CRITICA: DALL'ILLUMINISMO AL PREROMANTICISMO

 "IL DISCOURS SUR SHAKESPEARE" DEL BARETTI

 AUTORE: Walter Binni    TRATTO DA: Preromanticismo italiano

 

Nel Discours, a differenza della Frusta, si nota subito una coerenza più intima, un tono più fermo, meno petulante, dovuto al fatto che il Baretti, libero dalla polemica ormai superata con gli arcadi e i cruscanti, si rivolge con tanta maggiore unità non contro residui e mode, ma contro una cultura ben viva, contro una mentalità trionfante e contro il suo più vistoso rappresentante.
La discussione del Baretti si liberava dal suo tono di critica spicciola e la sua energia trovava una direzione più nobile e viva, la sua tendenza individualizzante a base moralistica perdeva il suo sapore più fido, e il suo aspetto conservatore e casistico, e si sviluppava su di un dreno schiettamente nuovo, più storico, meno cronachistico. La «rivolta di Aristarco» non era più ibrida nel suo obbiettivo, anche se inevitabilmente ibrida nei suoi presupposti culturali, ideologici e diventava rivolta europea al predominio voltairiano sul gusto generale, alla poetica della raison, all'impero di un classicismo formalistico cui Voltaire, dopo uno sviluppo più concreto e sensistico, era ritornato come a coerente poetica dell'illuminismo razionalistico. Naturalmente sarebbe assurdo chiedere al Baretti una posizione integralmente nuova e sganciata del tutto da motivi illuministici in lui forti, anche se diversamente qualificati, e da quelle remore tradizionaliste che in parte si ficcano arma nella critica antivoltairiana fondendosi con spunti nuovi e rivoluzionari, in parte sedimentavano e appesantivano il metodo costruttivo del critico.

Ma certo per la storia del nostro preromanticismo e del preromantilcismo europeo, questo testo è di una importanza troppo poco sottolineata e mai inquadrata in uno svolgimento da illuminismo a romanticismo: per l'attacco contro Voltaire, per l'affermazione anche se saltuaria di un nuovo metodo critico, per la difesa di Shakespeare che già in Germania aveva segnalato il cambiamento del clima poetico, l'approfondimento dello Sturm und Drang, il primo contributo goethiano («und Ich rufe: Natur! Natur! nichts so Natttr als Shakespeares Menschen») e che anche in Francia, proprio per opera di Voltaire, aveva indicato una prima stagione non classicista sviluppata da Diderot e dai più coerenti preromantici.

Voltaire infatti aveva accettato in un primo tempo e nel momento di maggiore anglomania, la grandezza di Shakespeare, se ne era fatto banditore in Francia ed aveva addirittura cercato una nuova fortuna teatrale in tragedie che dello Shakespeare volevano riprendere in espedienti esteriori, il grandioso, il fantastico di apparizioni, di bruschi interventi. Poi quando per opera del grande mediatore tra l'Inghilterra e la Francia, Le Tourneur, l'amore del drammaturgo inglese si diffuse con una accentuazione chiaramente preromantica, Voltaire, parte per le tipiche reazioni del suo carattere (dispetto di non essere più il rappresentante di Shakespeare in Francia), parte, e più profondamente, per una naturale involuzione del suo gusto contro le punte più avanzate della sua potente curiosità, si rivolse ferocemente contro il traduttore e l'originale qualificando il primo di «imbécile, maraud, faquin» e caratterizzando il secondo come un letamaio con qualche gemma, «un enorme fumier».

Di fronte a questo atteggiamento del Voltaire, il Baretti che, come abbiamo visto, già precedentemente lo aveva attaccato, pur ammettendo la grandezza dell'illuminista francese «come semplice scrittore» («cioè dal canto della sua maniera ad adoperare le parole e d'ordinare lo stile»), con il suo procedere tra pamphlettistico e pedantesco, con il suo amore per una verità solidamente conquistata ed empiricamente accertata, non muove da uno sdegno astratto o da una figura puramente estetica di Shakespeare e di Voltaire, ma dalla constatazione dell'ignoranza dell'inglese da parte di Voltaire e della sua conseguente incapacità di gustare e giudicare rettamente la poesia di Shakespeare. Le prove minute, assommantisi con meticoloso rigore, in un momento di grazia dell'intelligenza barettiana, procedono con un misto di scientifico e di corposo che sembra tradurre in stile il gusto barettiano del concreto su base empirica, di buon senso. Voltaire dopo un anno di soggiorno in Inghilterra ha pubblicato due scritti in perfetto inglese (prova della sua conoscenza di quella lingua). Ma è impossibile imparare così bene e così presto una lingua, tanto più che, dopo la sua partenza dall'Inghilterra, Voltaire non ha più scritto lettere inglesi, tranne una, così sgrammaticata da non crederla sua. Eppure Voltaire ha tradotto brani da Shakespeare. Come? Dimostrando la sua incomprensione, come risulta da un esame particolare di un brano dell'Amleto che mette bene in luce tutta l'acutezza filologica del Baretti sempre un po' spavalda e pedantesca insieme. Accertata l'ignoranza specifica di Voltaire (con un accumularsi di prove, con una insistenza quasi maniaca), il saggio si allarga in un attacco contro il filosofo di Ferney e in un abbozzo di poetica antilluministica che si intrecciano e collaborano, sorretti dallo stesso gusto scabro di una verità non astratta, non sofistica, in vista di una mentalità, di un metodo nuovo focosamente e approssimativamente intuiti.

Se il Baretti si fosse arrestato a dimostrare l'ignoranza di Voltaire o la qualità deteriore della sua traduzione, il Discours sarebbe rimasto solo un pamphlet di gusto discutibile, ma egli va oltre e afferma l'intraduciIilità di Shakespeare in francese o nelle altre lingue neolatine poiché: «Shakespeare ne savait latin, ni grec, ni ancone autre langue. II n'avait devers soi qu'une profonde connaissance de la nature humaine, un de ces génies, si rares partout qu'on appelle génies d'invention, et par dessus cela une imagination tonte de feu. Avec ces trois qualités Shakespeare sui former, à l'àge de 32 ans, un langage, quelquefois bas et plein d'affectation, mais plus souvent compact, énergique, violent, dori sort une poesie qui enlève l'àme quand il le veut» . E lo stesso linguaggio critico adoperato arieggia bene l'intuizione nuova, preromantica che il Bareni aveva della poesia shakespeariana, della sua creatività libera e «selvaggia ».

«C'est cette poésie-là qu'on no saurait rendre dans ancone des langues dérivées de la latine... La langue francaise par dessus ses soeurs, est trop chàtile, trop scrupuleuse, trop dédaigneuse, pour rendre Shakespeare. Quand ora traite des pensées sublimes, elle ne sait souffrir la moindre transposition un peti forte, la moindre phrase non recue ou surannée. Un enjambement dnns un vers, arte ritrae qui ne répond pas avec la derniére exactitude, un hétnistiche un Peti mal séparé de l'autre, y est un défaut insupportable. La langue de Shnkespenre est plutòt ernbellie que gatée par tout cela. Un certain air antique, et quelquefois sauvage, ajoute méme à ses beautés poétiqiíes. II est plus libre dans !e choix de ses expressions que le vent sur l'Ocèan, pour le dire à sa manière. Son dialogue est tantót en vers blancs, tantot en vers rimés, tantot en prose, et n'a tantòt qu'un mot ou deux à la piace d'un vers... Allez selon le génie de la poésie francaise l'enchainer dans des alexandrins, qui vous rappellent une procession de moines marchants deux à deux d'un pas égal et grave le long d'une rue droite, votis ne le reconnaitrez plus. Ce Bora, faire danser des minuets à qui ne sait que s'élancer comete un ceri».

E dalla intraducibilità di Shakespeare in lingua neolatina, si passa ai punti più sostanziosi e meno cronachistici, alle affermazioni che, in una ganga sempre compromessa di cultura e di velleità, implicano un nuovo senso della poesia, in cui (più che il languore idillico e la tenerezza elegiaca che soprattutto affiorano negli altri testi preromantici italiani), si presenta quel vigoroso amore del concreto che conduce ai romantici 1816, e, nel pieno romanticismo italiano, al De Sanctis.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis