CRITICA: NEOCLASSICISMO E MONTI

 VINCENZO MONTI NELLA CRITICA OTTOCENTESCA

 AUTORE: Giosué Carducci    TRATTO DA: Prefazione alle Torsioni poetiche di V. Monti

 

La reazione contro il principe de' poeti, i cui versi corsero una volta il "bello italo regno" abbaglianti d'émpito e di splendore come gli squadroni di cavalleria del re Murat, era stata dal venti in poi, nella gran quaresima letteraria e filosofica, nella critica e poetica mortificazione della carne, veramente feroce. Oh terror bianco de' romantici vincitori! Ci furon giorni che una metafora di Piero Maroncelli, delle cui velleità critiche l'Italia ha stretto obbligo di non ridere per amore di quella gamba, era diventata per la gioventù un dogma: il Monti non doveva né poteva essere altro che un eunuco camufato di un robone più o meno splendido. E io mi ricorderò sempre di un buon uomo di manzoniano, il quale sudava delle camicie per dimostrarmi come l'autore del Prometeo e della Feroniade non fosse che un versificatore, al quale scappava alcuna volta qualche frase rigirata bene. Pochi anni di poi il brav'uomo mi mandò certi suoi versi, traduzione dall'inglese di canti per asili infantili. Io vi giuro, o lettori, per Apollo Sminteo protettore de' sorci, essere stata gran ventura ch' e' non finissero di garbare né pure a qualcuno di que' signori di san Vincenzo di Paola che hanno tanto gusto per la ordinata e moral poesia: a cotali suoni anche la pappa sciocca di que' poveri bimbi degli Asili sarebbesi inacetita ne' pentolini.

Oltre i romantici e cormentali procedevano avversi al Monti i foscoliani di buona lega ed in gran parte i leopardiani. Ripetevan quei primi su tutte le possibili intonazioni sepolcrali, Odio il verso che suona e che non crea: peccato che i valentuomini si scordassero poi di creare, se pure non ne perdessero la facoltà a furia di sforzi per digrignar versi che non suonassero ed abbaiar periodi da allegare i denti alle persone. I secondi, i leopardiani purissimi, quelli per i quali La ginestra è l'archetipo della poesia, trovano da diboscare per tutto; e a lasciarli fare ridurrebbero l'arte coane altri ha ridotto le belle montagne d'Italia. Ma v'è chi dubita non cotesta scuola per odio al buon dio vada a finire in un ascetismo macerante: una Tebaide di bestemmiatori, e nel mezzo in luogo di Apollo un san Girolamo che invece di comunicarsi facesse l'atto di Vanni Fucci nel ventesimoquinto dell'Inferno, potrebbe esser cosa nuova e bella, per una mezz'ora.
Rimangono poi, nimicissimi della poesia e della prosa del Monti e avanti e dopo la sua morte e in sempiterno, i fedeli della purità virginale, della santa semplicità; quelli a cui Giotto non pare abbastanza spirituale e non par trecentista il Boccaccio. Costoro crederono di aver ritrovato nel bel Trecento delle leggende quella meravigliosa fonte di gioventù della quale favoleggiano tanto graziosamente i romanzi del medio evo; e per ringiovanire, non tanto sé, che non riputavano il caso, quanto la letteratura italiana, ne fecero delle grosse bevute, i poveretti. Se non che i maligni dicono intervenisse loro ciò che intervenne alla fantesca di quell'antica maliarda; la quale, avendo avvertito come la padrona con una sorsata di certa sua ampollina sapeva spianarsi le rughe e riapparir fresca come un bottoncino di rosa, un bel giorno che la strega era fuori si mise l'ampollina a bocca e trincò di santa ragione. Fu proprio il caso di dire, s'intende acqua ma non tempesta; ché la malaccorta tornò d'un tratto bambina, e col suo sennuccio di vecchierella viziata andava zampettando per la casa e balbettando che era un piacere.

Dei popolareschi, di quelli cioè che scrivon tuttavia stampate e prose in lingua di popolo, non ho voglia di parlare: costoro troppo hanno imitato il profeta Eliseo, il quale si rannicchiò e rintuzzò tutto su '1 corpicino del figliuolo della Sunamitide per risuscitarlo: a forza di ridursi alle proporzioni del buon popolo, che essi contano paternamente per fanciullo, han cosa rattrappite le membra e perduta l'abitudine del tenersi diritti, ch'e' non possono misurarsi più ad un uomo di misura ordinaria, non che a chi passa di qualche dito cotesta statura.
Ora queste scuole, come la reazione letteraria che seguitò al 1815, sono anch'esse antiche, giudicabili esse stesse, se non ancor giudicate; e i criteri parziali di queste e di quelle non possono adoperarsi a una sentenza terminativa. Nella storia letteraria del gran secolo che corse per l'Italia dal 1750 al 1850, quando sarà scritta con serenità e senza preoccupazioni di parte, Vincenzo Monti riprenderà il luogo che gli spetta, come a principe dell'arte d'un'intiera e ingegnosissima generazione, come a prosecutore ed allargatore dell'antica tradizione italiana, come a ravvivatore del sentimento classico nella sua migliore espressione. Solo qualche ragazzo scappato pur ora dalla scuola può credere di passare per rivoluzionario ripetendo certe declamazioni che fecero effetto a lor tempo, mentre scambia la casacca arlecchinesca del primo saltimbanco nel quale s'avvenga per la clamide ondeggiante dell'Apollo musagete.

D'inedito nulla può rimanere che importi, poiché della tragedia Coriolano fu certamente perduto quel non molto che il Monti avea scritto; se non fosse la versione intiera della Pulcella d'Orléans... Il Monti aveva imparato a trattar l'ottava dell'Ariosto e teneva del sal samosatense dalla natura; in opera poi di traduzione anche da lingue moderne ha ben pochi simili, o nessuno, tra noi: il perché quella versione, se si ritrova, dovrà pubblicarsi di certo. Passarono i tempi che i pii romantici affettavano di non menzionare quel poema se non per circonlocuzione e con una coda di vituperii : l'arte è morale di per sé.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis