Subordinare il
mondo dell'immaginazione, come religione e come arte, al mondo
reale, quale ci è posto dall'esperienza e dall'osservazione, questa
è la base del Machiavelli...
Il mondo non è regolato da forze soprannaturali o casuali, ma dallo
spirito umano, che procede secondo le sue leggi organiche e perciò
fatali. Il fato storico non è la provvidenza, e non la fortuna, mala
« forza delle cose » , determinata dalle leggi dello spirito e della
natura. Lo spirito è immutabile nelle sue facoltà ed immortale nella
sua produzione.
Perciò la storia non è accozzamento di fatti fortuiti o
provvidenziali, ma concatenazione necessaria di cause e di effetti,
il risultato delle forze messe in moto dalle opinioni, dalle
passioni e dagl'interessi degli uomini.
La politica o l'arte del governare ha per suo campo non un mondo
etico, determinato dalle leggi ideali della moralità, ma il mondo
reale, come si trova nel tal luogo e nel tal tempo. Governare è
intendere e regolare le forze che muovono il mondo. Uomo di stato è
colui che sa calcolare e maneggiare queste forze e volgerle a' suoi
fini.
La grandezza e la caduta delle nazioni non sono dunque accidenti o
miracoli, ma sono effetti necessari, che hanno le loro cause nella
qualità delle forze che le movono. E quando queste forze sono in
tutto logore, esse muoiono.
E a governare, quelli che stanno solo in sul lione, non se ne
intendono. Ci vuole anche la volpe, o la prudenza,"cioè
l'intelligenza, il calcolo e il maneggio delle forze che muovono gli
stati.
Come gl'individui, così le nazioni hanno legami tra loro, dritti e
doveri. E come ci è un dritto privato, così ci è un dritto pubblico,
o dritto delle genti, o, come dicesi oggi, dritto internazionale.
Anche la guerra ha le sue leggi.
Le nazioni muoiono. Ma lo spirito umano non muore mai. Eternamente
giovane, passa di una nazione in un'altra, e continua secondo le sue
leggi organiche la storia del genere umano. C'è dunque non solo la
storia di questa o quella nazione, ma la storia del mondo, anch'essa
fatale e logica, determinata nel suo corso dalle leggi organiche
dello spirito. La storia del genere umano non è che la storia dello
spirito o del pensiero. Di qui esce ciò che poi fu detto filosofia
della storia.
Di questa filosofia della storia e di un dritto delle genti non ci è
nel Machiavelli che la semplice base scientifica, un pulito di
partenza segnato con chiarezza e indicato a' suoi successori. Il suo
campo chiuso è la politica e la storia.
Questi concetti non sono nuovi. I concetti filosofici, come i
Poetici, suppongono una lunga elaborazione. Ci si vede qui dentro le
conseguenze naturali di quel grande movimento, sotto forme classiche
realista, ch'era in fondo l'emancipazione dell'uomo dagli elementi
soprannaturali e fantastici, e la conoscenza e il possesso di sé
stesso. E a' contemporanei non parvero nuovi, né audaci, veggendo
ivi formulato quello che in tutti era sentimento vago.
L'influenza del mondo pagano è visibile anche nel medio evo, anche
in Dante Roma è presente allo spirito. Ma lì è Roma provvidenziale e
imperiale, la Roma di Cesare, e qui è Roma repubblicana, e Cesare vi
è severamente giudicato. Dante chiama le gloriose imprese della
repubblica miracoli della provvidenza, come preparazione all'impero
: dove pel Machiavelli non ci sono miracoli, o i miracoli sono i
buoni ordini; e se alcuna parte dà alla fortuna, la dà
principalissima alla virtù. Di lui è questo motto profondo: « I
buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i
felici successi delle imprese ». Il classicismo adunque era la
semplice scorza, sotto alla quale le due età inviluppavano le loro
tendenze. Sotto al classicismo di Dante ci è il misticismo e il
ghibellinismo: la corteccia è classica, il nocciolo è medievale. E
sotto al classicismo del Machiavelli ci è lo spirito moderno che ivi
cerca e trova se stesso. Ammira Roma, quanto biasima i tempi suoi,
dove « non è cosa alcuna che gli ricomperi di ogni estrema miseria,
infamia e vituperio, e non vi è osservanza di religione, non di
leggi e non di milizia, ma sono macùlati di ogni ragione bruttura ».
Crede con gli ordini e i costumi di Roma antica di poter rifare
quella grandezza e ritemprare i suoi tempi, e in molte proposte e in
molte sentenze senti i vestigi di quell'antica sapienza. Da Roma gli
viene anche la nobiltà dell'ispirazione e una certa elevatezza
morale. Talora ti pare un romano avvolto nel pallio in quella sua
gravità, ma guardalo bene, e ci troverai il borghese del
Risorgimento, con quel suo risolino equivoco. Savonarola è una
reminiscenza del medio evo, profeta e apostolo a modo dantesco;
Machiavelli in quella sua veste romana è vero borghese moderno,
sceso dal piedistallo, uguale tra uguali, che ti parla alla buona e
alla naturale. E in lui lo spirito ironico del Risorgimento con
lineamenti molto precisi de' tempi moderni.
Il medio evo qui crolla in tutte le sue basi, religiosa, morale,
politica, intellettuale. E non è solo negazione vuota. È
affermazione, è il Verbo. Di contro a ciascuna negazione sorge
un'affermazione. Non è la caduta del mondo, è il suo rinnovamento.
Dirimpetto alla teocrazia sorge l'autonomia e l'indipendenza dello
stato. Tra l'impero e la città o il feudo, le due unità politiche
del medio evo, sorge un nuovo ente, la Nazione, alla quale il
Machiavelli assegna i suoi caratteri distintivi, la razza, la
lingua, la storia, i confini. Tra le repubbliche e i principati
spunta già una specie di governo medio o misto, che riunisca i
vantaggi delle une e degli altri, e assicuri a un tempo la libertà e
la stabilità, governo che è un presentimento de' nostri ordini
costituzionali, e di cui il Machiavelli dà i primi lineamenti nel
suo progetto per la riforma degli ordini politici in Firenze. È
tutto un nuovo mondo politico che appare. Si vegga, fra l'altro,
dove il Machiavelli tocca della formazione de' grandi stati, e
soprattutto della Francia.
Anche la base religiosa è mutata. Il Machiavelli vuole recisa dalla
religione ogni temporalità, e, come Dante, combatte la confusione
de' due reggimenti, e fa una descrizione de' principati
ecclesiastici, notabile per la profondità dell'ironia. La religione
ricondotta nella sua sfera spirituale è da lui considerata, non meno
che l'educazione e l'istruzione, come istrumento di grandezza
nazionale. È in fondo l'idea di una Chiesa nazionale, dipendente
dallo stato, e accomodata a' fini e agl'interessi della nazione.
Altra è pure là base morale. Il fine etico del medio evo è la
santificazione dell'anima, e il mezzo è la mortificazione della
carne. Il Machiavelli, se biasima la licenza de' costumi invalsa al
suo tempo, non è meno severo verso l'educazione ascetica. La sua dea
non è Rachele, ma è Lia, non' è la vita contemplativa, ma la vita
attiva. E perciò la virtù è per lui la vita attiva, vita di azione,
e in servigio della patria. I suoi santi sono più simili agli eroi
dell'antica Roma, che agl'iscritti nel calendario romano. O per dir
meglio, il nuovo tipo morale non è il santo, ma è il patriota.
E si rinnova pure la base intellettuale. Secondo il gergo di allora,
il Machiavelli non combatte la verità della fede, ma la lascia da
parte, non se ne occupa, e quando vi s'incontra, ne parla con
un'aria equivoca di rispetto. Risecata dal suo mondo ogni causa
soprannaturale e provvidenziale, vi mette a base l'immutabilità e
l'immortalità del pensiero o dello spirito umano, fattore della
storia. Questo è già tutta una rivoluzione. È il famoso cogito, nel
quale s'inizia la scienza moderna. È l'uomo emancipato dal mondo
soprannaturale e sopraumano, che, come lo stato, proclama la sua
autonomia e la sua indipendenza e prende possesso del mondo.
E si rinnova il metodo. Il Machiavelli non riconosce verità a
priori, e principi astratti, e non riconosce autorità di nessuno,
come criterio del vero. Di teologia e di filosofia e di etica fa
stima uguale, mondi di immaginazione, fuori della realtà. La verità
è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza
accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente de' fatti.
Tutto il formolario scolastico va giù. A quel vuoto meccanismo
fondato sulle combinazioni astratte dell'intelletto incardinate
nella pretesa esistenza degli universali sostituisce la forma
ordinaria del parlare diritta e naturale. Le proporzioni generali,
le « maggiori » del sillogismo, sono capovolte e compariscono in
ultimo come risultati di una esperienza illuminata dalla
riflessione. In luogo del sillogismo hai la « serie », cioè a dire
concatenazione dei fatti, che sono insieme causa ed effetto, come si
vede in questo esempio:
Avendo la città di Firenze perduta parte dell'imperio suo, fu
necessitata a fare guerra a coloro che la occupavano, e perché chi
l'occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella
guerra senza alcun frutto: dallo spendere assai ne risultava assai
gravezze, dalle gravezze infinite querele del popolo; e perché
questa guerra era amministrata da un magistrato di dieci cittadini,
l'universale cominciò a recarselo in dispetto, come quello che fosse
cagione e della guerra e delle spese di essa.
Qui i fatti sono schierati in modo che si appoggiano e si spiegano a
vicenda: sono una doppia serie, l'una complicata, che ti dà le cause
vere, visibile solo all'uomo intelligente; l'altra semplicissima,
che ti dà la causa apparente e superficiale, e che pure è quella che
trascina ad opere inconsulte l'universale, con una serietà ed una
sicurezza, che rende profondamente ironica la conclusione. I fatti
saltan fuori a quel modo stesso che si sviluppano nella natura e
nell'uomo, non vi senti alcuno artificio. Ma è un'apparenza. Essi
sono legati, subordinati, coordinati dalla riflessione, sì che
ciascuno ha il suo posto, ha il suo valore di causa e di effetto, ha
il suo ufficio in tutta la catena: il fatto non è solo fatto, o
accidente, ma è ragione, considerazione, sotto la narrazione si cela
l'argomentazione. Così l'autore ha potuto in poche pagine condensare
tutta la storia del medio evo e farne magnifico vestibulo alla sua
storia di Firenze. I suoi ragionamenti sono anch'essi fatti
intellettuali, e perciò l'autore si contenta di enunciare e non
dimostra. Sono fatti cavati dalla storia, dall'esperienza del mondo,
da un'acuta osservazione, e presentati con semplicità pari
all'energia. Molti di questi fatti intellettuali sono rimasti anche
oggi popolari nella bocca di tutti, com'è quel « ritirare le cose a'
loro principii », o quell'ironia de' « profeti disarmati », o « gli
uomini si stuccano del bene, e del male si affliggono », o « gli
uomini bisogna carezzarli o spegnerli ». Di queste sentenze o
pensieri ce ne sono raccolte. E sono un intero arsenale, dove hanno
attinto gli scrittori, vestiti delle sue spoglie.
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