La reazione contro il principe de' poeti, i cui versi corsero
una volta il "bello italo regno" abbaglianti d'émpito e di
splendore come gli squadroni di cavalleria del re Murat, era
stata dal venti in poi, nella gran quaresima letteraria e
filosofica, nella critica e poetica mortificazione della
carne, veramente feroce. Oh terror bianco de' romantici
vincitori! Ci furon giorni che una metafora di Piero
Maroncelli, delle cui velleità critiche l'Italia ha stretto
obbligo di non ridere per amore di quella gamba, era diventata
per la gioventù un dogma: il Monti non doveva né poteva essere
altro che un eunuco camufato di un robone più o meno
splendido. E io mi ricorderò sempre di un buon uomo di
manzoniano, il quale sudava delle camicie per dimostrarmi come
l'autore del Prometeo e della Feroniade non fosse che un
versificatore, al quale scappava alcuna volta qualche frase
rigirata bene. Pochi anni di poi il brav'uomo mi mandò certi
suoi versi, traduzione dall'inglese di canti per asili
infantili. Io vi giuro, o lettori, per Apollo Sminteo
protettore de' sorci, essere stata gran ventura ch' e' non
finissero di garbare né pure a qualcuno di que' signori di san
Vincenzo di Paola che hanno tanto gusto per la ordinata e
moral poesia: a cotali suoni anche la pappa sciocca di que'
poveri bimbi degli Asili sarebbesi inacetita ne' pentolini.
Oltre i romantici e cormentali procedevano avversi al Monti i
foscoliani di buona lega ed in gran parte i leopardiani.
Ripetevan quei primi su tutte le possibili intonazioni
sepolcrali, Odio il verso che suona e che non crea: peccato
che i valentuomini si scordassero poi di creare, se pure non
ne perdessero la facoltà a furia di sforzi per digrignar versi
che non suonassero ed abbaiar periodi da allegare i denti alle
persone. I secondi, i leopardiani purissimi, quelli per i
quali La ginestra è l'archetipo della poesia, trovano da
diboscare per tutto; e a lasciarli fare ridurrebbero l'arte
coane altri ha ridotto le belle montagne d'Italia. Ma v'è chi
dubita non cotesta scuola per odio al buon dio vada a finire
in un ascetismo macerante: una Tebaide di bestemmiatori, e nel
mezzo in luogo di Apollo un san Girolamo che invece di
comunicarsi facesse l'atto di Vanni Fucci nel ventesimoquinto
dell'Inferno, potrebbe esser cosa nuova e bella, per una
mezz'ora.
Rimangono poi, nimicissimi della poesia e della prosa del
Monti e avanti e dopo la sua morte e in sempiterno, i fedeli
della purità virginale, della santa semplicità; quelli a cui
Giotto non pare abbastanza spirituale e non par trecentista il
Boccaccio. Costoro crederono di aver ritrovato nel bel
Trecento delle leggende quella meravigliosa fonte di gioventù
della quale favoleggiano tanto graziosamente i romanzi del
medio evo; e per ringiovanire, non tanto sé, che non
riputavano il caso, quanto la letteratura italiana, ne fecero
delle grosse bevute, i poveretti. Se non che i maligni dicono
intervenisse loro ciò che intervenne alla fantesca di
quell'antica maliarda; la quale, avendo avvertito come la
padrona con una sorsata di certa sua ampollina sapeva
spianarsi le rughe e riapparir fresca come un bottoncino di
rosa, un bel giorno che la strega era fuori si mise
l'ampollina a bocca e trincò di santa ragione. Fu proprio il
caso di dire, s'intende acqua ma non tempesta; ché la
malaccorta tornò d'un tratto bambina, e col suo sennuccio di
vecchierella viziata andava zampettando per la casa e
balbettando che era un piacere.
Dei popolareschi, di quelli cioè che scrivon tuttavia stampate
e prose in lingua di popolo, non ho voglia di parlare: costoro
troppo hanno imitato il profeta Eliseo, il quale si rannicchiò
e rintuzzò tutto su '1 corpicino del figliuolo della
Sunamitide per risuscitarlo: a forza di ridursi alle
proporzioni del buon popolo, che essi contano paternamente per
fanciullo, han cosa rattrappite le membra e perduta
l'abitudine del tenersi diritti, ch'e' non possono misurarsi
più ad un uomo di misura ordinaria, non che a chi passa di
qualche dito cotesta statura.
Ora queste scuole, come la reazione letteraria che seguitò al
1815, sono anch'esse antiche, giudicabili esse stesse, se non
ancor giudicate; e i criteri parziali di queste e di quelle
non possono adoperarsi a una sentenza terminativa. Nella
storia letteraria del gran secolo che corse per l'Italia dal
1750 al 1850, quando sarà scritta con serenità e senza
preoccupazioni di parte, Vincenzo Monti riprenderà il luogo
che gli spetta, come a principe dell'arte d'un'intiera e
ingegnosissima generazione, come a prosecutore ed allargatore
dell'antica tradizione italiana, come a ravvivatore del
sentimento classico nella sua migliore espressione. Solo
qualche ragazzo scappato pur ora dalla scuola può credere di
passare per rivoluzionario ripetendo certe declamazioni che
fecero effetto a lor tempo, mentre scambia la casacca
arlecchinesca del primo saltimbanco nel quale s'avvenga per la
clamide ondeggiante dell'Apollo musagete.
D'inedito nulla può rimanere che importi, poiché della
tragedia Coriolano fu certamente perduto quel non molto che il
Monti avea scritto; se non fosse la versione intiera della
Pulcella d'Orléans... Il Monti aveva imparato a trattar
l'ottava dell'Ariosto e teneva del sal samosatense dalla
natura; in opera poi di traduzione anche da lingue moderne ha
ben pochi simili, o nessuno, tra noi: il perché quella
versione, se si ritrova, dovrà pubblicarsi di certo. Passarono
i tempi che i pii romantici affettavano di non menzionare quel
poema se non per circonlocuzione e con una coda di vituperii :
l'arte è morale di per sé. |