CRITICA LETTERARIA: NICCOLO' MACHIAVELLI
  Intorno alle opere del Machiavelli

Autore: Ugo Foscolo   Opera: Opere vol. III


L'opuscolo del signor Ridolfi' incomincia così: «Le sublimi idee di universale legislazione ,occuparono in ogni tempo le menti de' più grandi ingegni, e nella serie de' secoli uscirono tratto tratto, or in un luogo, or in un altro, opere luminose, frutto delle profonde meditazioni di coloro i quali fisso mirarono in quella superna legge che, come dice Tullio, è la retta ragione, conforme alla natura, comune a tutti, costante e sempiterna». Vera o falsa che sia questa sentenza Platonica, certo è che chi la crede e la scrive, o non è sì versato nell'opere del Machiavelli da poterne parlare, o è già imbevuto di tali principj da confutare tutti i principj di Machiavelli. Questo autore non ha mai guardato liso a legge superna, né a retta ragione, né alla conformità della natura comune a tutti, né a costanza, né a sempiternità, né a niun'altra di sì fatte idee o parole metafisiche; ma tutto il principio de' suoi ragionamenti si ristringe in questa sentenza: «Dalle cose che gli uomini in altri secoli hanno fatto, imparate ciò che nel vostro secolo dovete fare ». Onde invece di piantare un assioma a priori, come fanno i politici metafisici, egli ha esaminati molti fatti, e ne ha ricavate alcune regole: invece di mostrare il bene che dovrebb'essere, ha mostrato il bene e il male che necessariamente si trovano nel mondo, e l'utilità che si può ricavare tanto dal bene quanto dal male.
Infatti così furono intesi i libri di quest'autore da un grand'uomo che in uno Stato più vasto e in circostanze più luminose ebbe gli stessi uffici pubblici che il Machiavelli avea avuti nella sua patria, e la stessa occasione di studiare le pratiche degli uomini. Questi è Bacone di Verulamio, il quale nel libro VIII, cap. II De argumentis scientiarum lasciò scritto: « Gratias agamus. Machiavello et hujusmodi scriptoribus qui aperte et indissimulanter proferunt quid homines facere soleant, non quid debeant».

Oltre i principi generali dell'autore, che sembrano mal conosciuti dal signor Ridolfi, il confronto ch'egli istituisce delle sue opere è così spicciolatb e meschino, che non si può trarne veruna conseguenza fondamentale, perché in fine del conto riducesi a citare una dozzina di passi ricavati dal Principe o dai Discorsi sopra la Storia di Livio. Noi invece faremo un confronto assai differente, e prima di tutto osserveremo che chi legge tutte queste opere politiche del Machiavelli, attendendo alle date in cui furono scritte, vede ch'egli avea per iscopo:

d'illuminare le fazioni della sua patria che, togliendo la libertà, l'avevano fatta soggetta alla Casa de' Medici;
d'illuminare l'Italia sul predominio secreto che esercitavano i pontefici, i quali, o per ingrandirsi o per arricchirsi, attiravano sempre le armi straniere;
d'illuminare i principi sul danno che recavano ad essi le armi mercenarie.

Queste tre mire cospiravano tutte all'indipendenza dell'Italia, e principalmente alla libertà della Repubblica fiorentina. Leggansi i Discorsi, che furono scritti prima, poi l'Arte della Guerra, poi le Storie dell'autore. E confrontandoli, si vedrà ch'egli era sempre diretto da questo intendimento. La Vita di Castruccio Castracani è, senza dubbio, un romanzo storico a cui fu modello la Ciropedia di Senofonte. Ma poich'egli vedeva che le grandi rivoluzioni degli Stati nascono sempre dal genio d'un uomo guerriero, egli volle pure dare in qualche modo esempi all'uomo che avesse tentata sì grande impresa. Nessuno negherà che in tutte queste opere si trovino nobilissimi e santi precetti di giustizia, ma di giustizia non ideale, non sovrumana, ma gagliarda e fondata sulla forza e sulla esperienza delle nostre passioni; ma tale insomma che trovi elementi d'utilità tanto ne' vizi, quanto nelle virtù de' mortali. Riguardo al libro del Principe, non fa d'uopo molta penetrazione per vedere in esso la quintessenza di tutti i principj e di tutto lo scopo del Machiavelli; poiché si conosce evidentemente: i danni causati alla libertà delle repubbliche italiane dalla funesta preponderanza della Chiesa; le oppressioni delle città governate dai piccoli tirannetti in Italia; l'avvilimento degli Italiani e la loro perpetua schiavitù per l'abuso delle armi mercenarie e per l'invasione degli stranieri. Però la conclusione di quel libro è una esortazione di liberare l'Italia dai Barbari. Taceremo per ora se alcuni di que' precetti tendano a fare aborrire il principato; diremo bensì che l'uomo il quale avesse dovuto fondare in que' tempi un grande e nuovo stato in Italia, avrebbe certamente rovinato s'egli avesse voluto mettere in pratica le teorie de' metafisici. Diremo inoltre che pendiamo a credere che una delle mire del Machiavelli nel Principe si fu di svelare a' popoli italiani, e specialmente a' Fiorentini, tutte le sciagure a cui soggiacciono le città rette da principi deboli, poveri e malfermi nel loro trono; i quali, in difetto d'armi e di leggi, son obbligati, per mantenersi, a pagare il più forte col danaro de' propri sudditi, ed a reggersi colla frode.


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Aggiornamenti letterari 2002 - Luigi De Bellis