CRITICA LETTERARIA: NICCOLO' MACHIAVELLI
  Il linguaggio del Principe

Autore: Luigi Russo  Opera: Machiavelli


La struttura del Principe ha una chiarezza architettonica, che non è sempre così perspicua nelle altre opere. Il capitolo primo è una premessa introduttiva, un po' magra in verità, ma dove gli enunciati e le distinzioni dei vari tipi di principato si disnodano, in forma libere e adulta, senza faticosi richiami a qualche idea d'ordine generale, come avveniva nei vecchi trattati di scienza medievale. Uno scrittore a tipo scolastico procede per dimostrazioni, che sono forme dissimulate del sillogismo, in cui, attraverso le idee medie, tutte le proposizioni sono richiamate e congiunte a una premessa universale...
Il Machiavelli, la trascendenza delle ragioni, in accordo con tutto il pensiero del rinascimento, è impetuosamente negata e naturalizzata, così che anche le premesse d'ordine universale sono come riassorbite e incorporate nel testo stesso delle singole enunciazioni; da ciò, la rapidità dilemmatica del suo periodare:

 

Tutti gli stati... sono o repubbliche o principati. E i principati sono: o ereditarii... o sono nuovi. E nuovi, o e' nuovi sono tutti... o e' sono membri aggiunti... Sono questi domini così acquistati, o consueti a vivere sotto uno principe, o usi ad essere liberi; e acquistonsi o con le armi d'altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.


È la sintassi adulta della scienza moderna, ovvia e familiare per noi, nuova e originale per il Machiavelli e gli altri scrittori, che iniziarono sul finire del Quattrocento e nei primi del Cinquecento questo tipo nuovo e liberale di prosa. Non più « clausule ampie », non più « parole ampullose e magnifiche », o « qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco, con li quali molti sogliono le loro cose descrivere e onorare », ma l'arte che nasce rapida dalle cose.
 

Perchè io ho voluto, o che veruna cosa la onori, o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata.


La sintassi machiavellica è già consapevole della sua libertà e individualità, e, a differenza della sintassi medievale, gerarchica e cattolica per eccellenza, va spedita per la sua via, alla maniera liberale, concatenando le enunciazioni per serie interna: sparisce il ragionamento a piramide degli scolastici, e si inaugura il ragionamento a catena, che sarà poi quello di Galileo e di tutta la prosa scientifica moderna. Iddio è disceso dai cieli, e anche l'arte ha scorciato le sue vie...

Ogni concetto astratto si veste in Machiavelli, di una forma sensibile, c la corpulenza di certe sue metafore e di certi suoi paragoni si accorda col carattere intimamente naturalistico del suo pensiero. In un pensatore idealista, le immagini, anche corpose, sono, più che sia possibile, spiritualizzate, perché non urtino bruscamente il tessuto metafisico del proprio pensiero; ma, in un mondo di pensiero quale quello dell'età del rinascimento, tutto maturato dalla vita esterna e sensibile, la idealizzazione delle immagini la si ottiene con un processo di più risoluta e popolare assimilazione alle stesse cose della natura. Così lo stato, che è concetto per eccellenza astratto è visto nella logica della sua formazione naturale, e istintivamente si lascerà tradurre nelle immaqni della vegetante natura (« li stati che vengono subito, come tutte le altre cose della natura che nascono e crescono presto, non possono avere le barbe e corrispondenzie loro; in modo che el primo tempo avverso le spegne »; e le troppo frequenti innovazioni costituzionali saranno deprecate, « perché sempre una mutazione lascia l'addentellato per la edificazione dell'altra », con il materiale richiamo ai risalti che si lasciano nei muri esterni delle fabbriche, per potervi collegare altre fabbriche) .
E la fortuna, che era una figura allegorica orinai convenzionale, riesce nella prosa del Machiavelli a nuova vita: essa è sempre natura animata, in ogni momento, e il suo dar favori si traduce in un « mettere in grembo », ed essa ora sarà assomigliata « a uno di questi fiumi rovinosi che, quando s'adirano, allagano e piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievano da questa parte terreno, pongono da quell'altra »; c ora apparirà donna, e, come donna, più amica dei giovani, « perché sono meno rispettivi, più feroci, e con più audacia la comandano ». « Ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla », chiosa lo scrittore, con quello stesso senso ghiotto, spregiudicato e scherzosamente antiuxorio che gli aveva ispirato la novella di Belfagor, e che riassumeva la comune persuasione, radicata fin dalla novellistica del Boccaccio e del Sacchetti, che la donna andava tenuta sotto e castigata, e più la batti e ti mostri uomo, e più ti vuol bene. Anche l'immagine del Centauro doveva, assai efficacemente, simboleggiare il concetto del rinascimento, che il mondo per una parte è dominio dell'uomo e per l'altra è dominio della natura, cosicché, anche nel più limitato campo della politica, conviene usare l'una e l'altra natura, la bestia e l'uomo, ché l'una senza l'altra non è durabile. E poiché l'immagine è di quelle che nascono in viva immediatezza di pensiero, ecco che il Machiavelli non vi insiste dentro, subito l'abbandona, e da essa gemina l'altra famosa metafora della golpe e del lione, del lione che non si difende dai lacci, e della golpe che non si difende da' lupi, e « bisogna adunque essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi »...

Bisogna proprio parlare di un tono e di una energia popolare, nella prosa del Machiavelli, la quale riesce ad essere, in ogni momento, un meraviglioso impasto di lingua e sintassi colta e di lingua e sintassi popolana. L'uomo che sa vestire la veste quotidiana, piena di fango e di loto, e sa poi rivestirsi condecentemente di panni reali e curiali, è simbolo dello scrittore, che è classico e popolare, dotto e istintivo, complesso e immediato al tempo stesso. Parlerà dell'invasione degli stranieri in Italia, di queste « illuvione esterne », con frase di stampo latino, e in cui si avverte una leggera reminiscenza del petrarchesco « oh diluvio, raccolto di che deserti strani », e, subito dopo, con plebea vigoria, uscirà a dire « a ognuno puzza questo barbaro dominio »; parlerà di uomini liberali e di uomini miseri, liberali e larghi donatori, miseri e gretti, liberali nel significato aulico, miseri nel significato paesano, e lo scrittore troverà il tempo di indugiarsi nella delizia di una distinzione linguistica: « usando uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo ». Ma, a ogni momento, la commistione tra elementi aulici ed elementi popolareschi è così piena e perfetta, nella prosa machiavellica, che riesce perfino difficile separare gli uni dagli altri, tanta è l'unità del sentimento che li produce; e talora è una determinazione verbale popolaresca, un torgnene, un ammazzorno, e tal'altra una inflessione sintattica della lingua parlata, che dà un suo tono, una sua particolare sfumatura, a un periodo tutto dotto e latino, e lo trasfigura. Se mai, potrebbero essere citati alcuni pochi esempi negativi, là dove il Machiavelli, discorrendo di Agatocle, di Nàbide o degli imperatori del basso Impero parafrasa scrittori antichi, Giustino o Erodiano o altri, e allora la sua fantasia non è molto commossa e la sua prosa viene latineggiando più del solito, perdendo quella particolare tempera popolana, che è la sua forza.
Per questo piglio popolaresco e parlato, si spiega anche quel tono di disputa animata che, spesso, qua e là, ha il Principe: cotesta non è una elucubrazione di uno studioso solitario, ma di un uomo che sente di fronte a sé allocutori ed obbiettanti, e tutti vuole persuadere e controribattere, come se il Machiavelli, pur indossando panni reali e curiali, non sapesse dimenticare del tutto la sua osteria e il suo tricchetrach, « dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose ».

 

E se alcuno dicesse: el re Luigi cedé ad Alessandro di Romagna ecc..., respondo, con le ragioni dette di sopra; ecc. ecc... E se alcuni altri allegassino la fede che il re aveva obligata al papa ecc. ecc... respondo con quello che per me di sotto si dirà circa la fede de' principi e come la si debba osservare.
... A Carlo re di Francia fu licito pigliare la Italia col gesso. E chi diceva come e' n'erano cagione e peccati nostri, diceva il vero; ma non erano già quelli che credeva ma questi che io ho narrati...



Da questo contenuto fervore polemico provengono le spezzature e irregolarità sintattiche, che sono la disperazione dei grammatici. Si potrebbe dire che il Machiavelli abbia una predilezione particolare per il soggetto d'affezione, anche se taciuto, più che per il soggetto grammaticale; nel suo libello-capolavoro, poi, il principe è sempre il protagonista della sua immaginazione, sicché mentalmente ci si riferisce a lui, anche quando manca l'evidenza e la regolarità dell'espressione grammaticale, ed esso governa non solo popoli, ma anche periodi complicatissimi, in cui, istintivamente, tutto ciò che riguarda la sua attività di soggetto affettivo, è ricacciato in proposizioni accidentali e parentetiche; cosicché il periodo, pur nella sua laboriosa complessità, ha un movimento rettilineo, dominato dall'alto con reticente imperiosità e concluso e serrato da un qualche rapido ed animoso verbo finale. E talvolta avvengono delle acrobazie pericolose, come in quel luogo, dove si discorre del buon Giovanni Fogliani e del perfido suo nipote, Oliverotto da Fermo, quando tutto a un tratto lo scrittore si dimentica del galantuomo per correre dietro alla canaglia, che è soggetto più espedito e più avvincente.

Non mancò, pertanto, Giovanni di alcuno offizio débito verso el nipote; e, fattolo ricevere da' Firmiani onoratamente, si alloggiò nelle case sue.


Dove il soggetto di quell'alloggiò non è più l'officioso Giovanni, ma il « diabolico » Oliverotto : « sintatticamente questo è un grave errore », commenta inorridito un interprete, ma la fantasia dello scrittore ha una sua grammatica particolare e leggi proprie, in cui gli uomini dabbene non hanno troppo posto e voce in capitolo e sono troppo deboli soggetti.

Insieme a questa epopea sintattica dell'individuo « virtuoso », un'altra epopea scorre nella prosa machiavellica: quella delle « cagioni » delle cose. Non più il dantesco « state contenti, umana gente, al quia », ma un impetuoso ed affollato desiderio di rendersi conto di tutto, e di spiegar tutto con ragioni di questa terra. « La cagione è in pronto », rincalza il Machiavelli, quando si lascia andare a qualche aforisma un po' scandaloso: egli non ama i paradossi; le sue verità vogliono essere verità piane ed obbiettive, a cui tutti debbono accedere, e, a ogni passo, c'è la chiosa con la sua ragione. E le « cagioni », verbalmente manifeste o sottintese, riempiono le pagine del nostro scrittore:
 

Noi abbiamo in Italia, in exemplis, il duca di Ferrara: il quale non ha retto alli assalti de' Viniziani nello '84, né a quelli di papa lulio nel 'io, per altre cagioni che per essere antiquato in quello dominio. Perché el principe naturale ha minori cagioni e minore necessità di offendere: donde conviene che sia più amato; e, se estraordinarii vizii non lo fanno odiare, è ragionevole che naturalmente sia ben voluto da' sua. E nella antiquità e continuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni delle innovazioni.


Un periodo, tra i mille, a caso, in cui, in breve giro, le cagioni si accampano a ogni passo: questo è il mondo della natura, il mondo delle cose, che hanno la cagione in altre cose, e però uomini ed avvenimenti e pensieri e sentimenti sono in rapporto perpetuo di cause. Noi moderni veniamo abbandonando questo rapporto di causalità, e le cause, nel loro valore naturale esterno e deterministico, spariscono per cedere alla logica interna che nasce e si sviluppa nell'intimo delle cose stesse e degli avvenimenti; ma, per il Machiavelli, felix qui potest rerum cognoscere causas! Egli esce e si oppone al mondo medievale, dove tutto ha una sola ragione, e trascendente e lontana nei cieli, che è Dio; ora c'è da conquistare tutto un Inondo terrestre, scoprire nuove terre e nuove acque. Da ciò la ressa, quasi allegra, delle « cagioni », nel suo periodare.

Come poi da uno scrittore, così impetuoso e istintivo di temperamento, nasca il fermo ed epigrammatico incisore di regole e massime, è il miracolo senza miracolo, dell'uomo di genio, che, dalla polemica più soggettiva, sa riuscire alla scienza più obbiettiva, per disciplina vigorosa dei suoi sentimenti. Ma è chiaro che in tanto la disciplina è vigorosa, in quanto i sentimenti essi stessi sono vigorosi, e disciplina e sentimento sono una cosa sola, ché là dove il sentimento è profondo ivi è disciplina, e solo le passioni della superficie rifuggono dall'ordine e dalla legge.


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Aggiornamenti letterari 2002 - Luigi De Bellis