I due elementi della poesia del Manzoni - l'umano e il divino
-, benché nei suoi capolavori siano perfettamente accordati,
tuttavia occupano due posti ben diversi. In apparenza l'umano
predomina: perciò si può anche sbagliare il Cinque Maggio per
una poesia politica: la realtà storica o inventata fornisce al
Manzoni la maggior parte delle sue figurazioni concrete,
occupa quantitativamente il maggior posto; dove non è così,
dove il divino soverchia non solo in realtà ma anche in
apparenza, l'arte è inferiore: si vedano i quattro inni sacri
minori.
Ma in fondo, nei capolavori religiosi del Manzoni non
predomina né l'umano né il divino, poiché il secondo che
fornisce minor copia di materia fantastica, sta però dietro il
primo a illuminarlo, e lo solleva.
Tuttavia l'elemento umano generando la maggior parte delle
figurazioni concrete, offre più abbondante argomento
all'indagine: anzi la precisione ora sintetica ora analitica
colla quale il Manzoni seppe raffigurar la realtà, fu la causa
per cui critici tepidi o irreligiosi e consciamente o
inconsciamente settari, disprezzando lo spirito cristiano del
poeta, concentrarono la loro attenzione e la loro ammirazione
sul realismo del Manzoni, e contribuirono perciò, con dannosa
e grande efficacia, a far sì che anche ora volgarmente
l'intera sua opera, e in ispecie i Promessi Sposi, sia
ritenuta soprattutto come una rappresentazione ora piacevole e
nitida, ora potente e profonda della realtà quotidiana e
comune o della realtà storica: mentre il valore del Manzoni è
molto più alto.
Egli non è però un mistico: lo dimostra la precisa
determinatezza dei personaggi e della materia umana in cui
infonde il suo spirito religioso. I personaggi delle sue
creazioni religiose hanno una salda individualità umana: sono,
nel complesso, trasfigurati dalla sua fede, ma serbano
tuttavia il sentimento terreno in tutta la sua potenza;
fondono in sé l'anima propria e quella del Manzoni: si sente
che un altro poeta li avrebbe visti diversamente, ma non si
può negare che non una linea della loro storia è stata
falsata. È quel che avviene anche nei Promessi Sposi, dove
l'anima del Manzoni, una e molteplice, infonde in tanti
personaggi la propria religiosità ma serba a tutti le loro
caratteristiche individuali e storiche: il Manzoni era non
meno amante della verità che della religione; e queste due
tendenze si vedono fuse nelle sue creazioni. L'Innominato
visse veramente come il romanzo narra, e si convertì; il
cardinale fu veramente nel suo tempo travagliato quel santo
che il Manzoni dipinse; tutto quel periodo di storia lombarda
si svolse veramente come i Promessi Sposi descrivono: eppure
dentro una così precisa fedeltà storica palpita l'anima
originale del poeta che l'ha ritratta. Napoleone non fu
rappresentato da nessuno con la potente penetrazione storica
del Manzoni; Ermengarda vive nella corte di Carlo e nel
chiostro, e muore accomunata dal destino con gli Italiani
dominati da suo padre, come dovette veramente vivere e morire:
eppure Napoleone ed Ermengarda sono due personaggi così
manzoniani, che non sfugge a nessuno la somiglianza profonda
che lega la loro sorte terrena e oltremondana. La Pentecoste è
tutta avvolta da una gran fiamma religiosa; ma dentro questa
brilla, nitida e potente, la fiamma dei sentimenti umani: e
forse le brevi ma incisive figurazioni terrene penetrano nella
mente di molti lettori più profonde che l'ardente soffio
animatore dell'inno. Il valore della Pentecoste, come del
Cinque Maggio, dell'Ermengarda, dei Promessi Sposi, è invece
soprattutto nell'ispirazione religiosa ma senza quella materia
umana l'inno rimarrebbe un po' astratto e sarebbe meno
ardente. Al contatto della terra la religione del Manzoni si
rávviva e prende forma: e questo è il punto più originale del
regno della sua fantasia.
Il Manzoni era un grande creatore di caratteri e un gran
descrittore di folle: lo si vede nei Promessi Sposi come nel
Cinque Maggio, nell'Ermengarda, nella Battaglia di Maclodio e
nel coro Dagli atrii muscosi. Poche strofe riassumono la vita
e l'anima di Napoleone e di Ermengarda. Pochi lampi rivelatori
dipingono il Bonaparte padrone del destino, trepidamente
assorto ne' suoi superbi disegni di gloria, fremente
nell'attesa del dominio, ruinante per l'Europa atterrita,
sicuro e fulmineo, vinto, risorto, abbattuto, travolto dalle
memorie, tratto a riva dalla mano pietosa di Dio: trionfatore,
due secoli gli fanno da sfondo e lo innalzano come una statua
gigantesca; vinto, l'immensità del silenzio e dell'oceano
concentrano su di lui con più grave commozione la nostra
riverenza religiosa e stupita. I due secoli sono accennati in
sei versi, il silenzio e la solitudine in poche parole: ma
bastano a trasfigurar Napoleone, a conferire alla sua anima
una grandezza vaga e a dare alla sua tragedia un significato
universale.
Alcune celle maggiori creazioni di questo poeta, forse le
maggiori, sono formate di grandi linee, precise e non minute,
sono ad un tempo ben individuate e suggestive. Napoleone,
Ermengarda, l'Innominato. Le due vite della ripudiata sposa di
Carlo, quella del chiostro e quella della corte, ci stanno
dinanzi nette e contrastanti, e la pompa e il gaudio dell'una
accrescono lo squallore e l'angoscia dell'altra, e tutt'e due
dipingono mirabilmente la donna soave affascinata dall'uomo
forte. Eppure non ci sono le minuzie psicologiche e
descrittive di parecchi tratti dei Promessi Sposi: pochi
particolari, i più rilevati, bastano a far immaginare il
resto; è come una catena di monti di cui non si vedono che le
vette scintillanti nel cielo: l'ombra delle valli, i burroni,
i boschi, le rupi, i sentieri scoscesi e tortuosi
s'indovinano. Il procedimento è anche più evidente nel Cinque
Maggio:
Oh quante volte, al tacito
Morir d'un giorno inerte...: |
e noi vediamo l'isola sperduta nell'oceano, sentiamo -
accresciuta dalla presenza di quell'uomo pensoso - la
malinconia solita d'ogni tramonto, e soprattutto sentiamo nel
silenzio delle cose la silenziosa anima abbattuta di
Napoleone. La pittura che segue, dell'atteggiamento del
Bonaparte, e la rievocazione dei suoi ricordi, sono già in
potenza in quel «tacito morir d'un giorno inerte», come il
dolore profondo e rassegnato di Lucia è già nella grave e
accorata descrizione del lago e dei monti rischiarati dalla
luna.
Nelle liriche non c'è un vero esame psicologico: l'anima dei
personaggi balza fuori dalla vita accennata nei suoi punti
significativi, dall'ambiente storico, anche da un fatto
materiale o da un oggetto. Le «insonni tenebre», i «claustri
solitari», il «canto delle vergini» , i «supplicati altari»,
sono una descrizione d'ambiente, di fatti e di oggetti
materiali: ma dentro vi dolora muta ed assorta l'anima
d'Ermengarda. I ricordi della vita presso Carlo, in apparenza
sono quasi soltanto una descrizione: ma ogni verso è gonfiato
dal gaudio della donna amata da un uomo forte e potente. La
vita di Napoleone è rievocata nelle sue più note vicende
esteriori e nell'impressione che l'Europa ne ricevette: i
sentimenti scaturiscono da questa balenante sintesi storica, e
il Manzoni vi si ferma appositamente solo in quattro rapidi
versi:
La procellosa e trepida
Gioia d'un gran disegno,
L'ansia d'un cor che indocile
Serve, pensando al regno. |
La seconda metà dell'ode - Napoleone relegato - è più
direttamente psicologica; ma la parte fantastica vi soverchia
sempre. Nel coro Dagli atrii muscosi questa concretezza è
anche più evidente: l'argomento è la descrizione della
battaglia tra i Longobardi e i Franchi, dell'atteggiamento
degli Italiani e delle marce dei Franchi per discendere in
Italia; ma nella rappresentazione così precisa e così
suggestiva dei luoghi e degli atti si avvertono le segrete
fonti ravvivatrici : la misera storia dell'anima italiana, la
ferocia longobarda, la crudele avidità conquistatrice dei
Franchi, il ricordo dei dolori sopportati fortemente da questi
con la speranza d'un gran premio. La battaglia di Maclodio è
più fredda, più diluita ed anche per questo inferiore ad altre
liriche del Manzoni: ma pure in essa, come nell'ode Marzo
1821, si potrebbe notar qualche punto che dimostra questa
singolare attitudine a ritrarre l'anima d'un individuo o d'una
folla sotto le apparenze d'una breve descrizione oggettiva.
Spesso questi sono tra i passi migliori delle liriche
manzoniane.
Tale pregio è la più grande prova della potenza fantastica del
Manzoni. Gl'importa l'anima, e ritrae i volti, i gesti, i
fatti, i luoghi: quella penetra per mezzo delle immagini
materiali nella mente del lettore e vi resta incancellabile.
Spesso, più che rappresentare i sentimenti, segna gli atti che
li suggeriscono infallibilmente. Ma quando si ferma di
proposito sui sentimenti, è denso, lucido, tragico:
Ratto così dal tenue
Obblìo torna immortale
L'amor sopito, e l'anima
Impaurita assale. |
Sono di quei versi che in certi stati d'animosi riaffacciano
alla mente, e li fanno più profondi: e allora si sente il
valore di quelle parole. Ma questi casi nel Manzoni sono
rarissimi: il poeta che dà una voce alla nostra anima
angosciata e muta, è il Leopardi. II Manzoni, per quanto
suggestivo, è sempre molto concreto, sia per le tendenze del
suo ingegno, sia perché è una mente storica per eccellenza ed
ha bisogno sempre di cantare l'uomo di un dato tempo: quindi
raramente si abbandona ad un lirismo così universalmente umano
da tornare come un bisogno dell'anima nei nostri momenti
d'ebbrezza o di malinconia. Il suo fine ultimo è sempre quello
di rappresentare un uomo o un popolo che vive, ben concreto,
in un tempo ben certo, sotto il vigile occhio di Dio. Il
Manzoni insomma, è un poeta storico-cristiano: questo è il suo
posto nella nostra letteratura. E la sua grandezza artistica
sta nell'equilibrio col quale ha saputo distribuire i vari
elementi che contribuiscono a quelle sue concezioni
storico-cristiane: la psicologia umana e storica, il
protagonista e l'ambiente, l'interpretazione religiosa di quel
fatto o di quel personaggio della storia. Il Cinque Maggio e
l'Ermengarda fondono in un tutto rapido e incisivo questi
elementi: perciò, pur nella loro brevità, sono così complessi,
e il critico è incerto da che punto collocarsi per giudicarli,
e si sente premuto da ogni parte da una folla di osservazioni
multiformi che hanno tutte la loro importanza. Sono due
capolavori vari ed uni come la realtà contemplata da una mente
organica: e la loro unità deriva da quel sentimento
storico-cristiano col quale il Manzoni contempla sempre la
vita, dalle due religioni che egli aveva e che erano per lui
una cosa sola: la verità e la fede. |