Ma ogni ragionamento scompare nell'episodio ultimo [dei
Sepolcri]: qui pensiero e sentimento, idea e visione
perfettamente si adeguano, qui mirabilmente il passato si
solleva sul piano dell'eterno, e le passioni si placano nella
contemplazione. Dalla guerra e dalla strage lontana, siamo
portati in più raccolto luogo, ove la guerra e la strage sono
sentite in tutto il loro orrore da anime più disposte a
soffrire soffrire:
ivi l'iliache donne
Sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
Da' lor mariti l'imminente fato,
e dalle preghiere disperate delle spose, al più raccolto e
conscio dolore di Cassandra, per cui la terribile esperienza
del futuro si risolve nel canto e la debolezza umana si palesa
ormai soltanto in un sospiro. La guerra che infuria così
vicina, è ormai idealmente lontana: ma le passioni, che essa
suscita, placate in Cassandra dalla visione del futuro,
risorgono in lei con più composto ritmo, fra quelle creature
raccolte nella pace solenne del sepolcro, fra quelle ancora
intatte della vita più dura. Risorgono nel sospiro, con cui
essa contempla i giovinetti nepoti, risorgono nella visione
della vana ricerca che essi faranno della patria loro e più in
quelle parole, che paiono rendere in eterno presente lo
strazio di Troia:
Le mura opra di Febo
Sotto le lor reliquie fumeranno.
Risorgono, e si alimentano di nuove passioni, ignote ai comuni
mortali, nelle parole, non più ispirate da affetto e pietà
materna per i giovani che la circondano, ma dalla sua intinta
visione: nella quale si agitano e si compongono altre passioni
e altre sventure umane e la tragedia di Troia, contemplata sul
piano dell'eternità, appare più straziante ad tilt tempo e più
grandiosa. E più del fragore delle areni e delle preghiere
disperate delle spose ci commuove ora il brancolare di un
cieco mendico e il gemito dei morti sacri di Troia, ma il
«cieco mendico», ascoltando quelle voci per altro laute, si
trasformerà in un «sacro vate» e quei gemiti si placheranno,
prima ancora che nel canto del vate, nella narrazione di una
storia, che nessuna forza umana potrà cancellare, nella
rievocazione di Troia, grande del pari per la sua bellezza e
per la sua sventura.
...Gemeranno gli antri
Secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l'ultimo trofeo
Ai fatali Pelidi.
E scomparirà la stessa chiusa scena, fra cui Cassandra si
muove e fra cui errerà il futuro poeta: e la storia di Troia,
fatta ormai una cosa sola col canto di Omero, avrà per limite
i confini stessi del mondo: così nella visione di Cassandra si
appaga il poeta dell'Oceano e di Prometeo, ma senza per altro
dimenticare l'individualità della sua eroina, la quale anzi
nel punto medesimo in cui il suo sguardo contempla la guerra
presente sullo sfondo della storia umana, ed ha innanzi agli
occhi le immagini grandi del padre Oceano e del Sole, presa da
un improvviso impeto di affetto ritorna a quella guerra che ci
era parsa prima così lontana e ad uno di quegli eroi per cui
una sposa troiana scapigliata pregava gli dei, il più grande e
il più infelice. Mirabilmente la chiusa si ricongiunge con
l'inizio, mirabilmente nella profetessa riappare la donna, la
sorella che accanto al fratello diletto si sente vivere nei
secoli lontani e già lo piange col pianto puro e senza
lagrime, con cui tanti uomini sventurati e pur capaci di
sollevarsi ad intendere la sventura altrui, lo piangeranno nel
tempo avvenire.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai
Ove fia santo e lacrimato il sangue
Per la patria versato, e finché il Sole
Risplenderà su le sciagure umane.
Nella profezia, di cui la poesia omerica stessa gli offriva lo
spunto con la commossa visione che Ettore ha nel colloquio con
Andromaca del destino della patria e suo, il Foscolo ha
trovato finalmente la perfetta espressione dell'animo suo,
anelante verso una visione di eternità; nella profezia di
Cassandra, in cui la sofferenza è purificata senza essere
dissolta e l'elegia si risolve nell'inno e l'inno è temprato
dall'elegia, egli ha potuto portarsi non soltanto al di là
delle vicende di Troia, ma delle vicende dell'umanità tutta e
guardare come alcunché di compiuto, non più soltanto la sua
breve esistenza, ma la esistenza stessa dell'umanità; e
concludere così la poesia del Sepolcri che nell'elegia e
nell'inno si libra su tutte le passioni particolari,
accogliendole in sé e purificandole, e ci si presenta come
l'immagine tipica della eterna poesia, della poesia che sempre
da una pausa di raccoglimento si leva, superando il dolore e
la morte, a comprendere la vita perenne dell'universo...
L'armonia cercata invano nella rappresentazione dei contrasti
più violenti che agitavano la vita del Foscolo e dei tempi
suoi e che egli infelicemente aveva tentato di proiettare su
di uno sfondo eroico, era in quei frammenti sparsi in cui
giorno per giorno essa era scaturita limpida liberandosi dalle
disarmonie della vita...
Le Grazie non contraddicono, ma compiono l'opera anteriore del
Foscolo: segnano il momento, in cui la tendenza palese in
tutta l'arte foscoliana verso la contemplazione serenatrice,
si è fatta, per una diuturna esperienza di poesia,
consuetudine e non più si manifesta per l'ispirazione di
qualche singolare figura o di un'ora diversa da tutte le
altre, ma al contatto con le cose più semplici e più familiari
al poeta, quelle che sono più legate al suo affetto e alle sue
abitudini. Il giovane, che, liberandosi da un presente
tragico, vagheggiava perfette forme femminili, o in brevi
istanti di riflessione riusciva a dominare anche la propria
disperazione e comporla nell'ordine dell'universo, e, più
tardi, meditando accanto ai sepolcri, scorgeva fra i segni
della distruzione di individui e di popoli una perenne ragione
di conforto, ora nella sua maturità (pressoché tutti i
frammenti delle Grazie sono posteriori ai Sepolcri, rivolge lo
sguardo alle cose che più gli sono vicine, e la poesia, anima
della sua anima, gli si rivela negli aspetti più semplici,
nelle ore più comuni della vita...
Scomparsa è invece quella sommaria rappresentazione di sé
medesimo, che ci aveva dato nei sonetti maggiori e nei
Sepolcri: un accenno soltanto al sepolcro lontano, di sé il
Foscolo sembra nel nuovo Carme non riconoscere che l'artista:
anch'io
Pingo e spiro a' fantasmi anima eterna.
Ma quale migliore prova di una ritrovata serenità che l'oblio
di sé medesimo? In un tempo in cui le Grazie saranno in gran
parte composte, il poeta sentirà ancora una volta il bisogno
di riprendere il proprio ritratto, le Ultime lettere: le
Grazie sono il suo rifugio ideale, in cui egli di quando in
quando si ritrae obliando sé medesimo, e ritrovando in alcune
immagini, rapite alle cose e ai libri e accarezzate con
affetto di anni, oggettivate le diverse tendenze dell'animo
suo. La poesia foscoliana abbandona perciò la opposizione di
un giorno tra la persona del poeta e il mondo da lui ritratto
e, con essa, la caratteristica tensione, propria di una poesia
che esprimeva la esaltazione di un momento eccezionale. La
forma densa e chiusa della maggiore ode, dei grandi sonetti,
dei Sepolcri si scioglie e si allarga: le parole e i costrutti
più semplici traducono immediatamente il senso dell'accordo
dell'animo del poeta con quanto contempla. La pacatezza della
contemplazione si esprime nella forma piana ed evidente:
invano si cercherebbero nell'opera meno popolare del Foscolo
le difficoltà ermeneutiche di parecchi passi dei Sepolcri:
forse la chiarezza e la semplicità delle parole rende inetti i
comuni lettori ad avvertire la semplice e divina poesia? O
dobbiamo col Donadoni, difensore egregio della poesia delle
Grazie, il quale definì ottimamente il Foscolo di questi versi
«poeta pacificato con sé e con le cose», ammettere che questa
è poesia «in grado minore», e credere che la grande poesia
debba sempre nascere da un tragico dissidio? Non tutti i
frammenti delle Grazie possono essere giudicati senz'altro
degni dei Sepolcri o superiori ad essi: ma chi vorrà, leggendo
i versi su Firenze notturna rimpiangere la Firenze del sonetto
giovanile o la Firenze dei Sepolcri?...
La chiarezza e l'evidenza della rappresentazione sono perciò
il tono caratteristico di quest'ultima poesia foscoliana:
diversa la materia dei frammenti, diversa la data della
composizione, i frammenti tutti delle Grazie hanno il comune
carattere di scaturire da una consuetudine di contemplazione,
che esclude ogni soverchio entusiasmo, come ogni tono
complesso. Sono motivi antichi e motivi nuovi della poesia
foscoliana, motivi appena accennati nell'epistolario e motivi
liberati da scorie prosastiche di poesie anteriori: ma in
tutti e più in quelli composti per ultimi, quando del nuovo
ritmo della sua fantasia il poeta era del tutto conscio, è
avvertita e sottolineata dal poeta la virtù serenatrice della
sua contemplazione. Più grave e religiosa sgorga in questi
ultimi versi la poesia del poeta, ma sempre semplice e piana:
quando mai il Foscolo raggiunse, come in questi versi, con la
sola collocazione delle parole, tanta virtù di evocazione?
e quivi casti i balli,
Quivi son puri i canti, e senza brina
I fiori e verdi i prati, ed aureo il giorno
Sempre, e stellate e limpide le dotti.
Non è idillio, non è sogno: è la regione, fra cui il poeta
vive e che è diventata sua come sicuro possesso: a che parole
più forti ed enfatiche? Ma ogni parola, ogni pausa non può
essere spostata senza distruggere tutto il quadro, di pausa in
pausa, il lettore è portato dinanzi ad uno spettacolo sempre
più ampio, mentre il cuore ha un senso di purezza sempre
maggiore, fino alle notti mirabili, che riempiono l'ultimo
verso e avvolgono l'isola pura di una stellare purità. |