CRITICA LETTERARIA: NICCOLO' MACHIAVELLI
  La concezione della storia e il metodo del Machiavelli

Autore: Francesco De Sanctis   Opera: Storia della letteratura italiana


Subordinare il mondo dell'immaginazione, come religione e come arte, al mondo reale, quale ci è posto dall'esperienza e dall'osservazione, questa è la base del Machiavelli...
Il mondo non è regolato da forze soprannaturali o casuali, ma dallo spirito umano, che procede secondo le sue leggi organiche e perciò fatali. Il fato storico non è la provvidenza, e non la fortuna, mala « forza delle cose » , determinata dalle leggi dello spirito e della natura. Lo spirito è immutabile nelle sue facoltà ed immortale nella sua produzione.
Perciò la storia non è accozzamento di fatti fortuiti o provvidenziali, ma concatenazione necessaria di cause e di effetti, il risultato delle forze messe in moto dalle opinioni, dalle passioni e dagl'interessi degli uomini.
La politica o l'arte del governare ha per suo campo non un mondo etico, determinato dalle leggi ideali della moralità, ma il mondo reale, come si trova nel tal luogo e nel tal tempo. Governare è intendere e regolare le forze che muovono il mondo. Uomo di stato è colui che sa calcolare e maneggiare queste forze e volgerle a' suoi fini.
La grandezza e la caduta delle nazioni non sono dunque accidenti o miracoli, ma sono effetti necessari, che hanno le loro cause nella qualità delle forze che le movono. E quando queste forze sono in tutto logore, esse muoiono.
E a governare, quelli che stanno solo in sul lione, non se ne intendono. Ci vuole anche la volpe, o la prudenza,"cioè l'intelligenza, il calcolo e il maneggio delle forze che muovono gli stati.
Come gl'individui, così le nazioni hanno legami tra loro, dritti e doveri. E come ci è un dritto privato, così ci è un dritto pubblico, o dritto delle genti, o, come dicesi oggi, dritto internazionale. Anche la guerra ha le sue leggi.
Le nazioni muoiono. Ma lo spirito umano non muore mai. Eternamente giovane, passa di una nazione in un'altra, e continua secondo le sue leggi organiche la storia del genere umano. C'è dunque non solo la storia di questa o quella nazione, ma la storia del mondo, anch'essa fatale e logica, determinata nel suo corso dalle leggi organiche dello spirito. La storia del genere umano non è che la storia dello spirito o del pensiero. Di qui esce ciò che poi fu detto filosofia della storia.
Di questa filosofia della storia e di un dritto delle genti non ci è nel Machiavelli che la semplice base scientifica, un pulito di partenza segnato con chiarezza e indicato a' suoi successori. Il suo campo chiuso è la politica e la storia.
Questi concetti non sono nuovi. I concetti filosofici, come i Poetici, suppongono una lunga elaborazione. Ci si vede qui dentro le conseguenze naturali di quel grande movimento, sotto forme classiche realista, ch'era in fondo l'emancipazione dell'uomo dagli elementi soprannaturali e fantastici, e la conoscenza e il possesso di sé stesso. E a' contemporanei non parvero nuovi, né audaci, veggendo ivi formulato quello che in tutti era sentimento vago.
L'influenza del mondo pagano è visibile anche nel medio evo, anche in Dante Roma è presente allo spirito. Ma lì è Roma provvidenziale e imperiale, la Roma di Cesare, e qui è Roma repubblicana, e Cesare vi è severamente giudicato. Dante chiama le gloriose imprese della repubblica miracoli della provvidenza, come preparazione all'impero : dove pel Machiavelli non ci sono miracoli, o i miracoli sono i buoni ordini; e se alcuna parte dà alla fortuna, la dà principalissima alla virtù. Di lui è questo motto profondo: « I buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese ». Il classicismo adunque era la semplice scorza, sotto alla quale le due età inviluppavano le loro tendenze. Sotto al classicismo di Dante ci è il misticismo e il ghibellinismo: la corteccia è classica, il nocciolo è medievale. E sotto al classicismo del Machiavelli ci è lo spirito moderno che ivi cerca e trova se stesso. Ammira Roma, quanto biasima i tempi suoi, dove « non è cosa alcuna che gli ricomperi di ogni estrema miseria, infamia e vituperio, e non vi è osservanza di religione, non di leggi e non di milizia, ma sono macùlati di ogni ragione bruttura ». Crede con gli ordini e i costumi di Roma antica di poter rifare quella grandezza e ritemprare i suoi tempi, e in molte proposte e in molte sentenze senti i vestigi di quell'antica sapienza. Da Roma gli viene anche la nobiltà dell'ispirazione e una certa elevatezza morale. Talora ti pare un romano avvolto nel pallio in quella sua gravità, ma guardalo bene, e ci troverai il borghese del Risorgimento, con quel suo risolino equivoco. Savonarola è una reminiscenza del medio evo, profeta e apostolo a modo dantesco; Machiavelli in quella sua veste romana è vero borghese moderno, sceso dal piedistallo, uguale tra uguali, che ti parla alla buona e alla naturale. E in lui lo spirito ironico del Risorgimento con lineamenti molto precisi de' tempi moderni.

Il medio evo qui crolla in tutte le sue basi, religiosa, morale, politica, intellettuale. E non è solo negazione vuota. È affermazione, è il Verbo. Di contro a ciascuna negazione sorge un'affermazione. Non è la caduta del mondo, è il suo rinnovamento. Dirimpetto alla teocrazia sorge l'autonomia e l'indipendenza dello stato. Tra l'impero e la città o il feudo, le due unità politiche del medio evo, sorge un nuovo ente, la Nazione, alla quale il Machiavelli assegna i suoi caratteri distintivi, la razza, la lingua, la storia, i confini. Tra le repubbliche e i principati spunta già una specie di governo medio o misto, che riunisca i vantaggi delle une e degli altri, e assicuri a un tempo la libertà e la stabilità, governo che è un presentimento de' nostri ordini costituzionali, e di cui il Machiavelli dà i primi lineamenti nel suo progetto per la riforma degli ordini politici in Firenze. È tutto un nuovo mondo politico che appare. Si vegga, fra l'altro, dove il Machiavelli tocca della formazione de' grandi stati, e soprattutto della Francia.
Anche la base religiosa è mutata. Il Machiavelli vuole recisa dalla religione ogni temporalità, e, come Dante, combatte la confusione de' due reggimenti, e fa una descrizione de' principati ecclesiastici, notabile per la profondità dell'ironia. La religione ricondotta nella sua sfera spirituale è da lui considerata, non meno che l'educazione e l'istruzione, come istrumento di grandezza nazionale. È in fondo l'idea di una Chiesa nazionale, dipendente dallo stato, e accomodata a' fini e agl'interessi della nazione.
Altra è pure là base morale. Il fine etico del medio evo è la santificazione dell'anima, e il mezzo è la mortificazione della carne. Il Machiavelli, se biasima la licenza de' costumi invalsa al suo tempo, non è meno severo verso l'educazione ascetica. La sua dea non è Rachele, ma è Lia, non' è la vita contemplativa, ma la vita attiva. E perciò la virtù è per lui la vita attiva, vita di azione, e in servigio della patria. I suoi santi sono più simili agli eroi dell'antica Roma, che agl'iscritti nel calendario romano. O per dir meglio, il nuovo tipo morale non è il santo, ma è il patriota.
E si rinnova pure la base intellettuale. Secondo il gergo di allora, il Machiavelli non combatte la verità della fede, ma la lascia da parte, non se ne occupa, e quando vi s'incontra, ne parla con un'aria equivoca di rispetto. Risecata dal suo mondo ogni causa soprannaturale e provvidenziale, vi mette a base l'immutabilità e l'immortalità del pensiero o dello spirito umano, fattore della storia. Questo è già tutta una rivoluzione. È il famoso cogito, nel quale s'inizia la scienza moderna. È l'uomo emancipato dal mondo soprannaturale e sopraumano, che, come lo stato, proclama la sua autonomia e la sua indipendenza e prende possesso del mondo.
E si rinnova il metodo. Il Machiavelli non riconosce verità a priori, e principi astratti, e non riconosce autorità di nessuno, come criterio del vero. Di teologia e di filosofia e di etica fa stima uguale, mondi di immaginazione, fuori della realtà. La verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente de' fatti. Tutto il formolario scolastico va giù. A quel vuoto meccanismo fondato sulle combinazioni astratte dell'intelletto incardinate nella pretesa esistenza degli universali sostituisce la forma ordinaria del parlare diritta e naturale. Le proporzioni generali, le « maggiori » del sillogismo, sono capovolte e compariscono in ultimo come risultati di una esperienza illuminata dalla riflessione. In luogo del sillogismo hai la « serie », cioè a dire concatenazione dei fatti, che sono insieme causa ed effetto, come si vede in questo esempio:


Avendo la città di Firenze perduta parte dell'imperio suo, fu necessitata a fare guerra a coloro che la occupavano, e perché chi l'occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella guerra senza alcun frutto: dallo spendere assai ne risultava assai gravezze, dalle gravezze infinite querele del popolo; e perché questa guerra era amministrata da un magistrato di dieci cittadini, l'universale cominciò a recarselo in dispetto, come quello che fosse cagione e della guerra e delle spese di essa.


Qui i fatti sono schierati in modo che si appoggiano e si spiegano a vicenda: sono una doppia serie, l'una complicata, che ti dà le cause vere, visibile solo all'uomo intelligente; l'altra semplicissima, che ti dà la causa apparente e superficiale, e che pure è quella che trascina ad opere inconsulte l'universale, con una serietà ed una sicurezza, che rende profondamente ironica la conclusione. I fatti saltan fuori a quel modo stesso che si sviluppano nella natura e nell'uomo, non vi senti alcuno artificio. Ma è un'apparenza. Essi sono legati, subordinati, coordinati dalla riflessione, sì che ciascuno ha il suo posto, ha il suo valore di causa e di effetto, ha il suo ufficio in tutta la catena: il fatto non è solo fatto, o accidente, ma è ragione, considerazione, sotto la narrazione si cela l'argomentazione. Così l'autore ha potuto in poche pagine condensare tutta la storia del medio evo e farne magnifico vestibulo alla sua storia di Firenze. I suoi ragionamenti sono anch'essi fatti intellettuali, e perciò l'autore si contenta di enunciare e non dimostra. Sono fatti cavati dalla storia, dall'esperienza del mondo, da un'acuta osservazione, e presentati con semplicità pari all'energia. Molti di questi fatti intellettuali sono rimasti anche oggi popolari nella bocca di tutti, com'è quel « ritirare le cose a' loro principii », o quell'ironia de' « profeti disarmati », o « gli uomini si stuccano del bene, e del male si affliggono », o « gli uomini bisogna carezzarli o spegnerli ». Di queste sentenze o pensieri ce ne sono raccolte. E sono un intero arsenale, dove hanno attinto gli scrittori, vestiti delle sue spoglie.


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