CRITICA: FRANCESCO DE SANCTIS

 GENESI DELLA "STORIA DELLA LETT. ITALIANA" DEL DE SANCTIS

 AUTORE: Natalino Sapegno         TRATTO DA: Storia della letteratura italiana

 

Non è qui il luogo di vedere come il sistema teorico del De Sanctis si fosse di lunga mano maturato e precisato in un duplice ordine di riflessioni e di esercitazioni concrete, e in un assiduo confronto e reciproco conforto delle une con le altre, prima di giungere alla chiarezza e consapevolezza che in queste pagine sul Cantù si manifesta in formule di esposizione riassuntiva e apodittica e con un accento di così ferma convinzione. Ad altri spetterà il compito di ricostruire la storia della metodologia desanctisiana, dalle incerte formulazioni giovanili fino al suo definirsi in una serie di proposizioni abbastanza salde, nonostante le persistenti incertezze della terminologia, per fornire un fondamento all'esercizio in atto della critica, e così nuove ed ardite da far di quella critica il momento culminante, il riflesso più maturo e consapevole di tutta la cultura italiana dell'Ottocento. Basterà qui ricordare come tale processo di maturazione si esplichi da un lato in una polemica contro il formalismo esteriore, e cioè contro la forma intesa «nel senso pedantesco» dei retori e dei grammatici, e dall'altro in una critica serrata del concetto hegeliano dell'arte come rappresentazione dell'idea; per cui il De Sanctis giunge già nel '58 al suo concetto di forma come unità organica, della forma che «non è un'idea, ma una cosa» , e cioè la realtà stessa, il vivente, in quanto si configura nella mente dell'artista, realizzandosi in un nuovo organismo, che è esso medesimo momento in sé perfetto ed insopprimibile del processo vitale:

ogni contenuto è una totalità, che come idea appartiene alla scienza, come esistere materiale appartiene alla realtà, come forma appartiene all'arte... Il mistero della vita è che il tutto non comparisce mai come tutto, ma come parte, la quale non esclude, ma si assimila il rimanente.

Soprattutto importerà sottolineare che questo principio della forma come organismo, come «cosa veduta», implica l'accentuazione di un metodo storicistico, e della totalità della visione storica, comunque essa si specifichi nel proprio assunto particolare. Perché, se il poeta « coglie il contenuto come forma », ciò « non vuol dire che... debba sopprimere il resto, cioè a dire quello che ci è di religioso, di politico, di morale, di reale», ma solo «che tutto questo debba comparire come forma, bello, sublime, orribile, brutto, ecc.»; e pertanto il critico, che ha il compito di definire quel contenuto-forma, deve saperlo a sua volta ricostruire in tutta la sua determinatezza (non come materia sentimentale astratta, ma come sostanza di sentimenti specificata in una precisa situazione storica) e inoltre in tutta la sua pienezza (non come forma indifferente, ma come espressione organica di una complessa realtà culturale e morale).

La duplice polemica che il De Sanctis è venuto svolgendo e la raggiunta formula del rapporto unitario di contenuto-forma debbono insomma, sul piano estetico, assicurare per un verso il momento dell'indipendenza dell'arte, del suo valore autonomo e fino ad un certo punto slegato dalla natura contingente dei contenuti che essa di volta in volta assume; e per un altro verso la sua storicità e cioè la sua genesi determinata e la sua funzione determinante nel movimento complessivo della vita sociale; sul piano critico, fra le due tendenze entrambe erronee di un astratto contenutismo, che valuta o svaluta l'opera poetica sul fondamento dell'analisi della sua sostanza ideologica, e di un altrettanto astratto formalismo, che pretende di giudicarla in sé fuori delle sue condizioni di spazio e di tempo, essi permettono di raggiungere una posizione, non già equidistante, bensì dialettica, in cui di volta in volta lo spostarsi dell'attenzione e dell'interesse sull'aspetto prevalentemente formale o su quello intenzionale e funzionale sia determinato dalle necessità intrinseche di una critica, che essa stessa adempie a una funzione polemica e si inserisce attivamente in una situazione di contrasti culturali. Il che comporta dovunque un processo assiduo di riferimento dialettico dei fatti artistici con la realtà di cui essi sono al tempo stesso specchio e ricreazione ed elemento operante; e un esame dell'opera d'arte non statico, ma in movimento, inteso a coglierla e scrutarla nel suo farsi, prima e più che nella sua immobile e conclusa perfezione. Il valore autonomo della poesia non è un presupposto, ma il momento terminale di un processo; e il giudizio critico a sua volta è sempre il risultato di uno studio sulla genesi dell'opera: «la questione critica fondamentale è questa: posti tali tempi, tali dottrine e tali passioni, in che modo questa materia è stata lavorata dal poeta, in che modo quella realtà egli l'ha fatta poesia?». Anche a questo concetto, che è essenziale per l'intendimento della metodologia desanctisiana (sebbene finora non gli sia stato assegnato dagli studiosi tutta l'importanza che gli spetta), il critico è arrivato non tanto per la via di una riflessione astratta, quanto piuttosto in margine e sotto lo stimolo di una problematica concreta e particolare, più specialmente attraverso gli sforzi da lui durati nell'affrontare e tentar di risolvere il punto cruciale dello studio di Dante, il rapporto fra il mondo intenzionale dell'Alighieri e la poesia della Commedia: il problema che, fin dal '55, polemizzando contro il Gervinus, assertore dell'idea di un'arte pura e svincolata da ogni implicazione politica, gli si proponeva in termini già abbastanza precisi ed urgenti:

ne' grandi scrittori, che hanno l'istinto dell'arte, la politica non assorbisce in sé la poesia, ma rimane semplice stimolo, motore di grandi affetti e di alte fantasie. Nelle vere poesie vi è sempre qualche cosa di superiore che sopravvive, spento anche quello scopo politico che le si propongono. Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri sono ormai dimenticati; le passioni, che rosero tanto il cuore di Dante, sono spente, ma non sono spente già le sublimi creazioni della Divina Commedia, alla quale quelle passioni diedero vita.

L'importanza, la moralità, l'attualità del contenuto, sono in un certo senso, veramente «estranee alla letteratura», e quindi indifferenti alla critica: l'opera d'arte non attinge da esse la sua validità e il giudizio del critico non ne dipende quanto al segno positivo o negativo in cui si definisce la sua formulazione. Ma poiché, d'altro canto, senza quello stimolo offerto dalla realtà non esisterebbero neppure gli affetti e le fantasie del poeta, non l'opera artistica, non quella forma organica in cui si attua l'implicita poeticità di un contenuto; così il giudizio di valore, che, come tale, è poco più di un presupposto senza possibilità di svolgimenti e argomentazioni interne, acquista significato di critica vera e propria solo in quanto si risolve in un'analisi genetica, e s'appunta sul momento di trapasso dal contenuto informe all'organismo formato e coglie in atto e concretamente il processo di elaborazione poetica. La critica è veramente critica solo se diventa storia, e la storia letteraria è impossibile se, pur mantenendo la piena consapevolezza della relativa autonomia del suo oggetto, non affonda di continuo le radici nel terreno della storia civile e culturale della società; se non è insomma, pur nel quadro di una sua prospettiva specifica e senza ridursi mai ad uno schema di astratta causalità sociologica, storia in senso totale.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis