Una riprova di come nel De Sanctis un sano romanticismo
accoppiasse l'amore per una connessione filosofica con il
gusto dell'individuale concreto, è costituita dai rapporti con
la filosofia di Hegel. Fin dal primo momento si può notare,
accanto all'entusiasmo per una ricchezza ideale, quella certa
sana diffidenza verso la dottrina di Hegel in quanto
inapplicabile alla critica. Parlando della lirica, della sua
presente vitalità, critica l'hegelismo che a tale attualità
della poesia si opponeva: « Hegel fondatore e capo della
scuola moderna sostiene che ha percorso tutti i suoi vari
cicli e che il presente è l'ultimo di questi e perciò
l'umanità si è fermata. E per la poesia in genere e per la
lirica viene negata ogni possibilità di progresso. L'epica e
la drammatica, secondo Hegel, finiscono nella prosa e seguono
ormai le sorti di questa, ma per la lirica non c'è scampo. Il
presente lirico è finito, tutto è prosa. E se oggi si vuol
innalzare qualche grido lirico, bisogna rivolgerlo al passato,
ai tempi di Grecia e di Roma, perché il presente non può più
ispirarlo. Questa dottrina di Hegel e della sua scuola è
falsissima. Anzitutto l'impressione è sempre del presente
anche quando l'azione che ne è la causa sia passata ed antica
.... Ma poi, negare che oggi possa darsi poesia lirica, è
contraddire apertamente i fatti... Leopardi e Manzoni non
protestano contro allo Hegel ed a tutti i suoi seguaci? V'ha
d'uopo di altro per confutare costoro?». Questo brano
chiarisce la qualità dell'apporto di Hegel e la natura più
vera del De Sanctis che si oppone alle conclusioni rigorose
della dialettica applicata alla storia dello spirito, mediante
un sano controllo della realtà della poesia: le conseguenze
astratte hegeliane non potevano aver nessuna presa sul critico
che sta alla testimonianza della poesia in concreto. Dice il
De Sanctis nel '79, nella conferenza sul verismo zoliano. «E
chi mi ha seguito nella mia vita intellettuale, vedrà che sin
da quel tempo che Hegel era padrone del campo, io ho fatto le
mie riserve e non ho accettato il suo apriorismo, la sua
trinità, le sue formule». Ma l'influenza vera di Hegel fu la
spinta a speculare direttamente sull'estetica, a dare una base
filosofica alla sua critica: non dunque tanto adottare
integralmente l'hegelismo quanto trarne lo spunto per una
certezza filosofica su cui basare il proprio metodo critico.
E' così in diretto rapporto al suo studio dell'«Estetica
hegeliana», che nel 1844 il De Sanctis inizia un vero e
proprio corso sull'estetica, lontano ormai dal purismo,
desideroso di sviluppare quell'innato bisogno di una base
filosofica senza la quale la sua grande pratica critica gli
sembrava empirica: la teoria viene limata in base
all'esperienza viva della letteratura, e l'esperienza non
resta suggerimento di considerazioni puramente empiriche,
investita com'è della luce della teoria.
Tanta fu l'impressione che il De Sanctis riportò dell'Estetica
hegeliana, che nel '45-46 il corso che verteva sulla storia
della critica (il titolo stesso ci dice il progresso fatto dal
De Sanctis dai corsi sulla Grammatica e sullo Stile a questo
che ha un deciso carattere storico e impegnativamente critico)
fu visto con un forte movimento dialettico e come preparazione
alla formulazione hegeliana. Cominciava dalla storia della
critica antica in cui vedeva come punti essenziali Tacito
perché con lui la critica divenne storica, gli Alessandrini in
reazione all'intellettualismo aristotelico, pieni
dell'impressione e del gusto dell'arte. Esaminava i
trattatisti del '500, gli estetici del '-70o, le parzialità di
quelli contro la certezza storica dei nuovi. E dimostrava una
chiara coscienza romantica del nuovo acquisto nel campo
critico: «il Vico per primo aprì un indirizzo (proseguito poi
in Germania) che rende possibili le spiegazioni di tutte le
azioni e di tutte le opere d'arte, nel quale non si passa da
scuola a scuola, secondo gli individui, ma da civiltà a
civiltà. In questa concezione i capolavori delle civiltà
anteriori non vanno perduti perché restano come monumenti di
civiltà. Alla vita degli autori Vico sostituì la vita dei
popoli, alla biografia la storia: così la critica divenne
veramente storica». Merito essenziale del Vico ma non
posizione di arrivo come quella di Hegel. «Gli aristotelici
considerarono l'arte negli artifici esterni, i francesi la
videro nell'uomo; gli alemanni nella società; e queste tre
scuole si fermarono nel principio della critica subbiettiva.
Oggi deve vedersi, se l'arte possa essere considerata in se
stessa, fuori dello spazio e del tempo: e questa
considerazione obbiettiva dell'arte va unita al nome di
Hegel».
Ma nella stessa esposizione dell'Estetica hegeliana, di cui
abbiamo solo parzialmente gli appunti, si vede come il De
Sanctis la utilizzasse per il suo speciale interesse di
critico: più che insistere su ciò che dell'Estetica forma
l'attacco con tutto il sistema filosofico, egli insiste sullo
spirito romantico che la informa, sull'espressività dell'arte
come sua caratteristica («Hegel si pone tra l'una e l'altra
scuola (cioè la Winckelmanniana e la naturalistica) e,
facendosi più dall'alto, dice ch'è artista chi ha la potenza
di manifestarsi, che è libero e può incarnare nell'azione ciò
che ha nell'immaginazione») ; oppure mette in rilievo, poiché
serve al suo metodo critico in formazione, la maniera con cui
per Hegel l'ideale s'incarna nel reale, cioè nella situazione
e nell'azione, sintetizzate nella parola «carattere», e
nell'accento che distingue, un certo personaggio, una certa
figura; o insiste sulla creatività dell'arte e sul valore
romanticissimo dell'esperienza. «La fantasia dell'artista non
riproduce, ma crea, ed essa è propriamente l'attitudine che
l'uomo ha di creare, ma, perché quest'attitudine diventi atto,
l'artista deve aver molto veduto ed osservato, si richiede che
abbia conoscenza del mondo reale». Insomma il De Sanctis più
che esporre il sistema hegeliano nel suo puro valore
filosofico, lo rileva nei significati più romantici e
funzionali ad una pratica della critica, ne corrobora le
proprie convinzioni artistiche e più che una teoria della
critica fonda la possibilità della propria critica, dandole
basi filosofiche e rinforzandola con i risultati dei critici
contemporanei, che mette in confronto, per vederne
reciprocamente le manchevolezze, le esigenze e poter risalire
ad un proprio risultato in vista di un metodo critico
concretamente applicabile.
Di Hegel egli valorizzava in massimo grado l'autonomia
dell'arte («la libertà e la spontaneità della concezione
artistica è idea propria di Hegel») e l'idea del progresso
nella storia. Mentre per sfuggire alla morte dell'arte, De
Sanctis immagina una poetica inquietudine nella lotta della
scienza con l'arte, dell'intelletto col cuore, una sorgente
romanticissima d'arte che trova il suo esponente massimo nel
Leopardi. D'altra parte (egli dice): «non è in tutto vero che
l'arte e la scienza debbano andare scompagnate e che dove
l'una entra l'altra sparisca:... se la scienza analizza ciò
che nell'arte è sintesi, non per tanto l'una e l'altra hanno
uno stesso scopo e procedono ugualmente, (c'è qui un reale
tentativo per dare alla successione hegeliana arte-filosofia,
un significato solo ideale; non cronologico)». «Il sistema
dell'analisi aveva prima sminuzzato la scienza ed oggi si fa
ogni sforzo per unificare. La religione, l'arte e la filosofia
oggi tendono ad unirsi, e ciò dimostra chiaramente l'invasione
della filosofia nella poesia e di questa nel campo di quella.
All'analisi nuda si sono sostituiti certi dati, il sentimento
di certi principi, la fabbrica di sistemi che sono tanti poemi
epici» (una bella frase che illustra lo sforzo essenziale del
romanticismo a dare un'espressione totale, estetica e più che
estetica). Ora Hegel, per il De Sanctis, aveva avuto il. torto
di considerare l'arte nel suo stato, diremmo noi, apollineo,
nell'armonia dei greci: «egli Hegel, vuole che l'artista debba
essere inconsapevole dell'idea che riveste, che
quell'inviluppo nel quale l'idea si manifesta debba essere
misterioso, ma che l'idea ci sia». Ora è chiaro che col
Romanticismo questa spontaneità è finita, che alla fantasia si
è sostituito il cuore e il sentimento: ora se Hegel pose
l'arte nella spontaneità, ossia in quel corpo fantastico che
inconsapevolmente riveste l'idea, cessato questo felice stato
dell'arte, naturalmente egli doveva giungere alla conseguenza
che l'arte oggi è morta. |