d'amore contemporanea). Rifiutate per altro le spiegazioni più o meno stravaganti degli allegoristi, teniam presenti gli appigli che il libro stesso di Dante offrì al loro sorgere.
    Eviteremo così di cadere in quell'altro atteggiamento d'intatta e sicura fede, ch'è privilegio di certi dantisti, i quali vengono a trattare una opera di poesia alla stregua d'un documento biografico, dimenticando che i due piani dell'arte e della vita procedon si paralleli, ma senza confondersi mai. Perché se la Vita Nova non è certo un trattato mistico, in veste d'allegoria, né un romanzo costruito con meri intenti d'arte, neppure può esser definita senz'altro un libro di memorie: e la verità del suo contenuto non è tanto dei particolari singoli, quanto di tutta l'esperienza sentimentale che la pervade. Occorre notare per altro che tanta insistente curiosità intorno alle vicende reali, che possono aver suggerito e in parte collaborato ad intessere la trama del racconto, non poteva essere al tutto ingiustificata e arbitraria: invero, per quanto da taluno s'insista sull'atmosfera fantastica del libello, è pur certo che non pochi luoghi esso ci AN l'impressione d'una verità immediata e neppur ricreata poeticamente. Più precisamente si dovrà dire che la Vita Nova appartiene a quel tipo di opere letterarie, nelle quali (proprio perché l'elaborazione artistica e gli artifici retorici vi son più, evidenti e men mascherato il lavoro di composizione e l'ordinamento architettonico delle parti) i particolari autobiografici ne acquistano, in paragone e per contrasto, un maggior rilievo: e questi e quelli, insomma, non riescono a fondersi in un quadro vivo e armonioso. Indubbiamente le ragioni dei realisti sono assai più forti e probative che non quelle degli allegoristi e vogliono essere tenute in maggior conto...

    D'altronde l'interpretazione meramente biografica della Víta Nova è non pur resa impossibile, o almeno limitata di molto, dall'insorgere di mille dubbi particolari, destinati a rimanere insoluti, bensì anche, direi, vietata in certo modo dal tono medesimo complessivo del libro, nel quale _, sarebbe irragionevole negar l'intervento vasto e profondo d'una volontà x costruttiva, che la realtà umana rielabora, secondo una sua visione intellettuale ed artistica, in uno svolgimento progressivo e rettilineo, liberato da ogni vicenda accidentale od incoerente, ridotto ai suoi momenti essenziali. Fin dove è giunta l'azione di questa volontà costruttiva? s'è limitata essa a riordinare, interpretandoli secondo un criterio nuovo di giudizio (che sarebbe già un deformarli, sia pur parzialmente), gli eventi dell'amore reale per Beatrice, ovvero li ha profondamente modificati, ora impoverendoli ora arricchendoli, per farli aderire alle linee d'una narrazione tipica e affatto fantastica? Quanto a noi, crediamo che un'esperienza vera, un sentimento vivo e appassionato, trovi bensì la sua espressione nella Vita Nova: senonché quel sentimento riesce a manifestarsi, e talora a diventar poesia, solo per la via dell'arte, intesa; secondo il costume dello « stil novo », nel doppio significato di maniera letteraria e di elaborazione concettuale.
    Ed ecco perché fin dal principio s'è detto che, ad intendere davvero nella sua precisa cornice storica il libretto giovanile di Dante, occorreva ricollegarlo a quel singolare e raffinato clima di cultura che, culminando per noi nel movimento poetico del dolce stile, ha pur le sue radici profonde in tutta la letteratura artistica dottrinale mistica filosofica dei secoli di mezzo, e non d'Italia soltanto...

    Anche la Vita Nova è un'espressione poetica del dolce stile: e così nell'insieme come nei particolari, è impossibile comprenderla davvero, se non la s'inquadri in quella vasta corrente lirica che dal Guinizelli, attraverso il Cavalcanti e Cino da Pistoia e i minori, arriva fino al Petrarca. Non può pertanto esser interpretata senz'altro veristicamente, quasi fosse la trascrizione precisa e documentabile d'un brano di realtà vissuta. Ma neppure è il caso di chiuder gli occhi alle chiare e sicure testimonianze, che ci additano una sostanza di verità alle origini e nel nucleo essenziale del racconto. Gli stessi artifici retorici e dottrinali, la pesantezza medesima - astratta e numerica - dei simboli, ci mostrano lo sforzo durato dal poeta per trasportare un episodio della sua vita sul piano diverso e più alto, se non della poesia, almeno della letteratura. Ne risulta un contrasto più accentuato, un più stridente gioco di luce e d'ombra, fra gli episodi e i particolari desunti dall'esistenza comune e quotidiana da un lato, e dall'altro lato le visioni, i dialoghi tra le facoltà dell'animo, le dissertazioni didascaliche, i complicati giochi numerici. Alle radici del romanzo è di certo una sostanza umana, anzi autobiografica: senonché Dante, ispirandosi all'ideale di arte aristocratica e dotta bandito dallo « stil novo », non ha voluto tradurre la vita nella sua immediatezza e neppure ha saputo farla diventar poesia senza passare per la strada della letteratura. Egli è un giovane (non lo si dimentichi) e la sua carriera artistica è appena agli inizi: inoltre, cosa anche questa troppo spesso dimenticata o ignorata, egli si trova a vivere in un clima letterario raffinato e colto, sottile e non privo d'una sua giovanile pedanteria. La storia dell'amore di Dante prende per ciò, nella Vita Nova, aspetto generale e tipico, assoluto, quasi direi filosofico: diventa la descrizione della vicenda d'amore in sé stesso, degli effetti che quel sentimento produce nell'animo dell'amante, della trasformazione morale che vi opera. Allo stesso modo la tragedia della morte di Beatrice e, dopo un primo periodo di smarrimento e d'angoscioso brancolare, il crescer nell'animo del giovane poeta d'una nuova vigorosa potenza di fede, si traducono nel « libello » in un tono di devota biblica solennità, che a tutta prima può sembrarci astratto: e il romanzo dell'amor perfetto, che in altri stilnovisti è più umano e drammatico, prende in Dante un singolare color religioso, un'intonazione celeste.
    Non sarà inopportuno ripercorrere brevemente la linea logica della narrazione. L'uomo toccato dall'amore ne deriva anzitutto un miglioramento generale, un'elevazione dei costumi, una nuova gentilezza dell'animo: cui corrisponde d'altro canto un affinamento e struggimento fisico. Senonché egli è preso dapprima da rispetto umano: teme i discorsi altrui, teme di mostrare agli altri la sua nuova, più nobile ma anche più strana, coscienza; e intanto cerca di persuadersi che è necessario che 1a sua passione rimanga occulta perché non sia deformata e avvilita dai contatti esterni: donde l'episodio delle donne-schermo. Liberatosi da cotesti infingimenti e rinunziato ad ogni contatto esteriore, e persino al saluto, l'amante - nella sua platonica solitudine - tocca, insieme con un profondo dolore, un'altezza spirituale e morale mai raggiunta: che si rispecchia nelle poesie della « lode ». Ma interviene la morte della donna: momento di paurosa angoscia, dal quale l'innamorato esce dapprima smarrito ed incerto: cerca un rifugio di consolazione, di pietà: la Donna Gentile. Poi, allontanandosi nel tempo la data dolorosa, incomincia a rifletter su sé stesso, a prender chiara coscienza di ciò che gli è avvenuto, a intenderne il significato più alto e segreto. Allora s'avvede che non la presenza della donna, e neppur la sua immagine reale, o anche solo la lode di lei come donna, è il contenuto più profondo del sentimento che ha trasfigurato tutta la sua vita, e nel quale ritrova ora, dopo l'oblio d'un istante, la sua consolazione più vera. Il sentimento è palpito in sé puro e infinitamente vasto, che sussiste, esaurite anche tutte le condizioni esteriori tra le quali e per le quali pareva esser nato. La donna, che parve angelo in terra, vive ora con gli angeli in cielo. E al cielo si rivolge, con il suo amore purificato, l'amante che, mosso dalla passione terrena, è giunto in modo misterioso ed esemplare al sommo apice della caritas divina.

    Sotto gli schemi un po' rigidi dell'amor perfetto (se sapremo con mano cauta e leggera spogliarlo degli artifici e dei simboli, del resto quasi tutti trasparentissimi che lo ricoprono) troveremo un dramma umano che è di tutti i tempi: finché almeno vi saranno al mondo giovani con i loro amori vergini e contemplativi, e purificazioni e conversioni nate dall'angoscia e dalla morte. Su questo dramma umano naturalmente dovremo appuntare la nostra attenzione critica, se vogliam renderci conto della poesia che la Vita Nova contiene: ma converrà non dimenticare al tempo stesso che il « libello », nella mente di Dante, è anche in certo modo un'opera simbolica e quasi direi didattica: nella quale però allegoria e senso letterale, narrazione e insegnamento son strettamente e stranamente fusi e quasi forman tutt'uno. Studio di sottile complicata e raffinata psicologia, s'accentra nel personaggio del poeta, che racconta la sua angoscia, la sua solitaria riflessione, la difficile conquista della sua purezza. Ché se la donna, Beatrice, ci parrà troppo lontana e smorta, e le linee della sua figura pallide e incerte, dovremo pensare che la vediamo sempre soltanto indirettamente, nello specchio vivo e mobile in cui l'ombra di lei si riflette. E insomma, ad intender bene tutto il romanzo, gioverà saperlo considerare nella sua natura singolarissima, che sta a mezzo tra la vita e la letteratura, la poesia e la scienza: della vita e della poesia tengono gli slanci sinceri, pur nella loro delicata fralezza, del sentimento; alla letteratura, alla scienza si debbono invece gli schemi esteriori, i simboli, ma insieme anche quell'atmosfera un po' trasognata ed astratta, nella quale il dramma trova la forma singolare del suo svolgimento e ad un tempo i suoi limiti.

    Solo da un punto di vista siffatto è possibile dare della Vita Nova una valutazione estetica positiva: mentre un critico realista dovrà alla fine riconoscerla povera ed insufficiente secondo il suo gusto; e il mistico e il simbolista poi escludono a priori, sia pure inconsapevolmente, ogni valore di poesia. Invero la Vita Nova non è tutta una lirica compatta ed omogenea e neppure soltanto un gioco allegorico e didascalico: è opera complessa e multiforme, nella quale la poesia vivace e calda spesso si trova accanto ad una prosa ancor ampollosa o squallida, la sincera espressione degli intimi affetti erompe talora con difficoltà attraverso il gergo manierato del giovane poeta ancor sottomesso ed impacciato dalle regole della sua scuola. Cosicché non hanno avuto torto quei critici (tra i quali, con maggior chiarezza, il Croce) che hanno sentito nel romanzo qualcosa d'artificioso, d'immaturo, d'acerbo; e hanno quindi posto tra esso e la Commedia un profondo distacco. E veramente, se al maggior poema la Vita Nova si riattacca per l'animo religioso che già la pervade, ne è lontanissima come opera di poesia. L'arte del « dolce stil novo », cui essa appartiene, è (insieme con tutte le altre correnti della lirica interiore - amorosa e mistica - del medio evo) sulla strada che conduce all'analisi complicata e raffinatissima del Petrarca: ma la Commedia rimane al di fuori di questa linea, e più in alto.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis