CRITICA: LETTERATURA MINORE

 LA PROSA ROMANTICA DI MAZZINI

 AUTORE: Attilio Momigliano         TRATTO DA: Ultimi studi

 

La vita del Mazzini, con quei suoi affetti puri, quella sua dedizione di missionario politico, quel suo ramingare di esule, è tipicamente romantica, di un romanticismo tutto idealità e niente libertinaggio. Potremmo dire che la sua vita è quella del Foscolo, liberata dagli eccessi passionali e sensuali, come il suo stile è quello dell'Ortis, alleggerito della soverchia cupezza e del troppo insistente ed enfatico sentenziare, nati appunto dalla prepotenza tirannica della passione. Ma nelle Note il Mazzini, tutto concentrato intorno allo scopo della sua vita, non si è curato di isolare la linea della sua condotta e delle sue vicende: e il romanticismo, limitato nel contenuto, si è riversato per lo più nella forma.
Le pagine che attraggono l'immaginazione del lettore sono poche: sopra tutte quelle iniziali, famose, che sono le migliori, le più temperatamente romantiche, e le sole che abbiano una linea veramente poetica. Potrebbero intitolarsi Il sorgere di una vocazione; che non è quella dello scrittore ma dell'apostolo. Una domenica d'aprile del '21 il Mazzini giovinetto passeggia con la madre e un vecchio amico di famiglia nella Strada Nuova, a Genova, folta d'insorti piemontesi che, vinti, aspettano di poter imbarcarsi per la Spagna tuttora in rivolta. Un uomo d'aspetto severo, «con un guardo scintillante che non ho mai dimenticato», andava in giro con un fazzoletto spiegato, ripetendo queste sole parole: Pei proscritti d'Italia. Da quella vista nacque la vocazione del Mazzini. Nasce allora la sua figura morale e fisica. «Mi diedi fanciullescamente a vestir sempre di nero: parevami di portare il lutto della mia patria»; «l'Ortis che mi capitò allora fra le mani, mi infanatichì: lo imparai a memoria». Sono pagine dove il romanticismo è più nell'aria e nelle cose che nelle parole, più in quel quadro di elegia patriottica impresso della caratteristica fisionomia del tempo, e non dimenticabile, che nelle cadenze che troppo spesso prevalgono nello stile di Mazzini.
In molte altre pagine il romanticismo è più scoperto e la malinconia immaginosa più vivamente accentata. Per esempio, in quelle note col titolo La tempesta del dubbio. Gli abiti mentali, fantastici, sentimentali del nostro romanticismo, quale ci si affaccia alla memoria quando lo vogliamo rievocare in un quadro di vita, senza preoccupazioni filosofiche e critiche, sono tutti in quella descrizione dei tormenti da cui fu assediato il Mazzini sulla fine del 1837, quando temette che la sua idea fosse un sogno orgoglioso ed egoistico, e vide nei fucilati d'Alessandria, di Genova e di Chambéry e nelle madri che li piangevano, le vittime innocenti della sua ambizione. Non sono queste le pagine di un uomo politico che misura la ragionevolezza dei suoi disegni e calcola le probabilità della riuscita, ma lo sfogo di un romantico in cui l'azione politica assume le apparenze di una burrasca passionale. Gioverebbe confrontarle con la celebre lettera del Machiavelli al Vettori. Machiavelli e Mazzini sono, l'uno e l'altro, in una pausa forzata della loro vita politica e si confessano l'uno e l'altro. Ma il primo con poche, forti, ritrose parole, che ritraggono la vittoria del pensiero e del proposito sul sentimento, e la certezza che quella pausa non può essere che una pausa, perché egli sa di esser nato per la politica - «mi pasco di quel cibo, che solum è mio» -, perché la sua lettera, pur con quell'aria d'ozio che la circonda e quei momenti fugaci di réverie, è tutta frequente di attività contrastata. Il secondo ondeggia di continuo fra la riflessione e l'emozione, ed è più spesso vicino ad un romanziere psicologico che ad un uomo politico che scrive le sue memorie. Mazzini fa di sé un'analisi insistente, simile a quella che tanti scrittori dell'Ottocento faranno dei loro personaggi assediati da un amore infelice, e adopera un linguaggio morbidamente drammatico, in cui i colori tetri e le mosse tacitiane dell'Ortis si attenuano nelle tinte sentimentali d'un crepuscolo elegiaco e negli atteggiamenti molli delle Méditations di Lamartine, che fu il modello del romanticismo languido e dozzinale, tipo Aleardi. Credo che qualche cosa dell'eloquenza malinconica e celestiale del Lamartine sia trapassata nella prosa di Mazzini. Scrive, qui: «Sentiva più prepotente il bisogno di ricoverarmi nella comunione di poche anime sorelle che mi intendessero anche tacente»; «Mentr'io m'agitava e presso a soccombere sotto quella croce, un amico, a poche stanze da me, rispondeva a una fanciulla che, insospettita del mio stato, lo esortava a rompere la mia solitudine: lasciatelo, ei sta cospirando e in quel suo elemento è felice»; «...quel mattino, la natura pareva sorridermi consolatrice e la luce rinfrescarmi, quasi benedizione, la vita nelle stanche vene»; «m'affratellai col dolore e mi ravvolsi in esso, come pellegrino nel suo mantello» ; «Scavai colle mie mani la fossa, non agli affetti», «ma ai desideri, alle esigenze, ai conforti ineffabili degli affetti, e calcai la terra su quella fossa, sì ch'altri ignorasse l'io che vi stava sepolto». Scrive, altrove: «Sì, erano, i più giovinetti, benché solcata prematuramente la candida aperta fronte dall'orme di mesti e solenni pensieri;... e l'Angelo dell'esilio mormorava ad essi, sui primi passi del loro pellegrinaggio, non so quale dolce e santa parola d'amore... Al tocco dell'ala dell'Angelo, il loro occhio aveva intravvedute cose ignote alla tarda età; un nuovo verbo... un nuovo mondo..., e nazioni ringiovanite, e razze, per lungo tempo divise, moventi, come sorelle, alla danza nella gioia della fiducia»...
C'è in pagine come queste tutto il frasario lirico ed elegiaco del tempo, tutta l'indeterminatezza sospirosa e aleardiana del nostro romanticismo e del nostro risorgimento, quella voce di esule sconsolato e tuttavia un po' accarezzato dalla propria malinconia, che si può risentire con lo stesso timbro in scrittori come il Grossi e si contrae invece nervosamente e minacciosamente nelle poesie del Berchet.

Il Mazzini approfondisce questo atteggiamento con qualche risonanza più triste, con una melodia struggente che gli deriva dalla costanza del dolore della sua vita, e in cui sentiamo come echeggiare le note malinconiche della grande musica operistica del tempo («Lontano da mia madre, dalle mie sorelle, da quanto m'è caro, perduto nelle prigioni il migliore amico de' miei primi anni giovanili, e per altre cagioni note a me solo, ho disperato della vita dell'individuo, e detto a me stesso: Tu morrai perseguitato a mezzo la via»). E aggiunge allo stile del tempo qualche mossa da profeta e da veggente, che trapasserà nelle strofe di Mameli.
Nella prosa di Mazzini c'è, più o meno sparsamente, tutto il mondo romantico contemporaneo nelle sue figure più nobili e dolenti: il congiurato, l'esule, il missionario, il prigioniero, lo sconsolato della vita.

Tornano alla memoria a quando a quando il Pellico, che è più misurato, più classico, e disegna figure dove il Mazzini accenna appena un motivo sospiroso, e il Berchet, chiuso in un più duro dolore, e creatore di personaggi destinati a rimanere protagonisti della storia ideale del tempo. In Mazzini ci sono l'accento e la coloritura generica del tempo, il fondo comune delle immagini e dei gesti di allora, quasi mai concentrati in una pagina che possa rimanere come il documento poetico di un'età.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis