CRITICA: ALESSANDRO MANZONI

 IL MANZONI E LA STORIA

 AUTORE: Attilio Momigliano         TRATTO DA: Alessandro Manzoni

 

Per il Manzoni uno dei caratteri principali del romanticismo è il rinnovato amore per gli studi storici, il cresciuto rispetto per la verità nell'arte ispirata alla storia; tanto che nella lettura allo Chauvet egli chiama senz'altro «sistema storico» il sistema romantico.
Questo è anche uno dei caratteri principali dell'intera opera del Manzoni: la sua arte trae molte ispirazioni dalla storia; la sua critica letteraria è notevolmente preoccupata delle relazioni fra la poesia e la storia; parecchie sue opere, fra cui una magistrale, trattano questioni esclusivamente storiche. Fra i rinnovatori contemporanei della storia, il Manzoni fu, non solo uno dei più dotti, ma anche il più profondo. Il «Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia», derivato dagli studi per la composizione dell'«Adelchi», non ha l'uguale fra le opere del tempo, per la sobria e soda ricchezza di cultura, l'equilibrio costruttivo, il rigore del metodo e della riflessione, il vigile amore della verità, la vasta concezione della storia, la severità artistica nella rappresentazione della realtà.

Questo lavoro ha una grande portata nel progresso degli studi italiani sul medio evo, poiché mira a rinnovare i criteri con cui s'era fin allora ricostruita la storia di quel tempo. Si fonda sul materiale che il Muratori aveva dissepolto per la ricostruzione di quel periodo, e lo interpreta con un acume che ricollega il Manzoni col Vico. Due storici, il Vico e il Muratori, che il nostro autore concilia nell'opera sua, completando l'uno con l'altro e cercando così di attuare il suo ideale di storia perfetta.
La derivazione del Manzoni da quei due grandi è in certo modo riconosciuta da lui stesso in una digressione su entrambi, notevole specialmente per quel che si riferisce al Vico, giudicato con una sintesi ponderata e precisa, con un equilibrio prudentissimo di censure e di lodi.

L'età dell'«Adelchi» è descritta dal poeta molto diversamente dalle più famose storie: il Manzoni col suo discorso vuol mostrare che in esse quel tempo è rappresentato sotto una luce falsa, che alcuni problemi importanti o non sono stati posti o sono stati mal risolti. La questione più grave si riferisce alle relazioni fra Longobardi e Italiani; il Manzoni la imposta fin dal principio con molta sicurezza, considerandola, con una veduta grandiosa, come un caso speciale, del vasto problema che egli propone: - In che condizioni si trovasse, in tutt'Europa, il popolo vinto di fronte al vincitore -, e notando la singolarità del silenzio dei cronisti a questo proposito. Combatte con ragioni teoriche e con esempi storici i motivi a cui si appoggia l'opinione comune, che gli Italiani e i Longobardi fossero fusi già prima della discesa di Carlo; trova anzi in quegli stessi motivi elementi per sostenere la propria tesi. L'opinione corrente fu sempre espressa in un modo indeterminato, e non c'è maniera ragionevole per determinarla; è una di quelle affermazioni che si ripetono solo perché molta parte delle nostre cognizioni si accetta per inerzia e la nostra cultura è, fatalmente, intessuta di errori che si tramandano a lungo, per incapacità e impossibilità di farne continuamente una revisione. Gli spiriti alacri che tentano qualcuna di queste revisioni parziali, sono molto rari: il Manzoni ebbe fra le qualità del suo ingegno un instancabile bisogno di riesaminare i problemi per conto proprio.
Insistendo sulla questione, egli mostra la gravità dell'errore comune, il quale travisa un'intera età della storia, sopprime ricerche fondamentali, semplifica ciecamente quello che è invece complesso e istruttivo, «chiude ogni strada, e a conoscere, e anche a cercare quali fossero le vere relazioni tra i due popoli» e come queste vere relazioni si venissero trasformando, impedisce di vedere i legami fra questa ed altre epoche della storia.
Le riflessioni che l'autore fa a proposito delle conseguenze rovinose di quel dirizzone, costituiscono la parte più feconda del discorso, fanno intravedere nella storia del medio evo orizzonti nuovi, per scoprire i quali non era bastata la diligenza del Muratori, mirabile ma imperfetta e non aiutata dalla profondità della mente.
Al Manzoni lo studio dei rapporti fra i due popoli sembra capitale, non solo per sé ma anche per il godimento intellettuale che può dare a «chi nella storia vuol vedere in quante maniere diverse la natura umana si pieghi e s'adatti alla società»...

Penosa speculazione che fa riscontro al passo dove il Manzoni, constatato che la storia degli Italiani al tempo dei Longobardi non si conosce, e ammesso che le ricerche in proposito possono riuscire sterili, trae anche da quest'ignoranza irrimediabile un motivo di austera meditazione: Se si dovesse concludere che non si può conoscere lo stato degli Italiani in quel tempo, «questa sola dimostrazione sarebbe una delle più gravi e delle più feconde di pensiero che possa offrire la storia. Un'immensa moltitudine di uomini, una serie di generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra, inosservata, senza lasciarci traccia, è un tristo ma importante fenomeno; e le cagioni d'un tal silenzio possono riuscire ancor più istruttive che molte scoperte di fatto». C'è l'epica tristezza del coro «Dagli atri muscosi». Segnalo questo capitolo. secondo del discorso come una delle maggiori prove della nostra scienza e della nostra arte storica...
Un'altra conseguenza, meno diretta, della tesi combattuta dal Manzoni in tutto il suo discorso, forma il soggetto del capitolo seguente, dov'egli sostiene che la supposizione che i Longobardi non trattassero gli Italiani come un popolo soggiogato, distinto da loro, fece credere che nella caduta dei Longobardi Desiderio avesse ragione e Adriano torto. Dalla tesi del Manzoni invece deriva naturalmente la conseguenza antimachiavellica, largamente combattuta dagli storici ghibellini, che i pontefici, a parte ogni loro ambizione personale, erano gli unici difensori degli Italiani, di cui rappresentavano i voti e i diritti: perciò la chiamata dei Franchi era, nell'intenzione dei papi, un mezzo per aiutar gli Italiani contro i Longobardi. Generosa illusione, come dimostra splendidamente il Manzoni nel coro tragico: l'energico re dei Franchi, facile vincitore, perché la libertà dei duchi toglieva unità al dominio longobardo, fece pesare anche lui la sua mano di padrone sopra il volgo disperso.
Specialmente in queste ultime pagine si vede che una delle qualità del Manzoni storico è quella che si nota così spesso nel Manzoni critico letterario e poeta: l'acutezza psicologica. Egli scruta con meditata precisione il carattere d'un popolo, e conferisce così alla storia quella potenza drammatica e quella ricchezza spirituale che è tanto difficile trovare in opere di questo genere.

L'altra qualità maggiore del Manzoni storico, strettamente collegata con questa e caratteristica di tutte le manifestazioni del suo pensiero, è l'amore della verità concreta e colorita. Pregio che non si potrebbe meglio determinare che con le stesse parole usate dal Manzoni per censurar l'imprecisione del Giannone e del Muratori: «Tale non è lo stile della persuasione che viene dopo una curiosità sincera, dopo un dubbio ponderatore, dopo un esame accurato. Questo fa trovar nelle cose un carattere particolare che s'imprime naturalmente nelle parole: la verità storica non va a collocarsi in quelle generalità tanto meno significanti quanto più ampie, che sono così spesso il mezzo di comunicazione tra il poco bisogno di spiegarsi, e il poco bisogno d'intendere».
Sembra che il Manzoni definisca la sua storia concreta, meditata e commossa.

 

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