Per la commedia del
Machiavelli, bisogna dire che il turpe, il sensuale, l'osceno si
alleggerisce per questa astuzia dell'intelligenza, che percorre la
vicenda da un atto all'altro. Il turpe negozio diventa a un certo
punto un 'ingegnosa beffa. Tutto il '400 e particolarmente il '500 è
ricco di una novellistica e di un teatro, ricco di motivi di beffa.
Tali motivi procedono dal Decamerone, ma non come materia astratta;
c'è invece un accordo storico più profondo di quei motivi
boccacceschi con la nuova civiltà umanistica e rinascimentale, che
ebbe il culto vivo e spregiudicato dell'intelligenza, della
scaltrezza, dell'ingegnosità, della furberia, dell'abilità. Il
Machiavelli è il pensatore in cui cotesta novella musa
dell'intelligenza, dell'abilità, dell'astuzia, canta il suo poema
più serio nel Principe e nei Discorsi; qui nella commedia, se ne ha
il canto minore, per una sola notte d'amore. Benvenuto Cellini sarà
l'ultimo artista di cotesta intelligenza « beffarda » e
spregiudicata. Con la controriforma, comincerà la musoneria
inventiva dei nostri novellatori e scrittori di teatro:
l'intelligenza per l'intelligenza, la beffa per la beffa, comincia
ad essere considerata ipocritamente un'empietà.
Ma non per questo cesserà l'ispirazione di tipo sensuale, anzi
questa si ingrosserà in senso più animalesco: dove manca il sorriso
giovanile della libera intelligenza, la carne si fa più pesante e
lorda. Sul finire del 9500 e per tutto il '600 si ha una letteratura
della sensualità senile, che, sotto un ipocrito moralismo, si sfoga
in maniera più bassa e più oscena. La sensualità del Boccaccio
saliva nelle sfere dell'intelligenza lucida e armoniosa; in questa
letteratura tardiva, si discende invece all'animalità giovanile,
estrosa, del Boccaccio, ma è pur la carnalità ancora dominata e
infrenata dalla mente, è la sensualità virile infusa di una matura
malizia, la quale lascia intravedere uno sfondo di amara tristezza.
Callimaco, che iperbolizza volontariamente o involontariamente la
sua impazienza d'amore, impersona questo tipo di avveduta e maturata
sensualità. Accanto a Callimaco, c'è un personaggio beffato, messer
Nicia, che dà l'aire allo spasso dell'intelligenza astuta e che
comunica una festevolezza chiassosa a tutto l'insieme.
Messer Nicia è una specie di Calandrino machiavellico, con qualcosa
di più scioccamente turpe che l'altro suo giovane precursore del
'300 non ha. Calandrino passa per le menti di tutti come il tipo
dello sciocco e del credulone, così come don Abbondio incarna ormai
nella fantasia il pauroso per eccellenza. Ma in entrambi i casi si
semplifica e si schematizza ciò che nell'arte è assai complesso. Don
Abbondio non è semplicemente il pauroso, ma è anche il ferreo
piccolo egoista, in cui sopravvivono le idealità morali della
religione ma tutte rattrappite e però deformate comicamente; e don
Abbondio è anche coraggioso, coraggioso quando c'è da difendere tale
suo piccolo egoismo, il suo pacifico sistema di vita. Orbene allo
stesso modo non è esatto dire che Calandrino sia solo uno sciocco,
un credulone; gli sciocchi non hanno storia, e basta una semplice
nota per colorirli nel mondo dell'arte. E Calandrino riempie di sé
ben quattro novelle, così come messer Nicia occupa a ogni momento la
scena della Mandragola, anche quando non è presente. Tanto che
alcuni critici hanno voluto vedere in lui perfino il protagonista
della commedia. Uno sciocco e un credulone non può interessare il
mondo della fantasia, senza ingenerare fastidio e sazietà. E qui si
parrà l'arte dello scrittore: complicare lo sciocco, o complicare lo
sciocco turpe...
Quello che il Boccaccio aveva fatto con giovanile leggerezza per
Calandrino, il Machiavelli lo ripete per messer Nicia, ma
aggravandone lo spirito, con una malizia amara, che in certi tratti
può apparire perfino polemica. Per Calandrino noi ridiamo, per
messer Nicia noi ridiamo e ci irritiamo. È un immondo babbeo! La
comicità del Machiavelli ha uno sfondo più etico che nel Boccaccio,
in cui l'estro della fantasia è più disinteressato e svagato; direi,
è ancora un gioco fanciullesco. Ma ecco qua messer Nicia, dottore,
un dottore che ha « cacato le curatelle per imparare due hac » come
dice lui stesso in un momento di sincerità, eccolo qua a giudicare e
sentenziare su tutto il mondo, su medici di Firenze e di Parigi,
quasi egli fosse un gran baccalare. Si è consultato con loro per i
bagni della moglie, quelli che possono essere più favorevoli alle
gravidanze:
Oltra di
questo io parlai iersera a parecchi medici. L'uno dice che io
vadia a San Filippo, l'altro alla Porretta, l'altro alla
Villa; e' mi parvono parecchi uccellacci, e, a dirti il vero,
questi dottori di medicina non sanno quello che si pescono. |
Messer Nicia non vorrebbe saperne di andare ai bagni, perché egli si
spicca «malvolentieri da bomba». E avere a travasare moglie, e tante
masserizie », questo non gli quadra; e Ligurio, vile abile
parassita, lo fa vergognare stuzzicando in lui la vanità del
giramondo. Non andate ai bagni, gli dice, perché « voi non siete uso
a perdere la cupola di vetta! ». E messer Nicia, togato nel vivo,
ribatte:
Tu erri!
Quando io ero più giovane, io sono stato molto randagio. E non
si fece mai la fiera a Prato, che io non vi andassi, e non ci
è castel veruno intorno, dove io non sia stato; e ti vo' dire
più là: io sono stato a Pisa e a Livorno, oh va! |
Ligurio fa l'ignorante che, ammirato, favoleggia di cose sentite ire
ma non vedute, sicché messer Nicia può farla bene da gran dottore.
«Voi dovete aver veduto la carrucola di Pisa », e messer Nicia
pettoto: « Tu mi vuoi dire la Verrucola ». « Voi avete visto il
mare? Quanto è egli maggiore che Arno? » ; e messer Nicia: « Che
Arno? Egli è per quattro volte, per di più di sei, per di più di
sette, mi farai dire: e non si vede se non acqua, acqua, acqua » .
Parrebbe questo il trionfo massimo della sua saputa esperienza di
mondo, ma a questo punto messer Nicia paga forte per tanta sua
puerile presunzione:
Ligurio. - Io mi meraviglio adunque, avendo voi pisciato in tanta
neve, che voi facciate tanta difficoltà d'andare al bagno.
Messer Nícia. - Tu hai la bocca piena di latte. E' ti pare a te una
favola, avere a sgominare tutta la casa? Pure io ho tanta voglia
d'avere figliuoli che io son per fare ogni cosa.
Da questo momento, nell'atto che canta vittoria, messer Nicia si
rende captivo al suo parassita.
Questa l'astuzia artistica del Machiavelli; ma se è facile rilevare
la presunzione sciocca del personaggio e la sua turpitudine melensi,
sfugge forse ai lettori un'altra sua parte. Il Machiavelli, con
molto accorgimento stilistico, ha prestato al personaggio un
linguaggio particolarissimo, il più idiotistico e il più proverbiale
fiorentino del tempo. Il linguaggio dialettale, il municipalismo
linguistico, può essere o raffinata civetteria estetica oppure è
segno di angustia e goffaggine spirituale; e i proverbi possono
testimoniare gravità religiosa, come i proverbi di padron 'Ntoni,
oppure sono segno di vacuo parassitismo mentale. Messer Nicia parla
per proverbi e per modi di dire affinati ormai da una tradizione:
sicché a ogni suo verbo, tu senti cantilenare il più bel fiorentino,
ma che risuona a vuoto. Vi avverti dentro qualcosa di fesso, di
trito, di ripetuto, di luogo comune che ti eccita per cotesta
sapienza facile e molle del parlatore. Per esempio. Egli dice: « Io
mi spicco malvolentieri da bomba », e bomba era il luogo
privilegiato di una partita di giuoco, molto in uso a Firenze, per
cui si diceva spiccarsi da bomba e ritornare a bomba. Diffidando
dell'improvvisa medicheria di Collimaco, egli ancora osserva: « Io
non vorrei che mi mettessi in qualche lecceto e poi mi lasciassi in
su le secche »; e poi, quanto alla sua scienza medica, aggiunge con
gravità: « Io ti dirò ben io come gli parlo, se egli è uomo di
dottrina, perchè egli a me non venderà vesciche ».
Ancora un altro proverbio, quando messer Nicia ammonisce Ligurio di
chiamare Callimaco col suo titolo di maestro, perché dottore in
medicina, e Ligurio risponde: « E' non si cura di simili baie! ». E
messer Nicia di rimando lo esorta a fare il suo dovere, anche se
Callimaco dovesse aversene a male: « Non dire così, fai il tuo
debito, e se l'ha per male, scingasi! ». Si cali pure le brache,
cioè, se se ne ha per male; tu non te ne dar pensiero. Ed è questo
assai antico proverbio, e piuttosto raro. E ci sarebbe da allinearne
ancora tutta una filza, come quel « Ho più fede in voi che gli
Ungheri nelle spade » e « Bisognava che io mi impeciassi gli orecchi
come el Danese », « E ora mi hanno qui posto, come un zugo, a piuolo
», e « noi entriamo in cetere », « Come disse la botta all'erpice »,
il quale ultimo proverbio provocò un lungo chiarimento del
Machiavelli al Guicciardini. Ciò che ci fa sospettare quale dovesse
essere lo spasso dei contemporanei per questo idiotismo linguistico
di messer Nicia, che faceva tutt'uno con la sua goffaggine mentale.
E non si dice nulla del suo gergo allusivo ai rapporti sessuali
della moglie con l'ignoto rubaldone, a cui doveva esser piaciuto «
l'tinto », se si era attardato in camera sino all'alba. Questa parte
svela quel giubilo di laida lussuria, che freme nelle carni del
vecchio, e a cui accennavamo più innanzi.
Ma la fantasia si ferma più volentieri sull'altro eloquio raffinato
e passivo, efficacemente popolaresco e tradizionalmente consacrato,
in cui ammiri la bravura del parlatore e al tempo stesso misuri
tutta la sua vacua sufficienza. Messer Nicia è come l'asino, di cui
parla Giordano Bruno, che portava il Santissimo e non lo sapeva.
Egli, a un certo punto, per effondere la sua ammirazione per la
dottrina medica di Callimaco, così si esprime con bestemmie da
becero, e con i modi del più elegante fiorentino parlato: « Oh, uh
potta di San Puccio ! Costui mi raffinisce tra le mani; guarda come
ragiona bene di queste cose! ». È il personaggio a cui il
Machiavelli presta l'eloquio più fiorito, più geniale del suo tempo.
Ecco qua questo bel quadro della vita striminzita di certa Firenze
piccola, che poi doveva diventare proverbiale nei secoli. Il nostro
scioccone parla di Callimaco che, per il suo gran talento di falso
medico, non può trovar piazza adatta se non Parigi:
E fa molto bene. In questa terra non ci è se non cacastecchi; non ci
si apprezza virtù alcuna. Se egli stessi qua, non ci sarebbe uomo
che lo guardasse in viso. Io ne so ragionare, che ho cacato le
curatelle per imparare due hac; e se io n'avessi a vivere, io starei
fresco, ti so dire! Chi non ha lo stato in questa terra, de' nostri
pari, non truova cane che gli abbai, e non siamo buoni ad altro che
andare a' mortori o alle ragunate d'un mogliazzo, o a starci tutto
dì in su la panca del Proconsolo a donzellarci.
Pare perfino una vendetta che messer Niccolò volesse fare di quella
piccola Firenze invidiosa e pettegola che si delineava già sotto la
signoria casalinga de' Medici, e che teneva al confino il grande
segretario, o lo mandava, per fargli voltolare pur qualche sasso, a
Carpi in un convento, alla ricerca di un buon predicatore che
insegnasse ai fiorentini la via del paradiso. Una vendetta
interlineare, ed eseguita (vedi malizia!) per la bocca del più
sciocco dei suoi personaggi.
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