Alessandro Manzoni fu tirato per le falde nel romanticismo; i
seguaci lo battezzarono romantico e forse egli stesso vi
credette; ma era uno di quegli ingegni stampati in Italia, la
cui natura, le cui facoltà di uomo e di artista ripugnavano al
corrotto romanticismo francese e tedesco.
Il Manzoni in Italia ha lasciato tre grandi cose che hanno
oltrepassato la sua personalità e costituito una scuola non
ancor morta. Egli che si presenta come negazione del
classicismo senza metter i piedi nel romanticismo - ha
cristianizzato il contenuto già esistente -, egli gli ha dato
una forma diretta e popolare dissipando l'atmosfera classica
ha disfatto quel processo ideale astratto e reso reale,
positivo. Ecco tre grandi lineamenti, ognuno dei quali
basterebbe a rendere immortale un uomo, e che, presi insieme,
costituiscono tutta una rivoluzione letteraria.
Non ha preso il cristianesimo che sorgeva allora come reazione
romantica, in opposizione al contenuto patriottico, ma come
suggello e consacrazione di quello. In una formula potrei dire
quel che costituisce lo spirito intrinseco delle creazioni
manzoniane: - Quel ch'è vero per diritto naturale, è vero
anche secondo Dio, secondo il Vangelo. - È il Vangelo che
consacra la democrazia, diventata democrazia cristiana; è il
Vangelo che consacra la libertà, diventata libertà cristiana;
le idee del secolo XVIII sono messe sotto il manto della
Madonna e di Dio. Il contenuto antico è battezzato, eppure
solo trasponendo i termini, dal diritto naturale passando ad
un diritto superiore, quel contenuto si ringagliardisce,
piglia nuove forme, nuovi colori, e nuovi motivi e tendenze, e
nuove corde; e tra queste corde la più possente è quella che
si avvicina al femminile, alla soavità, alla dolcezza;
l'umiltà, la carità, la preghiera, l'invocazione di Dio, la
rassegnazione.
Ecco il movimento operato nel contenuto dal Manzoni: più
grande è il movimento nella forma.
Manzoni ha combattuto a morte quell'atmosfera classica; egli
vince i suoi avversari anche nel campo della critica,
quantunque quella benedetta forma ancora risuoni nelle
Accademie e nelle scuole. Egli vi ha sostituito un forma
diretta e popolare. Diretta, perché non è fatta secondo
preconcetti, a priori, nasce dal seno stesso del suo
contenuto. Popolare, perché non l'ha cercata in questo o quel
circolo o accademia; ma nel popolo e l'ha resa accessibile a
tutte le classi.
Ha trasformato lo stesso processo di formazione, che,
maneggiato da lui, non è più un ideale astratto e preconcetto
su cui si concentri tutta la luce a discapito della vita, ma è
la stessa vita, l'ideale calato nella realtà.
Non ricorderò i tentennamenti, i contrasti, i tentativi di
Manzoni per realizzare se stesso. Da quelle dispute, da quelle
forme in cui a volta a volta s'è espresso, che si stacca? Tre
cose: un contenuto ringiovanito, abbiamo detto, una forma
popolare diretta, un processo storico e positivo sostituito da
un processo ideale astratto, tre cose che rimangono caratteri
di una scuola.
Aggiungete la sua possente personalità. In Manzoni avete tre
uomini il critico, lo storico, l'artista.
Il critico, novatore che ripudia le regole volgari e nondimeno
non trascende nel puro fantastico, nella licenza
dell'immaginazione; portato da un'intima misura, getta via
regole e ne crea altre, crea catene in cui si agita l'artista
e che non esistono. Sono i dubbi e i tentativi d'uno spirito
che in quella confusione di romanticismo e di classicismo
cerca una via sua. C'è del falso in quella critica, ma la dote
di colui che ha vero ingegno, è che quando vero e falso son
prodotto del suo cervello, l'uno e l'altro diventano stimoli e
aiuti alla sua produzione. Così avvenne a Dante, a Tasso, così
è avvenuto a Manzoni.
Quei giudizi, quelle opinioni, non interamente vere, ma venuti
dal suo cervello, lo seguono, lo investono, non lo lasciano
acquetare in una forma, lo spingono da una in un'altra finché
non si sente realizzato ed esaurito.
La storia interna di Manzoni è la storia di questo contrasto
tra il vero e il falso, dagli inni alla tragedia, dalla
tragedia al romanzo.
È in lui lo storico: storico d'opposizione, perché in quel
momento di reazione generale non poteva accettare storie
italiane dettate con preconcetti, quantunque in favore della
libertà e del patriottismo. Gli pareva questo un falsificare
la storia, mentre lo storico deve, senza giudizi anticipati,
seguire il cammino de' fatti. Benché la tendenza reazionaria
traluca nelle linee di quegli scritti, e ci si veda ancora il
desiderio di dare una smentita agli storici anteriori, dal
Machiavelli al Sismondi; pure vi si trova la tendenza ad una
grande imparzialità, per cui se dà torto al re longobardo, non
dà ragione a Carlomagno.
C'è l'artista. Dico a disegno artista e non poeta. L'anno
scorso ebbi tra le tante la lettera di un tale che mi chiedeva
conto di questa differenza. Ed è differenza non solo
letteraria, essendo artista il genere e poeta la specie; ma
più profonda. Il poeta stesso quando scrive è più poeta che
artista o più artista che poeta. L'artista non è posseduto
tutto intero dal contenuto che vuol rappresentare, il
contenuto non investe tutta la sua intelligenza, tutto il suo
cuore, non gli toglie il possesso di sé. Gli rimane la forza
di poter guardare a distanza il contenuto, come fa il pittore
del suo modello; non è tanto intelligenza o sentimento, quanto
calore d'immaginazione in quel momento. Il poeta invece è
tutto investito dal suo contenuto, non si calma con
l'immaginazione, non ha un mero calore di frasi, di fantasia;
ha in sé una forza che lo spinge all'azione, a propugnare tra
gli altri quel che sente in sé: e spesso questo soverchiante
contenuto impedisce al poeta di essere artista. Ecco perché
dissi Dante più poeta che artista, Petrarca più artista che
poeta, ed aggiungo che Manzoni è artista più che poeta. Tutto
quel suo mondo religioso, morale, patriottico, non è possente
abbastanza da tirarlo nell'azione; ma è possente abbastanza
per riscaldare la sua immaginazione e far nascere il bisogno
di estrinsecare al di fuori quel che sente in sé, e insieme la
forza di tener lontano il contenuto, contemplarlo, restargli
tranquillo dinanzi. Ciò rende men forte il poeta, ma
fortissimo l'artista che, padrone del contenuto, lo volge a
suo talento.
Ne nasce una grande potenza d'analisi. L'uomo investito tutto
dal suo contenuto, non ha la quiete necessaria per
analizzarlo, è sintetico un'immagine e passa innanzi.
L'analisi si sviluppa se l'uomo è tranquillo abbastanza per
mettersi innanzi il suo contenuto, guardarlo, studiarlo. I
fatti meno importanti, le più fuggevoli apparenze sono
analizzate da Manzoni in guisa che ne cava un vero processo
psicologico; in mezzo alla più grande elevazione del suo
contenuto, si arresta ad un tratto per quello spirito
d'analisi, e abbandonando la tessitura, i personaggi, il
movimento delle passioni, si mette a contemplarlo, a fare un
processo psicologico.
E ancora quella quiete beata che i tedeschi chiamano olimpica
e attribuiscono a Goethe, che gli dà la misura e la
temperanza, lo tiene al di sopra del contenuto e gli fa
trovare nella rappresentazione il "fin qui basta", quella
gradazione di tinte che rappresenta la stessa misura, si che
non vi spinge alle lagrime, non produce commozione profonda.
Questa quiete è spinta spesso fino ad una leggera tinta
ironica, pare quasi senta che quello è un fantoccio della sua
immaginazione, vi si spassa, rivelando poca potenza del
contenuto nel suo cuore, ma grande nell'immaginazione. |