Per il Manzoni uno dei caratteri principali del romanticismo è
il rinnovato amore per gli studi storici, il cresciuto
rispetto per la verità nell'arte ispirata alla storia; tanto
che nella lettura allo Chauvet egli chiama senz'altro «sistema
storico» il sistema romantico.
Questo è anche uno dei caratteri principali dell'intera opera
del Manzoni: la sua arte trae molte ispirazioni dalla storia;
la sua critica letteraria è notevolmente preoccupata delle
relazioni fra la poesia e la storia; parecchie sue opere, fra
cui una magistrale, trattano questioni esclusivamente
storiche. Fra i rinnovatori contemporanei della storia, il
Manzoni fu, non solo uno dei più dotti, ma anche il più
profondo. Il «Discorso sopra alcuni punti della storia
longobardica in Italia», derivato dagli studi per la
composizione dell'«Adelchi», non ha l'uguale fra le opere del
tempo, per la sobria e soda ricchezza di cultura, l'equilibrio
costruttivo, il rigore del metodo e della riflessione, il
vigile amore della verità, la vasta concezione della storia,
la severità artistica nella rappresentazione della realtà.
Questo lavoro ha una grande portata nel progresso degli studi
italiani sul medio evo, poiché mira a rinnovare i criteri con
cui s'era fin allora ricostruita la storia di quel tempo. Si
fonda sul materiale che il Muratori aveva dissepolto per la
ricostruzione di quel periodo, e lo interpreta con un acume
che ricollega il Manzoni col Vico. Due storici, il Vico e il
Muratori, che il nostro autore concilia nell'opera sua,
completando l'uno con l'altro e cercando così di attuare il
suo ideale di storia perfetta.
La derivazione del Manzoni da quei due grandi è in certo modo
riconosciuta da lui stesso in una digressione su entrambi,
notevole specialmente per quel che si riferisce al Vico,
giudicato con una sintesi ponderata e precisa, con un
equilibrio prudentissimo di censure e di lodi.
L'età dell'«Adelchi» è descritta dal poeta molto diversamente
dalle più famose storie: il Manzoni col suo discorso vuol
mostrare che in esse quel tempo è rappresentato sotto una luce
falsa, che alcuni problemi importanti o non sono stati posti o
sono stati mal risolti. La questione più grave si riferisce
alle relazioni fra Longobardi e Italiani; il Manzoni la
imposta fin dal principio con molta sicurezza, considerandola,
con una veduta grandiosa, come un caso speciale, del vasto
problema che egli propone: - In che condizioni si trovasse, in
tutt'Europa, il popolo vinto di fronte al vincitore -, e
notando la singolarità del silenzio dei cronisti a questo
proposito. Combatte con ragioni teoriche e con esempi storici
i motivi a cui si appoggia l'opinione comune, che gli Italiani
e i Longobardi fossero fusi già prima della discesa di Carlo;
trova anzi in quegli stessi motivi elementi per sostenere la
propria tesi. L'opinione corrente fu sempre espressa in un
modo indeterminato, e non c'è maniera ragionevole per
determinarla; è una di quelle affermazioni che si ripetono
solo perché molta parte delle nostre cognizioni si accetta per
inerzia e la nostra cultura è, fatalmente, intessuta di errori
che si tramandano a lungo, per incapacità e impossibilità di
farne continuamente una revisione. Gli spiriti alacri che
tentano qualcuna di queste revisioni parziali, sono molto
rari: il Manzoni ebbe fra le qualità del suo ingegno un
instancabile bisogno di riesaminare i problemi per conto
proprio.
Insistendo sulla questione, egli mostra la gravità dell'errore
comune, il quale travisa un'intera età della storia, sopprime
ricerche fondamentali, semplifica ciecamente quello che è
invece complesso e istruttivo, «chiude ogni strada, e a
conoscere, e anche a cercare quali fossero le vere relazioni
tra i due popoli» e come queste vere relazioni si venissero
trasformando, impedisce di vedere i legami fra questa ed altre
epoche della storia.
Le riflessioni che l'autore fa a proposito delle conseguenze
rovinose di quel dirizzone, costituiscono la parte più feconda
del discorso, fanno intravedere nella storia del medio evo
orizzonti nuovi, per scoprire i quali non era bastata la
diligenza del Muratori, mirabile ma imperfetta e non aiutata
dalla profondità della mente.
Al Manzoni lo studio dei rapporti fra i due popoli sembra
capitale, non solo per sé ma anche per il godimento
intellettuale che può dare a «chi nella storia vuol vedere in
quante maniere diverse la natura umana si pieghi e s'adatti
alla società»...
Penosa speculazione che fa riscontro al passo dove il Manzoni,
constatato che la storia degli Italiani al tempo dei
Longobardi non si conosce, e ammesso che le ricerche in
proposito possono riuscire sterili, trae anche da quest'ignoranza
irrimediabile un motivo di austera meditazione: Se si dovesse
concludere che non si può conoscere lo stato degli Italiani in
quel tempo, «questa sola dimostrazione sarebbe una delle più
gravi e delle più feconde di pensiero che possa offrire la
storia. Un'immensa moltitudine di uomini, una serie di
generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra,
inosservata, senza lasciarci traccia, è un tristo ma
importante fenomeno; e le cagioni d'un tal silenzio possono
riuscire ancor più istruttive che molte scoperte di fatto».
C'è l'epica tristezza del coro «Dagli atri muscosi». Segnalo
questo capitolo. secondo del discorso come una delle maggiori
prove della nostra scienza e della nostra arte storica...
Un'altra conseguenza, meno diretta, della tesi combattuta dal
Manzoni in tutto il suo discorso, forma il soggetto del
capitolo seguente, dov'egli sostiene che la supposizione che i
Longobardi non trattassero gli Italiani come un popolo
soggiogato, distinto da loro, fece credere che nella caduta
dei Longobardi Desiderio avesse ragione e Adriano torto. Dalla
tesi del Manzoni invece deriva naturalmente la conseguenza
antimachiavellica, largamente combattuta dagli storici
ghibellini, che i pontefici, a parte ogni loro ambizione
personale, erano gli unici difensori degli Italiani, di cui
rappresentavano i voti e i diritti: perciò la chiamata dei
Franchi era, nell'intenzione dei papi, un mezzo per aiutar gli
Italiani contro i Longobardi. Generosa illusione, come
dimostra splendidamente il Manzoni nel coro tragico:
l'energico re dei Franchi, facile vincitore, perché la libertà
dei duchi toglieva unità al dominio longobardo, fece pesare
anche lui la sua mano di padrone sopra il volgo disperso.
Specialmente in queste ultime pagine si vede che una delle
qualità del Manzoni storico è quella che si nota così spesso
nel Manzoni critico letterario e poeta: l'acutezza
psicologica. Egli scruta con meditata precisione il carattere
d'un popolo, e conferisce così alla storia quella potenza
drammatica e quella ricchezza spirituale che è tanto difficile
trovare in opere di questo genere.
L'altra qualità maggiore del Manzoni storico, strettamente
collegata con questa e caratteristica di tutte le
manifestazioni del suo pensiero, è l'amore della verità
concreta e colorita. Pregio che non si potrebbe meglio
determinare che con le stesse parole usate dal Manzoni per
censurar l'imprecisione del Giannone e del Muratori: «Tale non
è lo stile della persuasione che viene dopo una curiosità
sincera, dopo un dubbio ponderatore, dopo un esame accurato.
Questo fa trovar nelle cose un carattere particolare che
s'imprime naturalmente nelle parole: la verità storica non va
a collocarsi in quelle generalità tanto meno significanti
quanto più ampie, che sono così spesso il mezzo di
comunicazione tra il poco bisogno di spiegarsi, e il poco
bisogno d'intendere».
Sembra che il Manzoni definisca la sua storia concreta,
meditata e commossa. |