ORIGINI E DUECENTO |
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Tempo e festa sono tra
loro intrecciati, perché un tempo senza festa distruggerebbe sia l’umanità
sia lo stesso tempo: la festa interrompe l’ordinarietà dell’esistenza e,
nutrita dal desiderio di coloro che l’attendono, conferisce al tempo un
valore ed un pregio particolari.
Nel Medioevo il tempo della festa,
contrastivo del tempo del dolore, ci richiama subito alla mente la brigata
decameroniana di dieci giovani che fugge dalla Firenze appestata del 1348
per raggiungere un locus amoenus in campagna, dove decide di
passare piacevolmente il tempo raccontandosi novelle; gli esempi di tempo
della festa, in opposizione al tempo della sofferenza, percorrono la
società e la cultura di ogni tempo, perché appartengono ad una delle
esperienze antropologiche essenziali.
Le modalità di fruizione si diversificano
fino alla trasgressione, per esempio del Carnevale, e alla conseguente
reazione critica e repressiva da parte delle autorità sia civili che
ecclesiastiche, le quali, per salvaguardare il proprio dominio, hanno
ovviamente diffidato di ogni forma di divertimento che sfuggisse al
controllo e alla regolamentazione. Per apportare qualche esempio, nel
Medioevo alcuni giochi e divertimenti erano proibiti o sospettati o
sottoposti a severe normative, sia per timore che gli eccessi edonistici
contribuissero ad estetizzare la vita, a dannare le anime ed a diffondere
la corruzione, sia per limitare al massimo l’autonomia dei soggetti: nel
libro quarto degli Statuti imperiali di Boncompagno da Signa,
retore e dettatore bolognese del secolo XIII, sono condannati e marchiati
di perpetua infamia i giocatori di zara, gioco a dadi assai diffuso
nel Medioevo.
Il tempo della festa è stato dunque
condizionato nella sua natura dal periodo e dal contesto in cui si è
svolto; è avvenuto però che i laici, detenendo il potere, siano stati più
liberali nella gestione del tempo, addirittura decidendo lo stesso codice
della festa, fatto di spettacoli, giochi, riso, allegria, fastosità e di
tutti i sentimenti connessi, tra cui in primo piano amore e amicizia e tra
i tanti valori, la cortesia, inscindibile dalla liberalità e dal
piacere del dono, dono sia unidirezionale che reciproco,
estrinsecazione del proprio status e dei propri sentimenti,
argomento di riflessione anche oggi, in un’epoca in cui la mentalità di
massa, iperconsumista, contagiata dal kitsch, ha spesso involgarito e
commercializzato il gesto del dono.
Propongo due testi tra Duecento e Trecento
di autori si può dire contemporanei, ma separati tra oriente e occidente,
tra un contesto storico imperiale ed uno comunale-borghese: un brano dal
Devisement du monde, conosciuto come Il Milione, dove si
raccontano le Meraviglie del Mondo, frutto della collaborazione tra
Marco Polo e Rustichello da Pisa e una scelta dai Sonetti di
Folgòre da San Gimignano, nato nel prestigioso Comune toscano, fante e
cavaliere, impegnato politicamente come guelfo della guelfa San Gimignano.
Il Milione
Marco Polo (1254-1324), viaggiatore,
narratore, storiografo, elabora Il Milione nella prigione genovese
insieme ad uno scrittore professionista come Rustichello da Pisa alla fine
del Duecento. Il Milione percorre imprese, avventure e meraviglie
del viaggio, grandezze ed aspetti sensazionali della corte imperiale, tra
cui la festa: LXXXIX
Qui narra della grandissima
festa che fa il gran Can per il capodanno. A1l’inizio viene precisato
che il capodanno dei Tartari si celebra in febbraio con gli abiti bianchi:
si vestono di bianco a capodanno per aver gioia e benessere tutto
l’anno; un colore puro e augurale, senza macchia, una monocromia che
coinvolge tutti, dal Gran Can ai sudditi attraverso la cerimonia dei doni
che provengono dai diversi regni dell’Impero; cerimonia i cui beneficiari
sono l’imperatore e l’intera cittadinanza, dai baroni ai cavalieri ai
semplici abitanti; i doni sono costituiti da pietre preziose e perle, le
famose perle che su piccole barche i pescatori vanno a cercare
immergendosi nelle acque profonde; ma al Gran Can vengono offerti anche
dei cavalli bianchi, perché gli animali, cavalli elefanti cammelli,
compagni dei trionfi e delle avventure umane, hanno un ruolo fondamentale
nella festa: eleganti nei loro addobbi e carichi di scrigni, sfilano con
ritmo e disinvoltura, a sottolineare che la potenza e la ricchezza
dell’Impero non hanno limiti e sfidano ogni senso della misura. La
festa è lo specchio di un coinvolgimento globale, a testimonianza del
saggio e lungimirante governo del Gran Can, che ha il merito di mantenere
ses terres et ses genz en justice, dice in un’altra occasione Marco
Polo, che non cessa di tessere il panegirico del suo Signore, che l’ha
onorato della sua fiducia per tanti anni. La festa procede con i riti
della prosternazione (in quanto l’imperatore in una società fortemente
verticistica è adorato come un dio), dell’incensiere, dell’offerta dei
doni, poi, dovendo passare alle mense, tutti si mettono a tavola
rispettando la dignità gerarchica ed il criterio dello status symbol;
la festa bianca di capodanno finisce con l’arrivo dei giullari, les
joculer, che hanno la funzione di divertire la corte e di chiudere un
fondamentale capitolo temporale.
Corone
della
Semana e dei Mesi
Nei 22 Sonetti che costituiscono le
Corone della Semana e dei Mesi di Folgòre da San
Gimignano (ovvero Jacopo di Michele, poeta soldato vissuto tra il 1265 ed
il 1332, contemporaneo dunque di Dante Alighieri), la festa non riguarda
una determinata ricorrenza, come nel Milione, ma copre l’intiero
arco dell’esistenza;
e
un tempo circolare in perenne fruizione del piacere
di vivere, sulla scìa del plazer provenzale: i piaceri, che siano
agonistici o conviviali o amorosi, si distribuiscono in ogni giorno della
settimana e in ogni mese dell’anno, proseguendo la tradizione antica di
ispirarsi ai Mesi, ripresa nello stesso Medioevo anche in altre arti: un
esempio ammirato in tutto il mondo è la Fontana Grande di Perugina,
opera in marmo bianco e pietra rosa d’Assisi, terminata nel 1278 da
Nicola e Giovanni Pisano, nelle cui formelle del bacino inferiore sono
raffigurati i Mesi. Il mese di Maggio raffigura la scena di uno
sport, la caccia, incontestato all’epoca, importante nella scala dei
valori come l’amore e le armi: un gentiluomo fa impennare un cavallo,
preceduto da una dama che, pure lei a cavallo, tiene nella mano sinistra
il falcone, nella mano destra un frustino, ma nello stesso tempo guarda
con tenerezza il cavaliere che le offre dei fiori; scena dunque
tipicamente cortese,
in cui attività venatoria
e corrispondenza amorosa s’intrecciano.
Anche nel Maggio di Folgòre sport
(giostre e tornei) e amore si associano in un’esplosione cromatica
abbagliante, in una scenografia vivace di cavalli e armeggiatori, di
bandiere e di zendadi (drappi di seta); inoltre esprimono il tempo
continuo dell’eterno ritorno nei diversi infiniti rompere,
fiaccar, piover, baciarsi e negli ottativi, come quello
dell’ultimo verso vi si ragioni, come a dire che le gioie materiali
non devono essere disgiunte dall’interiorizzazione e dalla riflessione:
Di maggio sì vi do molti
cavagli
Mentre nel brano del
Milione, tra i partecipanti alla
festa vige una forte gerarchia, nelle sue poesie Folgòre si rivolge a
tutti i membri della brigata nobele e cortese
che fruiscono in egual modo dei piaceri, una brigata
franca e gaudente, un
privé elargi al di là dei
parenti, comprensivo degli amici e degli amori, tutti legati da valori
comuni: amor patrio, convivialità, solidarietà, affinità elettive, ma
soprattutto cortesia, ideale frequentemente opposto all’avarizia. In
Decembre, quando, a
causa del freddo, lo spazio scelto è quello delle sale ben riscaldate dove
si mangiano ghiotti morselli
(bocconi) e si beve il vino di San Galgano, il poeta raccomanda anche
l’eleganza nel vestire, valore inscindibile dalla
cortesia, onde beffarsi degli
avari che sono sprezzantemente definiti miseri
dolenti sciagurati. Come nel
Milione, anche nel poeta toscano
il piacere del cibo non è fine a se stesso, ma s’inserisce nel sogno di
una vita bella, come
l’ha definita Giovanni Caravaggi, vita ricca di attività gratificanti e di
relazioni sociali, ricamata su un tempo sospeso tra mito e realtà, come
nel Mercoredie
(Mercoledì) della Semana:
al rito del banchetto copiosissimo di delicate
vivande partecipano donne e uomini di diversi
ceti sociali, l’addobbo è pregiatissimo
(coppe,
nappi (tovaglie di
lino), bacin
d’oro e d’argento) il conversare
allegro e con la chiara faccia;
la partecipazione alla gioia comune è evidente nelle terzine finali di
Domenica die:
Danzar donzelli, armeggiar
cavalieri,
Come detto precedentemente, non c’è
festa senza dono; in ambedue gli esempi proposti, secondo la distinzione
di Jean Starobinski, il dono è fastoso, non perverso, ma
condizionato dalla diversità del contesto etnico-storico: nel Milione,
il dono è
l’asimmetrico,
dovizioso omaggio verso chi è ritenuto il più grande benefattore, ovvero
il Gran Can, mentre nelle Corone del poeta toscano si tratta di un
dono simmetrico e apparentemente impalpabile, il dono del tempo,
di come saggiamente distribuirlo, di come fruirlo; dono espresso con gli
stilemi vi dono, vi do, dovvi, da donare,
dare, verbi legati alla liberalità degli ideali cortesi:
D
Dono del tempo, ma anche della poesia,
considerata un gioiello da donare a chi lo sa apprezzare: I’ ho pensato
di fare un gioiello/ che sia allegro, gioioso ed ornato
(dalla
Dedica alla Semana),
una corona de pietre
preziose, metafora della scrittura, in quanto le pietre preziose che
Folgòre dona al destinatario dei Mesi, Niccolò di Nigi, sono le
parole di cui i sonetti sono intarsiati (Aprile).
Secondo Umberto Eco (“La Repubblica”, 6
settembre 2000) la gente del Medioevo, vivendo in ambienti scarsamente
illuminati, amava rappresentarsi e vedersi rappresentata con toni
squillanti. Dice Eco: nelle miniature medievali la luce sembra
irradiarsi dagli oggetti, dato che il Medioevo identificava la
bellezza con la luce ed il colore, una sinfonia di colori, come si nota
nei due testi visitati e nelle miniature.
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Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis |