CRITICA: FRANCESCO DE SANCTIS

 DE SANCTIS E LA CRITICA DELL'OTTOCENTO

 AUTORE: René Wellek         TRATTO DA: Francesco De Sanctis e la critica dell'Ottocento

 

L'opera maggiore del De Sanctis, La storia della letteratura italiana (1870-7I), è una storia della coscienza italiana, essendo la «coscienza» il centro dell'uomo integrale, così come «l'immaginazione» è la facoltà centrale dell'artista. Lo schema storico che sta alla base del libro è implicito anche in molti Saggi critici, i quali devono in parte essere considerati come elaborazione di problemi e aspetti particolari della sintesi della Storia, anche se possono averla cronologicamente preceduta. E allo stesso modo, come una continuazione della Storia e della sua idea strutturale, vanno considerate le lezioni 'sulla storia letteraria italiana del primo Ottocento che il De Sanctis tenne a Napoli dalla cattedra di letteratura comparata negli anni 1871-76. Questo schema si era fissato presto nella mente del De Sanctis, a parte le lezioni tenute nella scuola privata di Napoli (1839-48), prima del lungo esilio e della prigionia, che possono essere tralasciate come immature e poco originali. Dal tempo del suo esilio a Torino e a Zurigo (1854-60) tutta la sua opera si ispira a questo schema generale, che non può essere interpretato come una concessione ai tempi, né come un mero espediente pedagogico al fine di collegare tra loro i singoli capitoli della Storia dedicati ai maggiori scrittori italiani. D'altra parte non si può chiamare «sociologico» lo schema centrale desanctisiano, dal momento che il rilievo di relazioni causali tra mutamento sociale e letteratura è, nella Storia della letteratura italiana, appena accennato. Ci sono si occasionali osservazioni che presentano la letteratura come documento sociale: il De Sanctis ad esempio raccomanda lo studio del Risorgimento a «chi voglia conoscere bene addentro i misteri di quella corruttela italiana», oppure ci invita a vedere nel Decamerone una società «sorpresa calda nell'atto della vita». E inoltre egli si dichiara d'accordo con chi sostiene che «la letteratura è un'espressione della società». «L'arte non è un capriccio individuale... L'arte come religione e filosofia, come istituzioni politiche e amministrative è un fatto sociale, un risultato della coltura e della vita nazionale». Ma qui ed in altri luoghi della sua opera non c'è determinismo naturalistico: l'eroe della sua storia letteraria è piuttosto lo spirito e la coscienza nazionale unitaria, il cui portatore e termine ideale è l'uomo completo, religioso insieme e morale, che, quando sia artista, ha la forza poetica per esprimerla. La letteratura non viene usata quale documento per lo studio dei mutamenti della società italiana, né il mutarsi della società è studiato al fine di illuminare la letteratura, giacché si presuppone piuttosto che questa costituisca l'epitome, il nucleo vitale della stessa storia nazionale. Il De Sanctis non scrive una Kulturgeschichte, nella sua opera egli allude appena a eventi o situazioni politiche o sociali; praticamente, ignora le altre arti e si rifiuta specificamente di scrivere una storia della filosofia italiana. La sua storia della letteratura da sola, senza nessuna necessità di riferimenti alla storia sociale, artistica o politica, rappresenta un grande dramma spirituale: la caduta e la redenzione dell'Italia.
Lo schema di sviluppo non è soltanto quello del semplice progresso o declino: esso non è indicato in modo esauriente dal De Sanctis quando presenta come «principio direttivo» della sua Storia «la successiva riabilitazione della materia, un graduale avvicinarsi alla natura ed al reale». Il passaggio dall'ideale al reale, dalla trascendenza all'immanenza è uno dei temi della sua storia letteraria, ma non è il solo né il principale.

La grandezza del De Sanctis sta più veramente nella sua felice sintesi di una visione e di uno schema storico con una critica appassionatamente tesa a scoprire il mondo di un poeta. All'interno di questo schema il De Sanctis propose i modi essenziali di una estetica che sviluppò e rilevò i motivi della critica romantica (organicità, concretezza formale, autonomia dell'arte) con tale pienezza da superare il proprio tempo e da esercitare una fortissima influenza sul Croce e la sua scuola. Mala posizione del De Sanctis non è tanto quella di chi precorre, quanto quella di chi conclude una sintesi, fondendo la storia hegeliana con la estetica dialettica romantica e traducendole entro un nuovo contesto dov'è caduta la metafisica ed è assimilato il nuovo spirito realistico e positivo. La sua posizione storica (per quanto naturalmente egli sia in teoria ed in pratica così distinto da loro) è simile a quella di Belinskj in Russia e di Taine in Francia. Tutti e tre De Sanctis, Belinskj e faine, assimilarono lo storicismo hegeliano e l'estetica romantica e li trasformarono secondo le esigenze del loro tempo e della loro nazione, conservando il loro vero essenziale per consegnarlo al secolo successivo. Ma l'opera desanctisiana supera di molto la sua funzione storica; nonostante certe cadute nel didattismo e nel sentimentalismo, il De Sanctis scrisse per più rispetti la più bella storia che mai sia stata scritta di una letteratura; una storia letteraria che unisce felicemente un vasto schema storico con una critica serrata, la teoria con la pratica, il principio estetico con le analisi particolari. Mentre è uno storico, il De Sanctis è anche un critico, un giudice di poesia.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis