CRITICA: CARLO GOLDONI

 I RUSTEGHI

 AUTORE: Gaspare Gozzi    TRATTO DA: Opere

 

Addì 16 febbraio si vide per la prima volta questa commedia rappresentata nel teatro di San Luca, e col ripeterne le rappresentazioni chiusero i comici di quella compagnia il carnevale di quest'anno 1760. Dipingesi in essa il costume di alcuni padri di famiglia, sì nemici degli onesti passatempi della società, che sempre ne borbottano e tengono le mogli e i figli lontani da ogni divertimento. Dalla ruvidezza di tali costumi prende la commedia il titolo. È piena d'industria da capo a fondo, e del genere di quelle costumate e popolari, nelle quali l'autore fu e sarà sempre degno di ammirazione: non si può dire quanto possa, la sua fantasia in siffatti argomenti. Infinite circostanze, tutte a proposito e tutte ritratte dal vero, raccoglie, così reali ed espressive, che pare che vegga con gli occhi e oda con gli orecchi intorno a sé quello che scrive: natura gli parla al cuore quanto medita. Allogate sono poi in essa commedia tutte le circostanze con isquisita proporzione, e tutte con l'arte fatte spiccare e messe in movimento, onde puoi dire:

 

Così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinnovando vista,
le minuzie de' corpi lunghe e corte
moversi per lo raggio, onde si lista
talvolta l'ombra, che per sua difesa
la gente con ingegno ed arte acquista;


perché appunto come raggio di sole (mi si permetta questa comparazione poetica, parlando di poesia) penetrato pel fesso della finestra, ove a te par vóto e nulla, ti fa apparire una lunga striscia di minute particelle in perpetuo movimento, così l'ingegno dell'Autore illumina e ti fa vedere mille minute circostanze che tu non avresti immaginate, nonché vedute.

Notabile è soprattutto ne' Rustici una cosa che a me par nuova e potrebbe forse stabilire una nuova regola nell'arte comica. Tutti quei poeti che hanno fino a qui imitato un carattere, ne vestirono un solo personaggio. Euclione in Plauto e Arpagone nel Molière, sono i soli avari nella Aulularia e nella commedia francese. Da ciò nasce spesso cosa non conveniente; e cioè, che volendo il poeta in tal caso far vedere più facce e diversi aspetti del carattere imitato, deve quasi di necessità tirare qualche scena coi denti, per mettere il suo personaggio in una novella situazione e toccar, per così dire, del suo carattere le varie corde. Nella presente commedia quattro sono caratterizzati Rustici, onde le situazioni nascono e germogliano da sé facilmente; ed un medesimo carattere compartito in quattro uomini, ha quattro gradi e quattro aspetti diversi che non violentati si affacciano agli uditori con varietà più grata. Quattro donne vi hanno parte: tre mogli ed una figliuola da marito, tutte in soggezione; ma con diverse maniere. Una sola di esse si rende il giogo leggero con la destrezza, ma però con riguardo. Tanto più spicca la ruvidezza degli uomini, quanto più sono le donne moderate, né richiedono oltre il dovere. Vedesti mai scena di artificio che uguagli quella in cui si trovano a sedere dall'una parte Canziano e il Conte, e dall'altra Marina e la moglie di Canziano, ordigno principale di tutta l'azione? In essa col tacere a tempo or delle due donne, or de' due uomini, e col dividere il dialogo, puoi dire, col compasso, vengono informati attori, usciti di nuovo, delle cose passate nella metà dell'atto primo, senza ripeterlo all'udienza e si apre la strada all'avanzamento del nodo. Tali scene non le fanno se non i periti maestri che soli le possono mettere ad esecuzione, senza imbrogliar sé nello scrivere e i recitanti nella rappresentazione.

Lo stile è colto e senza espressioni plebee o idiotismi vili. Sali e panari urbani frizzano di continuo, e soprattutto sono festive le ultime scene dell'atto secondo, ove si conoscono per la prima volta i due giovani che si debbono sposare. Nota il modo del far cavare la maschera a poco a poco; come l'autore va per gradi, e quante graziose malizie fanno quella scena brillare; e vedi in qual breve tempo nascono speranza, tema, diletto, romori, e con quant'arte si rinnova l'aspettazione per l'atto terzo, in cui finalmente cedono i Rustici per necessità e sì a stento, che vedi Rustici obbligati a cedere dalla circostanza, non da cambiato carattere.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis