CRITICA LETTERARIA: FRANCESCO GUICCIARDINI
  La "Storia d'Italia"

Autore: Eduardo Feuter    Opera: Storia della storiografia moderna


Il tempo non portò alcun cambiamento nelle concezioni storiche fondamentali del Guicciardini. Non era diventato un altro uomo quando pose mano alla grande opera, a cui deve soprattutto la sua posizione nella storia della storiografia. La sua essenza non si era cambiata; era rimasta la unilateralità politica, l'ignoranza di altri motivi che non fossero quelli egoisti, la aspra, spietata analisi psicologica, l'avversione alle regole teoriche, il giudicare dal successo. Il giudizio è diventato più maturo, più meditato, ma non veramente più profondo.
Solo la sua posizione verso la materia si è cambiata. Durante la sua attività amministrativa e militare nello stato della chiesa aveva imparato a considerare la storia di Firenze quasi come uno straniero. Ed aveva dovuto sperimentare come il corso delle cose avesse portato al fallimento definitivo dei suoi piani politici preferiti. Le due più importanti innovazioni della sua seconda opera, cioè la posizione universale e il giudizio pessimista della politica hanno la loro origine in queste esperienze.
Un'altra innovazione concerne la forma esteriore. Guicciardini scrisse la sua Storia d'Italia per il pubblico. Perciò non si sentì più così libero come nella sua prima opera. Credette di dover fare concessioni al pubblico colto umanista.

Bisogna ora considerare nei particolari in che modo queste circostanze abbiano modificato i principi storiografici del Guicciardini.
Guicciardini fu il primo grande storico serio che ruppe con la storiografia territoriale, e trattò una materia storica universale, la storia di un'unità geografica. Nessuno degli storici che si potrebbero citare come suoi predecessori è pari a lui per importanza. Biondo era come storico poco più di un mediocre compilatore, Sabellico scrisse anche le sue Enneadi, come ufficioso veneziano, in Giovio non c'è da lodare altro fuorché l'intenzione, Guicciardini è il primo vero storico che sciolga la storia dal collegamento con un determinato stato. Per la prima volta dà un quadro esatto della politica internazionale, non solo perché la conobbe e la comprese per pratica, ma perché non ne comunicò semplici frammenti come è inevitabile che accada in una storia territoriale. La reciproca dipendenza degli stati, il nesso della politica interna con quella estera, l'influenza delle operazioni militari su quelle politiche e viceversa - tutti questi tipici tratti della politica, specialmente di quella europea, il Guicciardini li ha fissati con mano sicura nelle linee imperiture della sua Storia d'Italia.
Fu tanto più in grado di farlo in quanto era indipendente non solo esteriormente ma anche intimamente. Quando scriveva la sua Storia Fiorentina, la situazione per il suo partito era tutt'altro che disperata. Quando iniziò la sua Storia d'Italia, stava già di fronte ad un fatto compiuto. Dopo che Cosimo I coll'aiuto spagnuolo aveva consolidato il suo dominio, erano tramontate definitivamente l'indipendenza della Toscana e le prospettive degli ottimati. Certo il Guicciardini ancora adesso non poteva ripensare senza amarezza alla irragionevole politica dei popolani ai quali attribuiva la colpa della perdita della direzione dello stato da parte degli ottimati. Ma altrettanto poca simpatia nutriva verso il nuovo regime dei Medici. Dacché lo stato fiorentino non concedeva più alcun campo alla sua ambizione politica, esso gli era divenuto proprio indifferente.
La sua vita gli aveva apportato solo delusioni. E tuttavia era conscio di essersi guardato da grossolani errori morali più severamente, e di aver fornito un più grande lavoro positivo che altri i quali avevano mietuto un pieno successo. Un sentimento di rassegnazione determina il suo giudizio. Di regola esso non è duro. Come tutti i pessimisti, a meno che siano toccate proprio ferite personali, si astiene volentieri dal biasimo: a che scopo fermarsi su un singolo, quando gli altri valgono altrettanto? Le sue dolorose esperienze personali hanno fatto di lui un giudice imparziale, anzi quasi scientificamente obbiettivo.
In modo magistrale è descritto soprattutto il tortuoso giuoco della diplomazia. Vengono messi in rilievo solo i punti politicamente decisivi; pettegolezzi ed aneddoti novellistici sono lasciati da parte. Anche qui il Guicciardini riferisce solo di guerra e politica, e gli eroi della sua storia esistono per lui solo come politici. Ma con quanta evidenza costoro sono caratterizzati, con quanta abilità e perizia rintraccia i motivi reali dietro le frasi dei documenti ufficiali !

Con quanta fedeltà il suo stile stesso esprime le sue intuizioni! Si è rimproverata al Guicciardini, dal punto di vista estetico non a torto, la monotonia dei suoi lunghi periodi colle loro numerose proposizioni secondarie e si è perfino fatto valere lo stile più naturale della Storia fiorentina contro lo stile dell'opera della vecchiaia. Chi giudica così trascura che nel Guicciardini la forma corrisponde soltanto alla sostanza. La struttura del suo periodo non deriva da una maniera stilistica, ma è determinata dal bisogno di riprodurre avvenimenti complessi con la stessa precisione con cui sono stati osservati. Lo stile della Storia è altrettanto naturale e individuale quanto quello dell'opera precedente; ma la materia è più complicata e il giudizio dell'autore è diventato meno sommario. I lunghi periodi del Guicciardini possono perciò forse stancare, ma non son mai privi di chiarezza. Sarebbe inesatto il voler vedere in questa peculiarità stilistica una concessione all'umanesimo.
Guicciardini ha però fatto delle concessioni sotto un altro aspetto.
Egli non passò neanche nella Storia completamente sul terreno della tendenza umanistica. Ma si avvicinò alla scuola del Bruni nella misura in cui ciò era conciliabile col suo modo di pensare realistico.
Parecchie esteriorità furono di scarsa importanza. Così la divisione negli informi libri. Anche l'ordinamento annalistico così aspramente criticato dal Ranke non era poi così male adatto alla materia ed aveva perlomeno il vantaggio che il lettore non perdeva mai di vista il nesso generale; inoltre il Guicciardini non interrompeva, come facevano gli umanisti, la narrazione al volger dell'anno con notizie di cronaca...

Ancora in un altro punto il Guicciardini si unì all'usanza degli umanisti.
Quasi tutti gli storiografi umanisti posero talvolta alla luce della loro narrazione relazioni altrui, e composero in modo indipendente solo nella misura in cui nessun predecessore avesse loro spianata la strada. Guicciardini all'occasione non fece molto diversamente. Ma anche in tal caso il suo procedimento fu essenzialmente diverso da quello degli umanisti. In primo luogo oltre alle fonti letterarie utilizzò il materiale archivistico così completamente e diligentemente come nessun altro predecessore. Inoltre non riproduceva mai una semplice copia, bensì elaborava la sua fonte secondo punti di vista personali. Non compendiò mai altri autori in modo così arbitrario e trascurato come faceva per es. Machiavelli. Limitarsi completamente agli atti non poteva, già pel solo fatto che delle carte di stato gli erano accessibili solo i documenti dell'archivio fiorentino. E quel che prendeva dalle sue diverse fonti lo connetteva col resto così accuratamente, che ne veniva fuori qualcosa di completamente nuovo. Naturalmente gli sono sfuggiti degli errori. Ma ciò non dà il diritto di collocarlo al di sotto di storici che non possono competere con lui né per coscienziosità, né per prudenza.

Guicciardini appartiene, insieme al Commines, al Clarendon ed altri, al numero degli storici che hanno determinato il giudizio dei posteri sul loro tempo. Per la concezione moderna della politica del rinascimento egli, accanto a Machiavelli, è il testimonio principe. A torto. Se la politica appare in lui particolarmente priva di scrupoli e violenta, la ragione di ciò non sta nell'oggetto, ma nel soggetto. Voler spiegare ad esempio Guicciardini con i rapporti. esistenti nel suo tempo sarebbe un ingenuo circulus vitiosus. Lo stato di cose di allora ha avuto influenza sulla sua concezione solo in quanto non diede agli statisti occasione di calcolare con altre combinazioni che non fossero quelle politiche e militari. Nell'Italia di quel tempo si notavano così pochi conflitti ecclesiastici o sociali, che anche la storiografia credette di poter diventare unilaterale. Ma la colpa della propensione a riconoscere nella politica solo motivi egoistici, non l'ha la particolare corruzione dei tempi, bensì la personalità dell'autore. Fu una fortuna che l'attività del Guicciardini cadesse in un tempo di quasi illimitata libertà di parola. Poco dopo gli statisti poterono bensì agire ancora come egli descrive, ma non poterono più scrivere come lui.


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