Quando si riconobbero i
segni premonitori della vitalità e della continuità, nel medio evo, della
tradizione culturale classica comunque immiserita, il dogma delle origini
assolutamente popolari delle lingue delle letterature romanze, e in
particolare della letteratura alto-francese del tutto immune da ogni
influenza della cultura latina, si salvò postulando due mondi nettamente
separati nel medio evo, il mondo dei chierici, depositari di quel tanto
che s'era potuto salvare del patrimonio culturale legato dall'antichità, e
il mondo dei laici, da quello dei chierici completamente distaccato e
isolato...
Ora, questa nozione di un ambiente popolare e di un ambiente culto
assolutamente indipendenti ed estranei l'uno all'altro, ciascuno con una
sua propria tradizione linguistica e culturale, senza reciproci rapporti e
influenza apparve - già nel 1898, quando il sistema romantico era ancora
ben saldo - del tutto inconsistente e astratta e illusoria a un grande
filologo italiano, Francesco D'Ovidio, che così scriveva: «...pur
nella stria della lingua si è troppo spesso disconosciuto il continuo
inframmettersi delle forme semidotte tra quelle di conio strettamente
volgare, e si é quasi dimenticato che, alla fine, una classe più o meno
colta vi fu sempre... e tra essa e il volgo s'ebbe uno scambio e una
convivenza non mai interrotta; sicché la derivazione del volgare dal solo
latino popolare è da intendersi in senso molto discreto... Sull'assoluta
popolarità della poesia cosiddetta popolare molte illusioni si son venute
dileguando; e checché si possa immaginare delle letterature di primaria
formazione e dei popoli che dal nulla assursero via via a un embrione di
letteratura, ognuno intende che non è il medio evo latino quello cui le
formazioni ex nihilo si attaglino di più. In quella età di decadenza, ma
non di assoluta barbarie, la tradizione latina era pure la traccia
luminosa a cui tutti gli occhi si volgevano... i chierici componevano i
canti liturgici, ma in chiesa non c'era il popolo Non ne usciva con certe
melodie e certi ritmi nell'orecchio? non li ebbe ad accompagnare anche con
la voce? in latino e in volgare? O vi fu tempo in cui religione e clero
invadessero di più ogni manifestazione della vita? Chiunque, insomma,
avesse attitudine pur a creare di sana pianta, non aveva vergine il suo
sentimento... bensì educato a qualche cosa di preesistente. Gli stessi
giullari erano più o meno passati per la trafila delle scuole...».
Così il D'Ovidio, un trentennio dopo che il Paris aveva affermato la
littérature latine ne s'est pas continuée dans la nótre », riconosce gli
stretti contatti del mondo popolare con quello della cultura e il
continuarsi, nelle letterature romanze, dei modi tecnici - specialmente
della versificazione - della letteratura medio-latina, erede e
continuatrice della tradizione classica; e lamenta che ancora la critica e
la storiografia letteraria non abbiano saputo liberarsi - nei casi singoli
e concreti, se pur se n'eran liberate in massima da quelle idee ch'eran
divenute idee fisse o canoni della filosofia della storia, e cioè: il
rinnegamento dell'azione individuale nella storia spirituale dei popoli,
la glorificazione delle forze collettive, irriflesse spontanee,
involontarie, incoscienti nella genesi e nello sviluppo del linguaggio o
delle forme letterarie o religiose, ecc.
In realtà che la nozione dei mondi separati sia assolutamente astratta e
aprioristica agevolmente si riconosce considerando che rapporti
strettissimi necessariamente devono intercorrere tra il mondo aulico
signorile e il mondo ecclesiastico, per il fatto che le funzioni
amministrative che i sovrani e i signori debbono esercitare non possono
essere assolte che per 1'opera degli scribi o cancellarii o notarii; che
sono - come abbiamo dimostrato - formati nelle scuole episcopali o
cenobiali; le quali, come abbiamo reso evidente, sono scuole professionali
che preparano, appunto, all'esercizio delle funzioni curiali oltre che
sacerdotali. Le cancellerie regie o imperiali, almeno da Carlo Magno in
poi, strettamente dipendono dai circoli clericali e scolastici, e basterà
citare l'esempio della curia di Berengario, che è tutta costituita da
maestri o alunni della scuola capitolare di Verona; dal 908 al 922 capo
della cancelleria berengariana è Giovanni, chierico veronese promosso poi
vescovo di Cremona che si proclama della scuola veronese allievo prima e
poi maestro, ed è molto probabilmente, l'autore del Panegirico di
Berengario, dei Gesta Berengarii imperatoris, in cui si rappresentano
travestiti di classici paludamenti uomini e case della vita italiana degli
anni tra 1'88 e il 915, secondo il gusto della scuola classicistica e gli
interessi politici del sovrano.
E in tutte le corti minori, ducali e comitali, la condizione è la stessa:
sempre e dovunque nelle aule signorili vivono e operano i chierici
palatini, funzionari della curia e ministri della Cappella.
E d'altra parte - come sappiamo per numerose testimonianze - le scuole
clericali son frequentate dai figli dei principi che vi apprendono i
rudimenti della grammatica, cioè del latino, e della dottrina cristiana e
gli elementi di una informazione generale nel campo del diritto; e anche
vi ricevono un'educazione intesa a dare norma alla vita morale e sociale;
quella che noi chiamiamo la buona educazione; e vengono a conoscere
quell'interpretazione generale del mondo della natura e della storia che i
chierici avevano ricavato dai libri degli autori classici e dai libri
rivelati, ch'erano appunto oggetto e strumento dell'insegnamento
scolastico...
Luogo d'incontro, la corte, del mondo clericale con il mondo laico
signorile; il luogo dove i chierici suggeriscono ai signori l'ideale di
una vita leggiadra e culta, e, d'altra parte, accettano dai signori
l'ideale della prodezza, la nozione cioè di una vita eroica e guerriera,
che è proprio del mondo aristocratico feudale.
Dalla sintesi delle due idealità nasce, appunto, l'originale concezione
del mondo e della vita che troviamo realizzata nella grande poesia
francese dei secoli XI-XII, la concezione cavalleresca-cortese. Realizzata
nella grande poesia romanza dei secoli XI-XII, la concezione
cavalleresca-cortese: ma il processo di sintesi tra le idealità clericali
e le idealità signorili, di cui quella concezione è lo splendido frutto, è
processo che si svolge attraverso un lungo corso di secoli, come ha
mostrato di recente il Bezzola: l'opera di educazione della società
aristocratica da parte dei chierici, eredi e custodi della civilitas e
dell'humanitas classiche incomincia già nelle aule dei re goti e merovingi,
nel secolo VI: già nella corte di Ravenna Cassiodoro insegna ai barbari l'humanitas
e divulga il gusto della cultura, della poesia. della musica; e nell'aula
merovingia Venanzio Fortunato - il primo poeta cortese, com'è stato
scritto - addita un ideale di vita che è tradotto dal termine dulcedo,
insistentemente ricorrente nei versi del poeta, con cui si esprime «un
ideal de moeurs agréables, de bonnes manières et de noblesse de caractère,
telles qu'on les rencontre chez une personnalité cultivée», e
che implica un riconoscimento di un «ròle
relativemerit important» della donna, cui il poeta dedica «ses
hommages respectueux» e si accosta con una certa «tendresse
de sentiment» senza tuttavia desiderarla, perché il desiderio «détruirait
ce quelle a de plus digne d'amour, son intangible pureté». Vivo
il gusto della cultura e della poesia nell'aula longobarda già nel secolo
VII, ma più nell'VIII, quando è poeta della corte di Desiderio Paolo
Diacono, cui è affidata l'educazione della principessa Adelperga, seguita
dal Maestro anche a Benevento, quand'ella andò sposa al duca Arechi...
In conclusione, la cortesia - cioè la nuova e originale concezione della
vita che il mondo occidentale romano-germanico attinge risolvendo la lunga
crisi spirituale in cui per sei secoli si era dibattuto - nasce da
un'interpretazione nuova dell'ideale classico che per secoli la tradizione
scolastica aveva custodito, ma solo passivamente conservando, senza
saperne ricavare energia, e luce per intraprendere vie nuove e nuove
conquiste.
In altri termini, l'eredità del pensiero antico - gelosamente conservato e
instancabilmente trasmesso dalla scuola clericale, ma in modo sterile e
meccanico - è rinnovato profondamente e diventa energia vigorosa che fa
luogo a una concezione nuova della vita e del mondo, fuori dell'ambiente
scolastico strettamente inteso, nell'ambiente laico delle aule signorili :
che è, tuttavia, già nell'età, dei regni romano-barbarici, all'ambiente
scolastico saldamente congiunto; sicché, come accennavamo; il mondo
clericale e il mondo signorile vengono a costituire un unico ambiente.
Ambiente attivo e creativo, l'ambiente cortese, tanto quanto era stato,
per secoli, recettivo e passivo l'ambiente scolastico; ma i semi da cui la
civiltà cavalleresca-cortese germoglia son quelli che la scuola ha
conservato; e vigoreggiano quando son gettati in un terreno fecondo...
In quanto usano il volgare come strumento dell'espressione letteraria, le
nuove letterature romanze rappresentano, certo, un fatto rivoluzionario:
attuato, però, nell'ossequio alla tradizione che le letterature romanze
continuano sia negli atteggiamenti del gusto, sia nell'impiego dei modi
tecnici e formali, sia nella scelta dei temi poetici.
La «rivoluzione» è, dunque, solo nella
adozione del volgare come lingua scritta, nell'abbandono, per l'uso
letterario, di una lingua ormai assolutamente remota dalla coscienza
linguistica attuale degli scriventi; ed è «rivoluzione» che ha i suoi
precedenti tentativi, compiuti già nell'alto medio evo, di reazione ai
moduli troppo vincolativi del latino accademico tradizionale...
In Francia si attua quell'originale interpretazione del patrimonio ideale
legato dall'antichità e fedelmente conservato dalla scuola, che è alla
sorgente della moderna civiltà letteraria d'Europa; in Francia sorgono e
dalla Francia si irradiano i primi movimenti spirituali e letterari del
mondo moderno, che conquistano l'intera Europa romana-germanica ; sicché
Gaston Paris poteva, nel 1871 mentre le vittoriose armate prussiane
stringevano Parigi d'assedio - proclamare che, nel XII secolo, tutti i
paesi europei sono culturalmente province francesi.
In realtà, nei secoli XI-XIII la Francia è al centro della vita spirituale
d'Europa e all'Europa impone la nozione della vita e del mondo che i suoi
poeti hanno elaborato e tradotto in immagini immortali, impone le sue mode
e i suoi gusti, il suo modo di vivere e di sentire e di operare.
Ma a partire dalla fine del secolo XIII, alla Francia succede l'Italia
nell'ufficio di guida spirituale d'Europa: non solo si irradia dall'Italia
il grande movimento umanistico del XV secolo che invade tutta l'Europa;
bensì, già nel secolo XIV, in Italia si attuano lo svolgimento e il
rinnovamento del messaggio che all'anima moderna annunciava la Francia
cavalleresca e cortese.
Messaggio che è, dapprima, umilmente ascoltato e accolto dagli italiani
del XIII secolo, che alla scuola dei trovieri francesi e dei trovatori
provenzali devotamente si mettono; e li imitano fedelmente, usando in un
primo tempo le lingue stesse che a quei primi maestri erano state
strumento dell'esperienza letteraria, le lingue d'oc c d'oil. In
provenzale dettano le loro rime amorose Lanfranco Cigala e Sordello,
Rambertino Buvaletti e Bartolomeo Zorzi : in un provenzale correttissimo
ed esatto, che rivela il lungo studio e il grande amore con cui gli
italiani hanno acquisito il possesso della lingua poetica dei trovatori;
in francese un anonimo padovano della fine del XIII secolo compone una
canzone di gesta, l'Entrée d'Espagne che è non un freddo riecheggiamento,
ma originalissima e audacissima interpretazione della matusa romanzesca
venuta di Francia: che, meglio, rappresenta una radicale innovazione e
anzi una « rivoluzione » della tradizione epica franca, in quanto compone
e fonde in una nuova unità la materia carolingia con quella brettone,
dando origine alla tradizione italiana della narrativa cavalleresca che
mette capo al capolavoro ariostesco.
Non dunque solo passivamente recettiva della tradizione francese l'Italia,
ma, già nel XIII secolo, interprete energicamente attiva; e ancora più
quando altissima suona, nel XIV secolo, la voce delle tre corone
fiorentine, Dante, Petrarca, Boccaccio; che la tradizione accolgono e
profondamente rivivono e rinnovano, ed esprimono nelle parole solenni e
nelle immagini grandi, che, sono, in realtà, parole e immagini nuove,
segni di nuove esperienze e di intuizioni e visioni nuove : consegnati a
libri immortali che, pur essendo espressione del mondo ideale contro cui
insorge violentemente il moto umanistico non sono, né possono essere, dal
moto umanistico, cancellati e ripudiati o travolti; e, anzi, dopo le
discussioni e le condanne dei primi umanisti, sono dagli umanisti stessi
accettati con devota reverenza e posti accanto ai libri grandissimi degli
antichi, come punti fermi e segni eterni e insopprimibili cui gli uomini
tutti, per progredire, devono necessariamente richiamarsi e rifarsi.
Sintesi e trasfigurazione, insieme, delle esperienze e delle istanze del
mondo medievale; segno di orientamenti nuovi e di nuove esigenze, la
Commedia, il Canzoniere, il Decameron in quanto traducono ed esprimono lo
spirito di personalità altissima che stanno al di fuori e al di sopra di
ogni angustia di tempo e di luogo, sono il tramite dell'ideale continuità
del medioevo, attraverso il rinascimento, nella civiltà moderna.
Ideale continuità, non rottura tra civiltà medievale e civiltà moderna,
anche se il grande movimento spirituale del secolo XV possa apparire - e
sia, in realtà, nella coscienza degli umanisti - insurrezione e ribellione
violenta e sdegnosa.
Ma al verbo annunciato dall'Alighieri, dal Petrarca, dal Boccaccio non
ripugnano, né possono, i grandi ribelli del XV secolo, perché in quello è
bensì contenuto tutto ciò che essi ripudiano e condannano, ma anche tutto
ciò in cui essi credono e sperano : perciò il Rinascimento - che è fatto
grandissimo della storia spirituale europea - è, certo, risultato di un
rinnovamento radicale. e profondo, in cui, però, viva e valida, resta
l'eredità dell'esperienza medievale.
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