CRITICA: UGO FOSCOLO

 IL VATE DELL'ARMONIA NEI "SEPOLCRI" E NELLE "GRAZIE"

 AUTORE: Mario Fubini    TRATTO DA: Ugo Foscolo

 

Ma ogni ragionamento scompare nell'episodio ultimo [dei Sepolcri]: qui pensiero e sentimento, idea e visione perfettamente si adeguano, qui mirabilmente il passato si solleva sul piano dell'eterno, e le passioni si placano nella contemplazione. Dalla guerra e dalla strage lontana, siamo portati in più raccolto luogo, ove la guerra e la strage sono sentite in tutto il loro orrore da anime più disposte a soffrire soffrire:


ivi l'iliache donne
Sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
Da' lor mariti l'imminente fato,



e dalle preghiere disperate delle spose, al più raccolto e conscio dolore di Cassandra, per cui la terribile esperienza del futuro si risolve nel canto e la debolezza umana si palesa ormai soltanto in un sospiro. La guerra che infuria così vicina, è ormai idealmente lontana: ma le passioni, che essa suscita, placate in Cassandra dalla visione del futuro, risorgono in lei con più composto ritmo, fra quelle creature raccolte nella pace solenne del sepolcro, fra quelle ancora intatte della vita più dura. Risorgono nel sospiro, con cui essa contempla i giovinetti nepoti, risorgono nella visione della vana ricerca che essi faranno della patria loro e più in quelle parole, che paiono rendere in eterno presente lo strazio di Troia:


Le mura opra di Febo
Sotto le lor reliquie fumeranno.



Risorgono, e si alimentano di nuove passioni, ignote ai comuni mortali, nelle parole, non più ispirate da affetto e pietà materna per i giovani che la circondano, ma dalla sua intinta visione: nella quale si agitano e si compongono altre passioni e altre sventure umane e la tragedia di Troia, contemplata sul piano dell'eternità, appare più straziante ad tilt tempo e più grandiosa. E più del fragore delle areni e delle preghiere disperate delle spose ci commuove ora il brancolare di un cieco mendico e il gemito dei morti sacri di Troia, ma il «cieco mendico», ascoltando quelle voci per altro laute, si trasformerà in un «sacro vate» e quei gemiti si placheranno, prima ancora che nel canto del vate, nella narrazione di una storia, che nessuna forza umana potrà cancellare, nella rievocazione di Troia, grande del pari per la sua bellezza e per la sua sventura.


...Gemeranno gli antri
Secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l'ultimo trofeo
Ai fatali Pelidi.



E scomparirà la stessa chiusa scena, fra cui Cassandra si muove e fra cui errerà il futuro poeta: e la storia di Troia, fatta ormai una cosa sola col canto di Omero, avrà per limite i confini stessi del mondo: così nella visione di Cassandra si appaga il poeta dell'Oceano e di Prometeo, ma senza per altro dimenticare l'individualità della sua eroina, la quale anzi nel punto medesimo in cui il suo sguardo contempla la guerra presente sullo sfondo della storia umana, ed ha innanzi agli occhi le immagini grandi del padre Oceano e del Sole, presa da un improvviso impeto di affetto ritorna a quella guerra che ci era parsa prima così lontana e ad uno di quegli eroi per cui una sposa troiana scapigliata pregava gli dei, il più grande e il più infelice. Mirabilmente la chiusa si ricongiunge con l'inizio, mirabilmente nella profetessa riappare la donna, la sorella che accanto al fratello diletto si sente vivere nei secoli lontani e già lo piange col pianto puro e senza lagrime, con cui tanti uomini sventurati e pur capaci di sollevarsi ad intendere la sventura altrui, lo piangeranno nel tempo avvenire.


E tu onore di pianti, Ettore, avrai
Ove fia santo e lacrimato il sangue
Per la patria versato, e finché il Sole
Risplenderà su le sciagure umane.



Nella profezia, di cui la poesia omerica stessa gli offriva lo spunto con la commossa visione che Ettore ha nel colloquio con Andromaca del destino della patria e suo, il Foscolo ha trovato finalmente la perfetta espressione dell'animo suo, anelante verso una visione di eternità; nella profezia di Cassandra, in cui la sofferenza è purificata senza essere dissolta e l'elegia si risolve nell'inno e l'inno è temprato dall'elegia, egli ha potuto portarsi non soltanto al di là delle vicende di Troia, ma delle vicende dell'umanità tutta e guardare come alcunché di compiuto, non più soltanto la sua breve esistenza, ma la esistenza stessa dell'umanità; e concludere così la poesia del Sepolcri che nell'elegia e nell'inno si libra su tutte le passioni particolari, accogliendole in sé e purificandole, e ci si presenta come l'immagine tipica della eterna poesia, della poesia che sempre da una pausa di raccoglimento si leva, superando il dolore e la morte, a comprendere la vita perenne dell'universo...

L'armonia cercata invano nella rappresentazione dei contrasti più violenti che agitavano la vita del Foscolo e dei tempi suoi e che egli infelicemente aveva tentato di proiettare su di uno sfondo eroico, era in quei frammenti sparsi in cui giorno per giorno essa era scaturita limpida liberandosi dalle disarmonie della vita...
Le Grazie non contraddicono, ma compiono l'opera anteriore del Foscolo: segnano il momento, in cui la tendenza palese in tutta l'arte foscoliana verso la contemplazione serenatrice, si è fatta, per una diuturna esperienza di poesia, consuetudine e non più si manifesta per l'ispirazione di qualche singolare figura o di un'ora diversa da tutte le altre, ma al contatto con le cose più semplici e più familiari al poeta, quelle che sono più legate al suo affetto e alle sue abitudini. Il giovane, che, liberandosi da un presente tragico, vagheggiava perfette forme femminili, o in brevi istanti di riflessione riusciva a dominare anche la propria disperazione e comporla nell'ordine dell'universo, e, più tardi, meditando accanto ai sepolcri, scorgeva fra i segni della distruzione di individui e di popoli una perenne ragione di conforto, ora nella sua maturità (pressoché tutti i frammenti delle Grazie sono posteriori ai Sepolcri, rivolge lo sguardo alle cose che più gli sono vicine, e la poesia, anima della sua anima, gli si rivela negli aspetti più semplici, nelle ore più comuni della vita...

Scomparsa è invece quella sommaria rappresentazione di sé medesimo, che ci aveva dato nei sonetti maggiori e nei Sepolcri: un accenno soltanto al sepolcro lontano, di sé il Foscolo sembra nel nuovo Carme non riconoscere che l'artista:


anch'io
Pingo e spiro a' fantasmi anima eterna.



Ma quale migliore prova di una ritrovata serenità che l'oblio di sé medesimo? In un tempo in cui le Grazie saranno in gran parte composte, il poeta sentirà ancora una volta il bisogno di riprendere il proprio ritratto, le Ultime lettere: le Grazie sono il suo rifugio ideale, in cui egli di quando in quando si ritrae obliando sé medesimo, e ritrovando in alcune immagini, rapite alle cose e ai libri e accarezzate con affetto di anni, oggettivate le diverse tendenze dell'animo suo. La poesia foscoliana abbandona perciò la opposizione di un giorno tra la persona del poeta e il mondo da lui ritratto e, con essa, la caratteristica tensione, propria di una poesia che esprimeva la esaltazione di un momento eccezionale. La forma densa e chiusa della maggiore ode, dei grandi sonetti, dei Sepolcri si scioglie e si allarga: le parole e i costrutti più semplici traducono immediatamente il senso dell'accordo dell'animo del poeta con quanto contempla. La pacatezza della contemplazione si esprime nella forma piana ed evidente: invano si cercherebbero nell'opera meno popolare del Foscolo le difficoltà ermeneutiche di parecchi passi dei Sepolcri: forse la chiarezza e la semplicità delle parole rende inetti i comuni lettori ad avvertire la semplice e divina poesia? O dobbiamo col Donadoni, difensore egregio della poesia delle Grazie, il quale definì ottimamente il Foscolo di questi versi «poeta pacificato con sé e con le cose», ammettere che questa è poesia «in grado minore», e credere che la grande poesia debba sempre nascere da un tragico dissidio? Non tutti i frammenti delle Grazie possono essere giudicati senz'altro degni dei Sepolcri o superiori ad essi: ma chi vorrà, leggendo i versi su Firenze notturna rimpiangere la Firenze del sonetto giovanile o la Firenze dei Sepolcri?...

La chiarezza e l'evidenza della rappresentazione sono perciò il tono caratteristico di quest'ultima poesia foscoliana: diversa la materia dei frammenti, diversa la data della composizione, i frammenti tutti delle Grazie hanno il comune carattere di scaturire da una consuetudine di contemplazione, che esclude ogni soverchio entusiasmo, come ogni tono complesso. Sono motivi antichi e motivi nuovi della poesia foscoliana, motivi appena accennati nell'epistolario e motivi liberati da scorie prosastiche di poesie anteriori: ma in tutti e più in quelli composti per ultimi, quando del nuovo ritmo della sua fantasia il poeta era del tutto conscio, è avvertita e sottolineata dal poeta la virtù serenatrice della sua contemplazione. Più grave e religiosa sgorga in questi ultimi versi la poesia del poeta, ma sempre semplice e piana: quando mai il Foscolo raggiunse, come in questi versi, con la sola collocazione delle parole, tanta virtù di evocazione?


e quivi casti i balli,
Quivi son puri i canti, e senza brina
I fiori e verdi i prati, ed aureo il giorno
Sempre, e stellate e limpide le dotti.



Non è idillio, non è sogno: è la regione, fra cui il poeta vive e che è diventata sua come sicuro possesso: a che parole più forti ed enfatiche? Ma ogni parola, ogni pausa non può essere spostata senza distruggere tutto il quadro, di pausa in pausa, il lettore è portato dinanzi ad uno spettacolo sempre più ampio, mentre il cuore ha un senso di purezza sempre maggiore, fino alle notti mirabili, che riempiono l'ultimo verso e avvolgono l'isola pura di una stellare purità.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis