CRITICA: DALL'ILLUMINISMO AL PREROMANTICISMO

 IL "GRAVE STIL NUOVO" DEL PINDEMONTE

 AUTORE: Walter Binni    TRATTO DA: Preromanticismo italiano

 

Chi volesse uno spaccato della cultura letteraria di fine settecento, potrebbe certamente rivolgersi al ritratto sensibile e pacato del Pindemonte, alla sua sintesi poetica, che è la prima ad affermarsi con impronta sia pure stanca e slavata, ma personale e precisa nel suo centro di movimento. E in questo fin de siècle settecentesco, dominato idealmente dall'Alfieri e dalla prima apparizione foscoliana, mentre altrove il romanticismo è già pieno nella sua autorizzazione teorica e pratica come Goethezeit, Schillerzeit, epoca dell'Athenaum, la trama sottile delle direttive artistiche pindemontiane segna anche sul fondo di un temperamento ancora settecentesco, non raggelato dalla alta mania di Winckelmann, il trasferimento della crisi cesarottiana in tentativi di precisazione di un costume sentimentale in una finitezza lineare, in una dinamica composta e perfetta. Il grafico che uscendo fuori dal cerchio che ci siamo disegnato, svolge le sue curve esili entro l'epoca foscoliana e canoviana e s'intreccia con quelle della figura mondana, le cui radici più chiaramente si nutrono nell'humus neoclassico, è il grafico che meglio indica come, in generale, atteggiamenti preromantici si svolsero senza contrasto interiore in atteggiamenti neoclassici che di quel primo momento più vasto mantennero il più originale calore. «Tra classicismo e romanticismo» hanno collocato alcuni, sulle orme del titolo più celebre del Folkierski, il Pindemonte, ma più ragionevolmente lo storico situa una esperienza così multipla e pur monotona sulla linea sinuosa e non drammatica di un trapasso di stagioni letterarie dall'ultimo canto di Arcadia, dal brio del sensismo e dalla precisione scientifica illuministica, a chiare tenerezze preromantiche, a candori neoclassici, ad irrobustimenti di «situazione» romantica.

Sulla base di un interesse letterario, vivo in quanto circoscritto nei confini di una gustata attenzione alla vita aristocraticamente segnata come natura civile anche nei suoi moti più istintivi, il Pindemonte sistema il suo arricchimento di sensibilità originale e di volontà di struttura in successive posizioni di equilibrio, in sintesi letterarie tutte caratterizzate dalla sua scrittura blanda e allungata, elusiva ed attenta, ma volta per volta adeguate a successivi aspetti della maniera preromantica dalle sue origini arcadiche e illuministiche al suo svolgimento neoclassico, alle sue più audaci punte romantiche.
È forse questa sua facilità di adesione al proprio tempo letterario e di rapido assestamento (sì che mai il suo volto si scopre in crisi e le sue linee volta per volta si precisano in una sagoma non scomposta anche se non fortemente incisa) che costituisce la sua strana monotonia in una molteplicità di esperienze, la sua assoluta mancanza di tumulto nel pieno della crisi preromantica di cui egli è così autorizzato rappresentante. Quella sua lontananza da impegni estremi anche quando la sua letteratura assumeva gli atteggiamenti più nuovi l'Arminio ad esempio), quel suo rifiuto (lui amico di Alfieri) di un passaggio da motivi di mestiere a giustificazioni più profonde dei nuovi modi, mentre lo mette fuori dall'impeto più chiaramente «protoromantico», precisa la sua curiosità letteraria in maniera più indiscutibile e rende la sua testimonianza tanto più preziosa quanto più, su di un primo stimolo spirituale, si costruisce con un certo distacco, con una forma di superiorità dello stile che viceversa non raggiunge mai la piena padronanza del più cosciente neoclassicismo winckelmanniano. Donde il lieve gusto contenutistico, il tepido abbandono sentimentale, il discorso diffuso, poco cristallizzato. Personalità viva nella sua intensità scarsa, ma individuabile nel suo grado e nella sua continuità, fin dalle prime esperienze rivelava il suo tono di tenuità sostenuta, di tepore intellettuale e sensibile che per un suo fremito lieve si diversifica ormai dalla sfumatura arcadica anche quando quella è la esbase del suo equilibrio...

Si sa che il Pindemonte vive nella memoria dei lettori italiani per una poesia e più per un inizio di strofa che pare rapprendere in una linea breve e miniaturistica, dunque catalogabile come rococò, un movimento di tenerezza preromantica non esente da una mitizzazione fra arcadica e di grazia neoclassica:

 

Melanconia
ninfa gentile.


In realtà la grazia arcadica si è consumata in languore e in finezza lineare e la sintesi come non può prescindere dal candore classicheggiante, vive però in termini preromantici di fronte a cui ogni altro elemento decade a temperamento di un sostanziale animus poetico e di un programma che mira, come un po' avviene anche nel Bertola, ad una tenue musica sentimentale preparata e appoggiata ad un fondo di cultura letteraria (gli inglesi) omogeneo e stimolante.
E giustamente l'esile distico diventa emblema del Pindemonte e di una stagione poetica desiderosa insieme di una misura e di una tensione, rappresentata dal simbolo suggestivo e perfino dallo stimolo fonico della Melanconia. Gli urti più passionali che pure vivevano nelle poesie degli «estremisti», son qui smorzati, rappresi in brevi sospiri soavi, in ritmi di sublime patetico e pittoresco; non più il semplice piacevole arcadico o sensistico, non ancora il bello tempestoso dei romantici di cui già però la esperienza più rozza è scontata nelle prove degli estremisti e ridotta in un equilibrio aristocratico.

Dal cerchio di una sensibilità leggermente trasognata di malato e di convalescente (perfino verificabile in un presente stato fisico del poeta «in tempi che una scomposta salute minacciava non leggermente, benché di lontano, i suoi giorni» - dice la lettera introduttiva di Elisabetta Mosconi -), nascono da un gusto di rallentato, di «sentimentale» abbandono, (e non distensione nel suo senso di lucida pace) un trepido ritmo elegante quanto più stentato e apparentemente negletto, che il neoclassicismo conclude nelle Poesie Campestri, una ricerca di equilibrio preromantico che il Pindemonte non otterrà in un tono più solenne o più parlato. Si può dire del resto che la sua natura un po' slavata e pur ricca di capacità formali e di una larga inventività, corrisponde centralmente al tono cercato in questa sintesi letteraria, dove il pittoresco e il sentimentale si accordano nella fase di una mediocre forza interiore a cui ripugna una rottura senza soluzione. Solitudine, malinconia, che altrove servono a rompere l'edonismo settecentesco, qui si posano come soavi miti la cui suggestione non supera i limiti della tenerezza musicale e della composizione pittorica del paesaggio.
E lo stesso mito della melanconia, centro di immagini di moderata religiosità naturalistica moralistica («cuor puro»), di gradazioni coerenti di colore («quel di viola tuo manto»), di una coscienza di poetica nuova in quanto pensosa musica di accordi interiori («il nuovo grave mio stil»), subisce una preziosa modifica tutta pindemontiana (Pindemonte vive di trovate poco appariscenti e sensibili). Meglio che melanconia «leucocolia»: «una dolce melanconia, leucocolia; ch'è come dire una bianca tristezza»

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis