Quest'incertezza artistica, orientata però sempre verso la
rappresentazione dell'ambiente, dura fino alla Bottega del
caffè, una delle sedici commedie scritte dal Goldoni nel 1750
per riguadagnarsi il pubblico che in quell'anno pareva stanco
della sua opera. Qui, come poi nel Campiello e nel Ventaglio,
l'ispirazione muove dalla visione della scena. È l'ambiente
che genera, colorisce, guida gli intrighi e i pettegolezzi
dell'azione: caffè, campiello e piazzetta sono insieme il
motivo pittoresco e psicologico di queste tre opere. Una
straordinaria mobilità ed evidenza di fantasia combina gli
episodi, le entrate e le uscite dei personaggi in modo da
rievocar senza posa la topografia e il colore dei luoghi; una
singolare armonia di concezioni regola la condotta dell'azione
in modo che essa sembra nascere continuamente dall'ambiente
vizioso e ozioso di una bottega di caffè, dall'ambiente
pettegolo di un campiello e di una piazzetta. Sembra che dal
caffè spiri un'aria di equivoco e di vizio, dal campiello e
dalla piazzetta un'aria di pettegolezzo, di chiacchiericcio,
di effimero litigio. Il protagonista della Bottega del caffè,
don Marzio, é piantato con una risoluta sicurezza nel centro
di quell'ambiente, fra una barbieria una bisca una locanda e
la casa di una ballerina, a braccar notizie e scandali. II
tono generale della commedia è mantenuto con difficile misura
sui confini fra l'opera buffa e il dramma, e sembra suggerito
insieme dal protagonista - pettegolo in apparenza, cinico e
brutale nel fondo -, e dall'ambiente - in apparenza vivace per
la mutabilità degli intrighi e delle sorprese, in realtà serio
per quel fermento di vizi e di miserie che vi brulica dentro
-. La superficie della commedia è rappresentata da quel grande
motivo d'opera buffa che la fantasia fertile e triviale di don
Marzio trova per rappresentare l'immaginario affluire di
clienti nella casa della ballerina: «Flusso e riflusso per la
porta di dietro». Il fondo, dalla mostruosa rapidità inventiva
di don Marzio, da quel ghigno di vizioso e di ozioso con cui
spaccia le sue calunnie, dalla vigliaccheria con cui sfugge
alle conseguenze della sua maldicenza; e si riassume nella
scena 23a dell'atto II quando, durante il parapiglia che
succede fra Placida e Vittoria che sorprendono i mariti per le
ciarle di don Marzio, egli esce pian piano dagli stanzini
della bisca e se la svigna dicendo «Rumores fuge». Caricando
le tinte scure, avremmo una commedia realistica; caricando
quelle luminose, una commedia ilare, leggera: il carattere
della Bottega del caffè è questa comicità rapida, mutevole,
contornata di ombre e - nelle scene culminanti - sbalzata con
un'evidenza di trovate che annuncia, dietro il pittore
d'ambienti che già conoscevamo, il creatore di carattere. Ma
già in questa conquista si afferma che il Goldoni sarà geniale
pittore di personaggi quasi soltanto nella sfera della
comicità grottesca e graziosa. Le battute che illuminano don
Marzio e sembrano delinearlo come per incanto dinanzi ai
nostri occhi, sono dello stesso genere di quelle che
dipingeranno i rusteghi e sior Todaro...
Migliori del Campiello, che nel terzo e quarto atto decade più
di una volta verso il tono dell'operetta, sono le Baruffe
chiozzotte (1762). Hanno - da una parte - maggior rilievo
psicologico, - dall'altra - un fare più arioso. Argomento
della commedia sono le baruffe dei pescatori di Chioggia,
concentrate intorno ai fidanzati Titta Nane e Lucietta. Essa è
insieme la pittura di un borgo di pescatori e la
rappresentazione rumorosa capricciosa e drammatica delle
passioni di questi popolani. La pittura è ariosa, diversa dal
quadretto di genere tipo Campiello: l'inizio della commedia
può far pensare, per il senso del paesaggio e dell'atmosfera,
ai Malavoglia del Verga: due gruppi di donne lavorano
all'aperto, scrutando il tempo, in attesa che tornino dal mare
le barche degli uomini. Ma quest'impressione iniziale,
potentemente pittoresca, questa pennellata larga e sicura che
ci introduce nella vita di un borgo di pescatori, è più che
altro una bella ouverture. L'attenzione del Goldoni è rivolta
piuttosto a quelle liti che qui, diversamente dal Campiello,
intonate come sono a quella ruvida e forte razza di popolani,
hanno un gagliardo rilievo e, a lampi, vera forza drammatica.
Gli uomini sono un po' bravi, le donne più timorose e
prudenti. Il vero e proprio pregio della commedia consiste
nella sagacia e nella grazia con cui è ritratta la volgarità
pittoresca dell'ambiente popolano, in quel senso artistico
della veemenza, della spontaneità, della tenerezza popolana,
che culmina nella famosa scena 3a dell'atto II, la più
appassionata rappresentazione goldoniana di bizze, di liti e
di orgogli di innamorati.
Il Ventaglio (1765) è la più perfetta fra le commedie
d'ambiente. Mirabile sopra tutte la prima scena, dove con
pennellate così leggere e vive è già dipinto tutto l'ambiente
paesano, e quello aristocratico, dei villeggianti: l'osteria,
la farmacia, la bottega del ciabattino, quella della merciaia;
i rumori del lavoro quotidiano che si mescolano alle
chiacchiere dei villeggianti oziosi, l'aria dei campi e del
paese, con quel senso insieme di vita e di tranquillità;
l'umore pettegolo del piccolo borgo da cui verrà fuori la
tragicomica odissea del ventaglio. C'è un'arte superiore nello
scegliere ed accennare appena i motivi e disporli
nell'apparente disordine della realtà e nel reale ordine
dell'arte. Forse non c'è altra commedia del Goldoni in cui la
pittura lieve e mobile dell'ambiente e l'osservazione sagace e
fugace degli uomini siano così bene armonizzate. Si può vedere
anche in questo quella tenuità settecentesca di linee e di
tinte, che è riconoscibile in tutto il teatro del Goldoni.
Abbiamo finora parlato di commedie d'ambiente. Ci resta da
parlare di quelle di carattere. Anche in esse, nonostante la
maggior gravità del tema, l'intonazione è visibilmente
settecentesca. Scegliamo le migliori: La locandiera (1753), I
rusteghi (1760), Sior Todaro brontolon (I762). Le date ci
mostrano che in complesso il Goldoni arrivò alla conquista del
carattere dopo quella dell'ambiente; l'esame ci mostra che
anche scrivendo commedie che in confronto con altre sembrano
di carattere, egli non cessò di essere descrittore d'ambienti.
Quelle sue commedie ci dicono piuttosto, che con gli anni la
capacità psicologica del Goldoni si è approfondita. Ma quella
di esse in cui il protagonista è più autonomo - Sior Todaro -
è anche la più debole... La locandiera e i Rusteghi si
reggono, invece, dal principio alla fine: e sono, in misura
diversa, insieme commedie di carattere e d'ambiente. La
locandiera è una delle commedie più armoniche del Goldoni,
mirabile per la rispondenza fra l'ambiente e l'azione, fra
questi e i personaggi. Sembra il ritratto di una figurina di
donna abile e seducente, l'attuazione perfetta del tentativo
che il Goldoni ha ripetuto tante volte cominciando dalla Donna
di garbo e dalla Vedova scaltra, ed è insieme un quadro di
vita settecentesca. La differenza dalla Bottega del caffè, che
è in modo più manifesto commedia di ambiente, non è poi
fortissima. Il tema è un episodio di vita di locanda,
particolarmente di vita di locanda del Settecento: Mirandolina
domina; ma senza quel marchese, quel conte, quel cavaliere,
quelle comiche, non la potremmo immaginare. La grazia
seduttrice di Mirandolina è il tema dominante della commedia:
ma non potrebbe stare senza quelli - e non altri - temi di
accompagnamento. Mirandolina è la luce del quadro: ma il
quadro è quell'episodio di vita settecentesca.
La locandiera è una delle commedie che meglio guidano il
lettore allo studio del Goldoni come principe dei nostri poeti
settecenteschi ed arcadi. Il tono con cui è svolto
l'innamoramento del cavaliere misogino - occasione per
descrivere la protagonista e l'ambiente - è mantenuto in uno
stupendo equilibrio fra il canzonatorio e il drammatico, fra
lo scherzoso e il passionale: e solo al colmo dell'azione il
passionale sormonta, per poi lasciar finire la commedia
serenamente com'era incominciata. Uno scioglimento drammatico
spegnerebbe tutta la grazia della commedia che è, in fondo,
nonostante la solidità della psicologia, uno scherzo. Attorno
alla figura della protagonista, mantenuta nell'ambito d'una
civetteria onesta e graziosa, modulata sopra un tema fra
canzonatorio e patetico, si svolge un episodio d'una
morbidezza, d'una fugacità, d'una leggerezza settecentesche: e
la protagonista, quella regina dei cuori, anche se non è
incipriata e in guardinfante, ci fa ripensare al secolo in cui
come non mai la donna fu signora e sovrana. Tutta la commedia
ha un delicato sapore di rievocazione storica: e perciò questa
volta la solita chiusa rosea del Goldoni è perfettamente
intonata.
Nei Rusteghi non c'è quest'idealizzazione costante, questa
fine smorzatura dell'azione e dei personaggi, questa
sensibilità e fragilità che arieggiano il Metastasio. E
tuttavia anche nei Rusteghi, in questo tema che per noi
sarebbe drammatico, si sente un'impostazione e una maniera più
graziosa che grave, il solito spasso delicato del Goldoni che
osserva lo spettacolo della vita.
I Rusteghi sono il suo capolavoro, riassumono e fondono tutte
le sue attitudini: quelle di pittore e psicologo di un
ambiente, e di disegnatore di caratteri. A questa commedia
mette capo l'insistente motivo goldoniano della bella onestà
antica, affidato per lo più a Pantalone, rappresentato dal
popolo e dalla piccola borghesia, e cominciato già con la
Putto onorata: ma quel tanto di oratorio che vi era sempre
rimasto, qui svanisce, e il tema, guardato ancora con
simpatia, è però sfumato d'un lieve sorriso di canzonatura.
L'onestà dei rusteghi trascende i limiti, sconfina nella
tirannia e nella pedanteria: di qui quell'atteggiamento
complesso del Goldoni, fra il tenero e il ridente, che in
tutta la commedia, e particolarmente nella scena in cui
Lunardo e Simon si sfogano e si confessano (II, 5) ci presenta
il poeta sotto un aspetto più alto del solito, quasi come uno
spirito superiore.
Anche questa scena, dove la morale dei rusteghi è sfumata con
una così perfetta fusione di canzonatura e di simpatia, rimane
in una sfera di alta e serena comicità; e certe battute,
dietro le quali si vedono le facce e i gesti dei personaggi,
hanno la linea di un'amabile caricatura. Anche i Rusteghi,
come la Bottega del caffè, hanno un fondo serio e onesto ma
sono tramati, delicatissimamente, sopra una linea di opera
buffa. Cosa evidente sopra tutto nell'apertura dell'atto
terzo, nel concilio dei rusteghi, radunati in terzetto di
bassi più o meno profondi per riparare lo scandalo dei due
fidanzati che, contro le regole del buon tempo antico, si sono
visti in faccia prima del matrimonio.
Il Goldoni ha simpatia per i vecchi, ma parteggia per i
giovani; e perciò muove insensibilmente la commedia dalla
rappresentazione della tirannia dei rusteghi all'imbarazzo e
alla resa, e quindi da un tono un po' chiuso e grigio ad un
tono via via più ilare. L'apertura della commedia è una
mirabile armonia di tinte scure, malinconiche, modeste. Si
sente il peso di quella vita, di quell'aria chiusa, si vede
quella casa vecchia. Le figure, i dialoghi, le cose - appena
accennate, ma toccate da un intuito sicuro -, tutto dà un
senso di monotonia e di clausura: bastano poche battute per
entrare in quella casa, per respirarne l'aria. È l'arte delle
Baruffe chiozzotte e del principio de Le massere, che rende
così bene il risveglio delle case, l'aria tra frizzante e
dormigliona che spira nelle vie d'una città all'alba. C'è qui
il senso dell'atmosfera, che è più difficile che il senso
scenografico dell'ambiente, e rivela uno spirito più largo e
più poetico. Sentite che quella camera è vecchia e spenta; e
in essa e in quei sospiri di Lucietta e Margarita verso la
libertà e i divertimenti del carnevale che finisce, sentite
già la presenza del padrone, di Lunardo. Pure questa vita
sorvegliata non vi dà un'impressione penosa quei battibecchi
fra quelle due compagne di prigionia - la figlia e la matrigna
-, quel po' di grazia e di tenerezza che mormora nel fondo di
questa scena di rammarico, correggono l'impressione grigia e
danno il tono giusto del contrasto da cui prende motivo la
commedia. Già nella prima scena, che è la più scura,
serpeggiano i toni comici che si alzeranno via via nel seguito
dell'azione. Lunardo, sopraggiungendo nella scena seconda, dà
corpo a quella clausura, ma insieme la orchestra con un motivo
comico già più sensibile. L'osservazione della figura di
Lunardo, e della sua incompatibilità con la giovane moglie,
diverte la nostra attenzione verso gli aspetti ameni di quel
ménage: e così succederà per gli altri rusteghi.
Questa doratura di sorriso che sfuma e alleggerisce il quadro
grigio e angusto, e vela la potente concezione psicologica dei
quattro protagonisti, è forse l'aspetto più sapiente della
commedia e il colmo della finezza artistica del Goldoni. E
questa doratura che permette anche qui, come nella Locandiera,
una chiusa serena, in perfetta armonia con il carattere
fondamentale della commedia.
Anche questa commedia è, con un'umanità e una simpatia più
profonda del solito, tutta settecentesca. Settecentesco è
l'ambiente che si ribella ai rusteghi e trionfa: Felicita,
piena di spirito, di prontezza, di brio, ma onesta, il tipo di
donna protagonista di tutto il mondo femminile goldoniano: la
matrigna e la figliastra, sempre ondeggianti fra le liti e le
paci; le malinconie e le stizze di Lucietta, le sue ansie e le
sue gioie; quei fidanzati appassionati e ingenui. Ma
settecenteschi sono pure i rusteghi, così quando sono veduti
ad uno ad uno, come quando sono radunati in colloqui che ci
danno una misurata ma evidente impressione di duetti o di
terzetti comici. |