Mentre Cesare Beccarla scriveva Dei delitti e delle pene,
Giuseppe Parini meditava le sue odi civili, e si portò nel
cuore per più d'un trentennio quel mondo morale che tentò
tutte le vie per diventare un mondo artistico e fu la poesia
del Giorno e delle Odi.
Era ritornata la credenza nel mito della primitiva felicità
umana, nel mito dell'età saturnia; solo che il mito non
ritornava con l'apatia della pace arcadica, ma era una certa
verginità del mondo, colto nelle sue impressioni più fresche e
più energiche: donde la passione della vita semplice, il
virgiliano amore della giustizia che lasciò nei campi le
ultime tracce di sé, quel senso sano della equità che pare la
più alta ragione d'ogni forma di vita, quella intonazione
epica che la poesia del Parini assume quando rappresenta la
semplicità di questa vita e quando la celebra come
contromodello del costume sociale contemporaneo. In questa
celebrazione del contromodello infatti non c'è mai la sola
intenzione ironica contro quel costume, ma c'è anche l'ingenua
ed energica simpatia del Parini per la sanità intrinseca di
quel mondo ch'egli vede colpe un contromodello; e voglio dire
che questa sanità getta, sì, lui riflesso ironico su quel
costume, ma è generata più da credenza ingenua che da ironiche
intenzioni del poeta. In lui la rappresentazione di una vita
sana e semplice non muove da un bisogno di illuminare con essa
ironicamente una vita triste e fiacca, ma sorge spontanea dal
suo animo, perché quella vita è contenuto della sua fede, è
ciò ch'egli crede.
E da questa unica ragione deriva a volta a volta al Parini un
difetto e un pregio di procedimento artistico: ché talvolta la
sua fantasia si abbandona completamente all'ammirazione del
contromodello per se stesso, sì che lo isola dai rapporti con
quel costume, e l'ironia poi riesce posticcia e fredda,
talaltra invece quella stessa fantasia, ingenuamente, afferra
tutti i rapporti di contrasto di quel contromodello col
costume, e l'ironia trapassa allora per una gamma
straordinaria di toni, dalla carezza alla sferza. Alcune volte
i toni epici del Giorno sono tali che si trasformano
improvvisamente di sorrisi in sinfonie tremende, di collere
appassionate.
E la passione dell'energico e del primitivo, che il Parini non
poteva avere ereditata soltanto dalla sua origine campagnola,
e conservata intatta (egli che vivea da tanti anni in città e
in mezzo alla società milanese), ma che gli doveva essere
tenuta viva soprattutto dal contenuto morale e sociale delle
nuove dottrine filosofiche, da quel contenuto che era nato
attraverso le dottrine dell'esperienza e sembrava essere stato
la realtà più certa del passato o del più lontano passato.
Dalle origini remote dell'umanità sorgeva nella fantasia del
Parini l'immaginazione delle sue favole, dal più sano passato
storico l'evocazione della nobile, severa, forte vita degli
antenati del giovin Signore; perché accanto al mito delle
condizioni dell'animo alle origini, della vita allo stato di
natura, sorgeva anche l'ammirazione per tutti gli stati
rimasti ingenui attraverso la storia, per tutto ciò che
perennemente rimane intatto nell'anima umana, anche in mezzo
agli smarrimenti cui i progressi sociali possono condurre. Il
mito pessimistico della storia, concepita come progresso verso
la corruttela del costume, trovava compenso nel poetico
entusiasmo per tutto ciò che attraverso tale progresso fosse
rimasto ingenuo. E l'evocazione storica e l'invenzione
favolosa hanno la loro ispirazione da questo entusiasmo per i
momenti ingenui e primitivi dello spirito. Onde le favole del
Parini, che sembrano improntate al gusto delle preziosità
arcadiche, sono anch'esse ispirate dalla sua cultura
sensistica; esse contengono quasi tutte, sotto velo, una
storia dell'umanità dallo stato ingenuo a quelli del suo
corrompimento.
L'umanità era stata perfetta e semplice un tempo, e ciò era il
credo pieno di rimpianto di tutto il sensismo: e, se il Parini
fosse stato un poco più assorto con la sua riflessione sul
pensiero filosofico del suo tempo e meno rigidamente classico
fosse stato il suo sentimento morale, quel rimpianto non
avrebbe forse mancato di fare spirare in quelle favole una
remota malinconia e i sensi di quelle sconsolate voci della
poesia foscoliana, quand'essa accenna a tutto ciò che di più
santo e vergine trapassa nel mondo.
Esse volgono invece all'ammaestramento e vogliono avere un
significato umano non lontano dagli interessi da cui erano
ispirate e che ispiravano le dottrine illuministiche. Perciò
il tono morale in esse distrugge la riflessione filosofica,
più larga e piena di più vasta poesia. Il Parini segna il
trapasso storico simboleggiato nella favola, ma non lo avvolge
e solleva nell'aura dell'eterno trascorrere umano, perché quel
trapasso lo interessa quasi solo in rapporto col suo tempo e
col suo limitato argomento: l'occhio del poeta non possiede
ancora lo sguardo del savio che trasfigura nell'eterno i
momenti del tempo: e la sua coscienza e la sua fantasia non
sono dominate ancora dal senso malinconico del destino
dell'uomo.
Il Parini assale i costumi d'una società storicamente
condizionata, e il suo pessimismo, rivolto verso l'epoca
contro cui è rivolta la sua poesia, non è un pessimismo
riguardante i valori universali della vita; di questi anzi
egli ha una concezione generalmente ottimistica. Di qui deriva
l'orizzonte poetico limitato della sua satira che investe una
classe sociale e non una concezione di vita.
Anzi "la fiducia liberale nella bontà generale delle cose",
sentimento fondamentale di ogni illuminismo, sta a fondamento
anche del mondo mitico del Parini e sorregge la sua misurata
calma morale, la sua lirica delle temperate passioni. E quando
dall'osservazione ed esperienza d'una vita allontanatasi da
quella originaria bontà scatta, con tutte le forme del
risentimento, la sua poesia satirica, questa non serba che un
ufficio correttivo e canzonatorio, epperò né s'innalza a una
visione bonaria della vita, dove il male appaia confuso e
annegato nel bene, né si converte in una visione pessimistica
che abbia l'ardore e il rimpianto di chi non trova quello che
crede.
Persino nella favola del Giorno più vicina ai sensi foscoliani
della poesia, in quella del Piacere, la remota umanità ancora
indistinta, così grandiosamente rappresentata, trapassa senza
malinconia dal suo stato felice al suo corrompimento. Essa
smarrisce la stia primitiva verginità santa, il Piacere la
vìola, ed essa trapassa inconsapevole del proprio destino. Il
favoloso genio del piacere ne segna ora le vie, e la iniziale
vastità contemplativa del quadro si perde, né la favola
s'innalza a storia ideale.
Ma, oltre che per questa mancanza di sguardo filosofico, ciò
succede anche perché la volontà del Parini è troppo più
moraleggiante che religiosa, onde l'aura sacra del Foscolo e
del Manzoni non può aleggiare ancora nella sua poesia della
storia, nel suo credo umano, nelle sue convinzioni
filosofiche. Il cristiano sacerdote Parini, è sacerdote
piuttosto della ragione umana che delle umane destinazioni; e
ciò che è diritto, in lui, é più fermo e più rigido di quel
che non occorra per consentire ciò che é religioso; i suoi
sensi civili non arrivano a quelli religiosi dell'uomo. |