L'opera maggiore del De Sanctis, La storia della letteratura
italiana (1870-7I), è una storia della coscienza italiana,
essendo la «coscienza» il centro dell'uomo integrale, così
come «l'immaginazione» è la facoltà centrale dell'artista. Lo
schema storico che sta alla base del libro è implicito anche
in molti Saggi critici, i quali devono in parte essere
considerati come elaborazione di problemi e aspetti
particolari della sintesi della Storia, anche se possono
averla cronologicamente preceduta. E allo stesso modo, come
una continuazione della Storia e della sua idea strutturale,
vanno considerate le lezioni 'sulla storia letteraria italiana
del primo Ottocento che il De Sanctis tenne a Napoli dalla
cattedra di letteratura comparata negli anni 1871-76. Questo
schema si era fissato presto nella mente del De Sanctis, a
parte le lezioni tenute nella scuola privata di Napoli
(1839-48), prima del lungo esilio e della prigionia, che
possono essere tralasciate come immature e poco originali. Dal
tempo del suo esilio a Torino e a Zurigo (1854-60) tutta la
sua opera si ispira a questo schema generale, che non può
essere interpretato come una concessione ai tempi, né come un
mero espediente pedagogico al fine di collegare tra loro i
singoli capitoli della Storia dedicati ai maggiori scrittori
italiani. D'altra parte non si può chiamare «sociologico» lo
schema centrale desanctisiano, dal momento che il rilievo di
relazioni causali tra mutamento sociale e letteratura è, nella
Storia della letteratura italiana, appena accennato. Ci sono
si occasionali osservazioni che presentano la letteratura come
documento sociale: il De Sanctis ad esempio raccomanda lo
studio del Risorgimento a «chi voglia conoscere bene addentro
i misteri di quella corruttela italiana», oppure ci invita a
vedere nel Decamerone una società «sorpresa calda nell'atto
della vita». E inoltre egli si dichiara d'accordo con chi
sostiene che «la letteratura è un'espressione della società».
«L'arte non è un capriccio individuale... L'arte come
religione e filosofia, come istituzioni politiche e
amministrative è un fatto sociale, un risultato della coltura
e della vita nazionale». Ma qui ed in altri luoghi della sua
opera non c'è determinismo naturalistico: l'eroe della sua
storia letteraria è piuttosto lo spirito e la coscienza
nazionale unitaria, il cui portatore e termine ideale è l'uomo
completo, religioso insieme e morale, che, quando sia artista,
ha la forza poetica per esprimerla. La letteratura non viene
usata quale documento per lo studio dei mutamenti della
società italiana, né il mutarsi della società è studiato al
fine di illuminare la letteratura, giacché si presuppone
piuttosto che questa costituisca l'epitome, il nucleo vitale
della stessa storia nazionale. Il De Sanctis non scrive una
Kulturgeschichte, nella sua opera egli allude appena a eventi
o situazioni politiche o sociali; praticamente, ignora le
altre arti e si rifiuta specificamente di scrivere una storia
della filosofia italiana. La sua storia della letteratura da
sola, senza nessuna necessità di riferimenti alla storia
sociale, artistica o politica, rappresenta un grande dramma
spirituale: la caduta e la redenzione dell'Italia.
Lo schema di sviluppo non è soltanto quello del semplice
progresso o declino: esso non è indicato in modo esauriente
dal De Sanctis quando presenta come «principio direttivo»
della sua Storia «la successiva riabilitazione della materia,
un graduale avvicinarsi alla natura ed al reale». Il passaggio
dall'ideale al reale, dalla trascendenza all'immanenza è uno
dei temi della sua storia letteraria, ma non è il solo né il
principale.
La grandezza del De Sanctis sta più veramente nella sua felice
sintesi di una visione e di uno schema storico con una critica
appassionatamente tesa a scoprire il mondo di un poeta.
All'interno di questo schema il De Sanctis propose i modi
essenziali di una estetica che sviluppò e rilevò i motivi
della critica romantica (organicità, concretezza formale,
autonomia dell'arte) con tale pienezza da superare il proprio
tempo e da esercitare una fortissima influenza sul Croce e la
sua scuola. Mala posizione del De Sanctis non è tanto quella
di chi precorre, quanto quella di chi conclude una sintesi,
fondendo la storia hegeliana con la estetica dialettica
romantica e traducendole entro un nuovo contesto dov'è caduta
la metafisica ed è assimilato il nuovo spirito realistico e
positivo. La sua posizione storica (per quanto naturalmente
egli sia in teoria ed in pratica così distinto da loro) è
simile a quella di Belinskj in Russia e di Taine in Francia.
Tutti e tre De Sanctis, Belinskj e faine, assimilarono lo
storicismo hegeliano e l'estetica romantica e li trasformarono
secondo le esigenze del loro tempo e della loro nazione,
conservando il loro vero essenziale per consegnarlo al secolo
successivo. Ma l'opera desanctisiana supera di molto la sua
funzione storica; nonostante certe cadute nel didattismo e nel
sentimentalismo, il De Sanctis scrisse per più rispetti la più
bella storia che mai sia stata scritta di una letteratura; una
storia letteraria che unisce felicemente un vasto schema
storico con una critica serrata, la teoria con la pratica, il
principio estetico con le analisi particolari. Mentre è uno
storico, il De Sanctis è anche un critico, un giudice di
poesia. |