Veramente il Gozzano non possiamo rinchiuderlo nella «
letteratura della nuova Italia », o nei salotti borghesi
dell'Italia umbertina e quindi giolittiana: la sua ironia,
l'intensità stessa della sua ricerca prosaica, ci sembrano
annunciare qualcosa d'altro a cui non poterono giungere né il
Carducci, né il Pascoli, e nemmeno il D'Annunzio cosiddetto
notturno. Va bene che oggi è venuto di moda ritrovare in
questi tre poeti le matrici morali e stilistiche della poesia
del Novecento, e anche al sottoscritto è accaduto di
sottolineare alcuni presentimenti pascoliani specialmente in
senso montaliano ; ma ormai sembra anche venuto il momento
dello equilibrio e delle giuste proporzioni, perché troppo
facilmente si può dimenticare che una cosa è il centro d'una
personalità poetica, e ben altra è questo o quell'aspetto
marginale, isolando il quale noi non potremmo più dare a una
strofa o a una particolare poesia il nome del suo autore. Ci
son versi del Pascoli che, una volta isolati, non sembrano più
del Pascoli; il quale invece noi lo spieghiamo nella somma
dell'opera richiamandoci alle ottocentesche poetiche della
musique e in genere tenendo presente aspetti di sensibilità e
di tecnica che affermatisi nell'Europa romantica dai primi
anni del secolo XIX (ricordare i romantici inglesi Wordsworth,
Coleridge, Keats...; e che in Inghilterra, Germania, Francia,
lo stesso settecentesco preromanticismo ha tinte assai spesso
più romantiche del pieno romanticismo italiano; e che il
Pascoli amò sentirsi vicino al Leopardi e al Tommaseo, i due
poeti più romantici, in senso europeo, dell'Ottocento
italiano) in Italia ebbero diffusione e adattamenti solo nella
seconda metà dello stesso secolo, e tanto nuovi e stravaganti
apparvero rispetto alla nostra tradizione, che s'è fatto
ricorso con eccessiva fiducia alla parola « decadentismo » per
classificarli, col felice risultato di non pochi equivoci e
confusioni. Ritroviamo del Pascoli e del D'Annunzio, non solo
nel Gozzano, ma anche in Montale e perfino in poeti posteriori
a Montale. D'accordo, e con ciò? Si provi a ripensare ai segni
di educazione arcadica rintracciabili nel Leopardi; o a quanto
Parini ritroviamo nel Foscolo. L'ode All'amica risanata ci fa
tornare subito in mente il Parini. Ma a un tratto, con un
verso solo: « le nate a vaneggiar menti mortali » , il Foscolo
licenzia tutto il secolo dei lumi e pone fra sé e il suo
maestro una distanza decisiva. Qualcosa di simile ci pare che
accada fra il Gozzano e il Pascoli; per non parlare del
Carducci, a caratterizzare il quale dobbiamo aiutarci non solo
con la lettura di poesie come Pianto antico o San Martino, ma
anche coi precisi aspetti della sua opera critica, e coi suoi
umori politici e morali, con tutti gli elementi di cui
assolutamente dobbiamo tener conto per non snaturarlo e per
rispettarlo nella sua statura di gran personaggio
dell'Ottocento italiano. Col D'Annunzio i rapporti del Gozzano
sono piuttosto complessi, e meriterebbero uno studio
particolare. Dal Pascoli può egli aver tratto lo stimolo a
insistere sul tono discorsivo e prosaico che gli proponevano
poesie come La tuia malattia («L'altr'anno, ero malato, ero
lontano, a Messina; col tifo») o Il ritratto («Nel collegio di
Urbino il mio fratello faceva in grande un piccolo ritratto»),
e particolarmente da alcuni Canti di Castelvecchio può aver
derivato qualche cadenza come l'andamento musicale
dell'Assenza. Ma dal Carducci? Il Carducci non può essere
stato per il Cozzano che un esempio di serietà, di disciplina
artistica e un richiamo generico allo studio dei classici. Ciò
ha avuto la sua importanza; ma non serve ad indicarci una
linea d'indagine veramente proficua, dato pure che senza
eccessivo sforzo possiamo immaginare con quale segreto sorriso
il Gozzano guardasse alle ingenuità oratorie e patriottiche
del «vate d'Italia a la stagion più bella».
Comunque, il Gozzano ebbe presto coscienza del suo «giovanile
errore» e precisamente sui ventidue anni; e un critico esperto
come il Calcaterra, che per di più gli fu amico, poté darci
testimonianza di questo suo passaggio alla maturità: dalla
giovanile ammirazione per Carducci, Pascoli e D'Annunzio
(Nietzsche compreso), allo studio dei classici, e primo fra
questi il Petrarca. |