All'endecasillabo sciolto il Parini seppe far prendere tutte
quasi le pose dell'esametro, seppe farlo nella tenuità sua
limitata allungare, allargare, snodare, fargli simulare,
direi, il passo del gran verso antico: ciò che il Caro,
stilista meglio che artista, non aveva, non che osato, ma
neanche pensato. Tanto ottenne il Parini, alternando,
mischiando, variando di continuo i sei modi
dell'endecasillabo. Nell'intiero Meriggio, credo, non si dà
caso che otto versi di seguito abbiano l'accento sulla
medesima sillaba; salvo la comparazione del mago Atlante, dove
otto con l'accento sulla quarta l'un dopo l'altro paion messi
lì a posta per ricordare l'ottava dei poemi romanzeschi da cui
proviene la favola, e la preghiera dell'amante a Mercurio, nel
tric-trac, dove sei o sette portano di seguito l'accento su la
sesta per ricordare la monotonia solenne della preghiera.
Poco usò il Parini versi con finale sdrucciola
(proparossitona), trentasei nei quattro poemetti; e quando, a
mo' del Caro, ne fa nella descrizione della notte signorile un
gruppo di contadini, non sono dei più insigni ma le parole
proparossitone alloga in fine e distribuisce in mezzo al verso
con abilità meravigliosa a movere co 'l suono l'immagine. Il
lettore rammenta, credo, le borghesi al corso; oda anche, di
grazia, i giovinetti conte e marchese,
come insieme
Passeggino elevando il molle mento
E volgendolo in guisa di colomba
E palpinsi e sorridansi e rispondansi
Con un vezzoso tu. |
Altrove due voci sdrucciole seguite da una parossitona rendono
effetti d'armonia imitativa reali e, direi, elegantissimi. Lo
strascico:
su la via l'estrema veste
Per la polvere sibila strisciando.
[Not. 201] |
Il su e giù delle secchie:
Con tenore ostinato al par di sécchj
Che scendano e ritornino piagnenti. |
Talvolta parrebbe che il poeta, quasi per fuggire l'unisono
disaggradevole dei versi anche temperati con la più abile
varietà, cercasse di farne dei trascurati e cascanti che poi i
frugoniani gli andassero appuntando. Versi come questi - Ma
già il ben pettinato entrar di nuovo Gridar tentasse e non
però potesse,- tolti ciascun per sé, paiono deboli. Ma che? -
fu ben osservato - vedeteli fiancheggiati, e sentirete
mutazione.
Ma già il ben pettinato entrar di nuovo
Tuo damigel vegg'io. Sommesso ci chiede,
Quale oggi più de le bevande usate
Sorbir ti piaccia in preziosa tazza. |
Finalmente l'allitterazione, uso così nuovo agli orecchianti
italiani che la scambiano per ciò che nelle reverende scuole
chiamavasi, con vocabolo non abborrito abbastanza mai dalle
purgatissime orecchie, cacofonia, l'allitterazione, dico nei
versi nel nuovo Virgilio lombardo trionfa come in quei
dell'antico:
Lieve lieve per l'aere lambendo. |
Altro mezzo a mutar passo dei versi, a fermar l'attenzione su
l'immagine e su l'atto, ad eccitare il sentimento, sono le
spezzature con le quali il Parini finisce un periodo logico e
metrico, e anche una proposizione, e ne comincia un altro a
mezzo il verso dopo la terza o la quinta, dopo la sesta o
l'ottava. Nei 1131 versi del Mattino le spezzature dopo la
sesta sono 127, dopo la quinta 45, dopo la terza e l'ottava 9.
Nei meno che quaranta versi della Vergine cuccia le spezzature
sono venti. Pochi esempi:
la spada;
Corta e lieve non già, ma qual richiede
La stagion bellicosa, al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d'elso
Immane;
qualora,
Pollo o fagian con la forcina in alto
sospeso, a un colpo il priverai dell'anca
Mirabilmente. |
Ma gli effetti altamente estetici dell'arte di verseggiare,
congiunta che sia, come nel Parini, alla sapienza del
distribuire e disporre nella parola sensazioni immagini idee
secondo l'intuito logico sensuale della fantasia, bisogna
vederli nell'insieme. Nella favola del Piacere la comparazione
del temporale estivo tiene otto versi in un periodo solo,
poetico a un'ora e musicale, di due parti: maggiore la prima,
crescendo di verso in verso nella raffigurazione che
s'avvicina, con gli accenti, con la mista larghezza e cupezza
nel suono delle vocali, co 'l súbito impeto delle consonanti
stridenti, assorge al verso quinto nello scoppio del tuono:
minore la seconda, decresce di grado in grado co' tre ultimi
versi all'allegro crepitare della pioggia in quella
scopiettatura finale di verbi.
Come nell'arsa state il tuono s'ode
Che di lontano mormorando viene,
E col profondo suon di monte in monte
Sorge; e la valle, e la foresta intorno
Muggon del fragoroso alto rimbombo;
Finché poi scroscia la feconda pioggia
Che gli uomini e le fere e i fiori e l'erbe
Ravviva, riconforta, allegra e abbella. |
Né meno mirabile, per efficacia tutta diversa, è la visione
fra comica e tragica delle ombre astinenti e avare degli avi,
quando un gran divoratore si accosta alle mense dei nepoti. È
un periodo solo, di tredici versi, in tre membri che rientrano
incastrandosi co 'l sentimento e con l'espressione l'uno
nell'altro, mediante suoni e termini rispondentisi. Primo,
visione fantastica:
Qualor s'accosta al desco altrui, paventano
Suo gusto inesorabile le smilze
Ombre degli avi che per l'aria lievi
Aggiransi vegliando ancor d'intorno
A i ceduti tesori: |
secondo, rappresentazione viva e saliente nei particolari fino
all'assordante impressione del verso nono:
e piangon lasse
Le mal spese vigilie, i sobri pasti,
Le in preda a l'aquilon case, le antique
Digiune ròzze, gli scommessi cocchi
Forte assordanti per stridente ferro
Le piazze e i tetti: |
terzo, lenta e pensosa impressione morale con solennità di
costruzione e intonazione nell'ultimo
e lamentando vanno
Gl'invan nudati rustici, le fami
Mal desiate e de le sacre toghe
L'armata invano autorità sul volgo. |
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