CRITICA: DALL'ILLUMINISMO AL PREROMANTICISMO

 ILLUMINISMO ITALIANO E ILLUMINISMO EUROPEO

 AUTORE: Franco Venturi    TRATTO DA: La cultura illuministica in Italia

 

Il valore del Settecento italiano consistette precisamente nell'aver saputo inserirsi fruttuosamente nell'Europa dei lumi.
Ciò fin dalle origini, fin dagli anni di quella «crisi nella coscienza europea» che, al passaggio tra il Seicento e il Settecento, chiuse l'epoca della Controriforma e aprì quella della Ragione e della Natura. La formula che lo storico francese Paul Hazard impiegò per designare il periodo che va dalla revoca dell'editto di Nantes alla morte del Re Sole, dal 1685 al 1715, non è nuova, né moderna. Curioso a dirsi, essa fu già impiegata, sia pure in senso, naturalmente, più ristretto e limitato, dai contemporanei. La salute d'Europa considerata in stato di crisi, così s'intitola infatti un libretto stampato a Colonia nel 1694.
In questa crisi gli italiani ebbero una funzione non indifferente. La ripresa spirituale che Benedetto Croce notò negli ultimi decenni del XVII secolo, il lento rifiorire economico che Carlo Cipolla ha constatato negli Stati della penisola nel medesimo periodo, la più attiva partecipazione alla politica internazionale dei grandi conflitti europei contro Luigi XIV, sono altrettanti sintomi del nuovo clima che andava maturando anche in Italia.
Non ci fu da noi naturalmente quel tormento che portò in Inghilterra e tra i fuorusciti ugonotti francesi a pensare al problema della tolleranza religiosa come alla questione centrale del secolo che stava per nascere. Non sentiamo da noi risuonare quelle note profonde che Pierre Bayle seppe toccare parlando dei rapporti tra moralità individuale e religiosità sociale. Ma, trasferiti su un piano diverso, i nostri problemi sono pur sempre quelli della tolleranza (finalmente ottenuta allora dai Valdesi) e soprattutto quelli dei rapporti tra Chiesa e Stato.
In quest'ultimo campo dimostrammo di essere in grado di dire una parola nostra, originale e inserita insieme nelle generali discussioni dei primi decenni del secolo nuovo.
Giannone a Napoli e Radicati in Piemonte seppero portare a conclusioni profonde quei conflitti con la Curia romana che costituiscono, negli Stati italiani come in Francia, in Austria e in Spagna, la prima, solida, base d'una autentica revisione delle idee politiche e religiose. Giannone col suo peregrinare da Napoli a Vienna e a Ginevra, dopo aver invano cercato rifugio nelle città italiane è il simbolo di questa ricerca d'un nuovo contatto col mondo d'oltr'Alpe. Il Triregno, una delle più alte opere del nostro Settecento, testimonia d'una -ricerca intellettuale che va allargandosi e approfondendosi. Dalla rinnovata tradizione ghibellina Giannone risale ai problemi filosofici e storici di tutta la sua epoca. La sua tragica prigionia nelle carceri del re di Sardegna sta a dirci quali siano gli ostacoli che questa volontà di rinnovato contatto col inondo trova sul suo cammino.

Alberto Radicati sembra nascere come una pianta anche più solitaria. Eppure anche per lui il punto di partenza sta nel conflitto politico tra Vittorio Amedeo II e la Corte papale, e il punto d'arrivo sta nell'esilio in Inghilterra e in Olanda, nella misera morte solitaria e nella conquista d'un pensiero che non è volterriano soltanto per ardire e vivacità, ma anche per ampiezza cosmopolita di respiro.
È Radicati a sottolineare con intensa energia l'origine politica dei mali che affliggono l'Italia e a sostenere che nulla può scusare la mancanza di volontà a porci rimedio. Diceva:

Non bisogna attribuire il bene o il male al clima del paese o al temperamento degli uomini... L'esperienza ci fa vedere sempre che gli uomini sono buoni o cattivi a seconda delle buone o cattive leggi che osservano. Sappiamo che delle nazioni che erano in altri tempi modelli di virtù sono ora esempio di vizio... Se gli inglesi sono buoni e virtuosi ciò dipende dalle buone leggi... È glorioso presso di loro difendere la libertà e i diritti della nazione, perché essi vivono sotto un governo giusto e libero, basato sul consenso generale dei popoli... Se si trasportassero in Italia, in Spagna e in Portogallo le buone leggi e la costituzione dell'Inghilterra, mentre si stabilissero là le cattive norme di questi ultimi paesi, in meno di cinquant'anni si vedrebbero gli inglesi diventar vili, traditori, assassini, superstiziosi e credei, come sono oggi italiani, spagnoli e portoghesi...

Nel pensiero solitario di Radicati nasceva così la volontà d'una integrale riforma, politica e religiosa, che prende in lui anche la forma d'una volontà unitaria per la Penisola. Finirà per dedicare i suoi Discorsi morali, storici e politici, da cui sono tratti i passi ora riportati, a quel principe, don Carlos di Borbone, che egli stimava o sperava capace di ridurre l'Italia in un'unica nazione.
Se Giannone e Radicati furono i frutti più originali e nuovi del regalismo nascente, esso alimentò anche uomini e mentalità ben diverse, dando loro un primo impulso a riconsiderare le grandi questioni dell'incipiente XVIII secolo. Muratori è un preciso difensore dei diritti del suo piccolo stato di fronte a Roma, e vive in un'atmosfera in cui non sono assenti il rigore insieme filologico e religioso dei padri maurini francesi ed i sogni di riconciliazione tra le chiese cristiane del grande Leibniz. L'esplorazione immensa che Muratori operò nel nostro Medioevo è illuminata da un amore profondo per tutto il passato delle nostre città, dei nostri castelli, dei nostri villaggi. Eppure, dalla sua grandiosa ricerca sorge di fronte ai nostri occhi, quasi naturalmente, una visione che si inserisce senza sforzo nel passato degli altri paesi d'Europa. Il padre della storia italiana è membro d'una società cosmopolita di dotti, di quella repubblica di studiosi che rinasce e si trasforma nel Settecento, ed è insieme il calmo, sereno assertore d'una concezione della nostra storia che è parte naturale d'Europa.

Se il primo Settecento ci ha dato grandi figure isolate, nella seconda metà del secolo constatiamo già la presenza d'una piccola ma attiva classe dirigente capace di operare riforme e di portare ormai nelle cose il pensiero illuminista...
L'esempio più caratteristico ci è dato da Milano, dall'Accademia dei Pugni e dal Caffè. Le idee di questo gruppo sono ispirate da Locke, Condillac, da Helvétius. Rappresentano la rottura del sensismo e dell'utilitarismo di fronte alla tradizione umanistica e giurisdizionalista. Sono, in Italia, un caso particolarmente importante della nascita di quel radicalismo filosofico che Elie Halévy ha tanto profondamente studiato, parlandoci soprattutto della Francia e dell'Inghilterra.

Ma Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gianrinaldo Carli sono degli alti funzionari dell'impero di Maria Teresa e poi di Giuseppe II. Il brillante, intelligente rapporto che essi seppero trovare tra l'Inghilterra e soprattutto tra Parigi, il focolare dei lumi, e le esigenze reali del paese in cui operano, costituirono il nerbo e il vigore della loro formula intellettuale.
La loro opera non può toccare direttamente i problemi politici, nel senso tradizionale di quest'ultima parola. Non la trasformazione dell'equilibrio delle potenze in Italia, non lo spostamento dei confini o il cambiamento di sovrani rientra nei loro obiettivi. Essi si concentrano perciò sul mondo sociale ed economico. Studiano gli ingranaggi della società civile. Si pongono problemi sociali e morali. Sono ormai ben lontani dal timoroso senso di distacco, di dileggio e magari d'orrore che ha dominato in passato l'animo di tanti italiani di fronte alla politica. Non la paventano perché hanno scoperto un loro mondo politico, quello in cui essi possono fare qualcosa di vero e di serio. Con i loro scritti, con le loro carriere burocratiche, i loro carteggi, le loro gazzette ed Accademie, sono ormai in grado di far nascere il pensiero di questa o quella riforma, di seguirla, appoggiarla, difenderla e portarla a buon fine. Accettano cioé la situazione politica quale essa sta loro intorno perché intendono applicare le loro energie soltanto là dove le ritengono maggiormente feconde. Sono dei riformatori, insomma, non dei rivoluzionari giacobini della generazione posteriore, né, tanto meno, dei patrioti ottocenteschi.
Il più bel frutto di questa loro posizione è un libro che sintetizza tutti i problemi morali del secolo della filantropia e quelli politici dell'età che seppe affermare i diritti dell'individuo, della società e dello stato. Dei delitti e delle pene diede una forza sentimentale alle idee che erano nell'aria ed impose il nome del suo autore a tutte le capitali del secolo dei lumi. Beccaria sarà chiamato ad insegnare a Pietroburgo. Là sarà discusso e commentato, così come in Francia verrà chiosato da Morellet, Voltaire, Diderot, e porterà in Inghilterra nuovi elementi dalla difficile battaglia che là si combatteva contro la pena di morte...

Il rinnovamento della nostra cultura si sentì appoggiato, attorniato anzi, dall'evoluzione che, in Europa, si andava manifestando. Non dunque un bilancio del dare e dell'avere si tratta di fare, quando si voglia capire il nostro Settecento rispetto al resto d'Europa. Il nostro contributo si fonde naturalmente nel quadro dell'Europa dei lumi. In alcuni uomini, come Beccaria, esso seppe esprimere un calore d'umanità che approfondì la filantropia del secolo. In altri, come Galiani, Vasco, Verri giunse ad un'acuta indagine economica che fu il nostro sottile e caldo apporto al secolo che gettò le basi dell'economia moderna. In tanti e tanti altri l'illuminismo seppe suscitare quell'appassionato amore per la ragione che gli italiani dimostrarono così, quando non furono prigionieri dei miti del primato o della «boria delle nazioni».

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis