CRITICA: GIUSEPPE PARINI

 LO "SCIOLTO" PARINIANO

 AUTORE: Giosué Carducci    TRATTO DA: Opere

 

All'endecasillabo sciolto il Parini seppe far prendere tutte quasi le pose dell'esametro, seppe farlo nella tenuità sua limitata allungare, allargare, snodare, fargli simulare, direi, il passo del gran verso antico: ciò che il Caro, stilista meglio che artista, non aveva, non che osato, ma neanche pensato. Tanto ottenne il Parini, alternando, mischiando, variando di continuo i sei modi dell'endecasillabo. Nell'intiero Meriggio, credo, non si dà caso che otto versi di seguito abbiano l'accento sulla medesima sillaba; salvo la comparazione del mago Atlante, dove otto con l'accento sulla quarta l'un dopo l'altro paion messi lì a posta per ricordare l'ottava dei poemi romanzeschi da cui proviene la favola, e la preghiera dell'amante a Mercurio, nel tric-trac, dove sei o sette portano di seguito l'accento su la sesta per ricordare la monotonia solenne della preghiera.

Poco usò il Parini versi con finale sdrucciola (proparossitona), trentasei nei quattro poemetti; e quando, a mo' del Caro, ne fa nella descrizione della notte signorile un gruppo di contadini, non sono dei più insigni ma le parole proparossitone alloga in fine e distribuisce in mezzo al verso con abilità meravigliosa a movere co 'l suono l'immagine. Il lettore rammenta, credo, le borghesi al corso; oda anche, di grazia, i giovinetti conte e marchese,

 

come insieme
Passeggino elevando il molle mento
E volgendolo in guisa di colomba
E palpinsi e sorridansi e rispondansi
Con un vezzoso tu.


Altrove due voci sdrucciole seguite da una parossitona rendono effetti d'armonia imitativa reali e, direi, elegantissimi. Lo strascico:

 

su la via l'estrema veste
Per la polvere sibila strisciando.

                                             [Not. 201]


Il su e giù delle secchie:

 

Con tenore ostinato al par di sécchj
Che scendano e ritornino piagnenti.


Talvolta parrebbe che il poeta, quasi per fuggire l'unisono disaggradevole dei versi anche temperati con la più abile varietà, cercasse di farne dei trascurati e cascanti che poi i frugoniani gli andassero appuntando. Versi come questi - Ma già il ben pettinato entrar di nuovo Gridar tentasse e non però potesse,- tolti ciascun per sé, paiono deboli. Ma che? - fu ben osservato - vedeteli fiancheggiati, e sentirete mutazione.

 

Ma già il ben pettinato entrar di nuovo
Tuo damigel vegg'io. Sommesso ci chiede,
Quale oggi più de le bevande usate
Sorbir ti piaccia in preziosa tazza.


Finalmente l'allitterazione, uso così nuovo agli orecchianti italiani che la scambiano per ciò che nelle reverende scuole chiamavasi, con vocabolo non abborrito abbastanza mai dalle purgatissime orecchie, cacofonia, l'allitterazione, dico nei versi nel nuovo Virgilio lombardo trionfa come in quei dell'antico:

 

Lieve lieve per l'aere lambendo.


Altro mezzo a mutar passo dei versi, a fermar l'attenzione su l'immagine e su l'atto, ad eccitare il sentimento, sono le spezzature con le quali il Parini finisce un periodo logico e metrico, e anche una proposizione, e ne comincia un altro a mezzo il verso dopo la terza o la quinta, dopo la sesta o l'ottava. Nei 1131 versi del Mattino le spezzature dopo la sesta sono 127, dopo la quinta 45, dopo la terza e l'ottava 9. Nei meno che quaranta versi della Vergine cuccia le spezzature sono venti. Pochi esempi:


la spada;
 

Corta e lieve non già, ma qual richiede
La stagion bellicosa, al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d'elso
Immane;
qualora,
Pollo o fagian con la forcina in alto
sospeso, a un colpo il priverai dell'anca
Mirabilmente.


Ma gli effetti altamente estetici dell'arte di verseggiare, congiunta che sia, come nel Parini, alla sapienza del distribuire e disporre nella parola sensazioni immagini idee secondo l'intuito logico sensuale della fantasia, bisogna vederli nell'insieme. Nella favola del Piacere la comparazione del temporale estivo tiene otto versi in un periodo solo, poetico a un'ora e musicale, di due parti: maggiore la prima, crescendo di verso in verso nella raffigurazione che s'avvicina, con gli accenti, con la mista larghezza e cupezza nel suono delle vocali, co 'l súbito impeto delle consonanti stridenti, assorge al verso quinto nello scoppio del tuono: minore la seconda, decresce di grado in grado co' tre ultimi versi all'allegro crepitare della pioggia in quella scopiettatura finale di verbi.

 

Come nell'arsa state il tuono s'ode
Che di lontano mormorando viene,
E col profondo suon di monte in monte
Sorge; e la valle, e la foresta intorno
Muggon del fragoroso alto rimbombo;
Finché poi scroscia la feconda pioggia
Che gli uomini e le fere e i fiori e l'erbe
Ravviva, riconforta, allegra e abbella.


Né meno mirabile, per efficacia tutta diversa, è la visione fra comica e tragica delle ombre astinenti e avare degli avi, quando un gran divoratore si accosta alle mense dei nepoti. È un periodo solo, di tredici versi, in tre membri che rientrano incastrandosi co 'l sentimento e con l'espressione l'uno nell'altro, mediante suoni e termini rispondentisi. Primo, visione fantastica:

 

Qualor s'accosta al desco altrui, paventano
Suo gusto inesorabile le smilze
Ombre degli avi che per l'aria lievi
Aggiransi vegliando ancor d'intorno
A i ceduti tesori:


secondo, rappresentazione viva e saliente nei particolari fino all'assordante impressione del verso nono:

 

e piangon lasse
Le mal spese vigilie, i sobri pasti,
Le in preda a l'aquilon case, le antique
Digiune ròzze, gli scommessi cocchi
Forte assordanti per stridente ferro
Le piazze e i tetti:


terzo, lenta e pensosa impressione morale con solennità di costruzione e intonazione nell'ultimo

 

e lamentando vanno
Gl'invan nudati rustici, le fami
Mal desiate e de le sacre toghe
L'armata invano autorità sul volgo.

 

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis