Potea il Petrarca dire in
questo modo il primo verso della canzone, che ci allegò Giuliano: Voi
ch'in rune ascoltate. Ma considerando egli che questa voce Ascoltate, per
la moltitudine delle consonanti che vi sono e ancora per la qualità delle
vocali e numero delle sillabe, è voce molto alta e apparente, dove Rime
per li contrari rispetti, è voce dimessa e poco dimostrantesi, vide che se
egli diceva Voi ch'in rime, il verso troppo lungamente stava chinato e
cadente, dove, dicendo Voi ch'ascoltate, egli subitamente lo inalzava, il
che gli accresceva dignità. Oltra che Rime, per ciò che è voce leggera e
snella, posta tra queste due, Ascoltate, e Sparse, che sono amendue piene
e gravi, è quasi dell'una e dell'altra temperamento. E aviene ancora che
in tutte. queste voci dette e recitate così, Voi ch'ascoltate in rime
sparse, et esse più ordinatamente ne vanno, e fanno oltre a ciò le vocali
più dolce varietà e più soave che in quel modo. Per che meglio fu il dire,
come egli fe', che se egli avesse detto altramente. Il che potrà essere
avertimento dell'ordine, prima delle tre parti che io dissi. Poteva
eziandio il Petrarca quell'altro verso della medesima canzone dire così:
Fra la vana speranza e'l van dolore. Ma per ciò che la continuazione della
vocale A toglieva grazia, e la variazione della E trapostavi la riponeva,
mutò il numero del meno in quello del più, e fecene, Fra le vane speranze;
e fece bene, che quantunque il mutamento sia poco, non è per ciò, poca la
differenza della vaghezza, chi vi pensa e considera sottilmente. E cade
questo nel secondo modo del disporre detto di sopra. Per ciò che nel
terzo, che è togliendo alle voci alcuna loro parte, o aggiungendo o pure
tramutando come che sia, cade quest'altro:
Quand'era in parte altr'uom da quel ch'i sono; |
e quest'altro:
Ma
ben veggi' or, sì come al popol tutto
Favola fui gran tempo. |
Erano Uomo e Popolo le intere voci, dalle quali egli levò la vocale loro
ultima; la quale se egli levata non avesse, elle sarebbono state voci
alquanto languide e cascanti, che ora sono leggiadrette e gentili. Cadono
altresì di molt'altri; sì some è:
Che m'hanno congiurato a torto incontra; |
dove Incontra disse il medesimo poeta, più tosto che Contra. E Sface molte
volte usò, e Sevri alcuna fiata, e Adiviene e Dipartio, più tosto che
Disface e Separi e Aviene e Dipartì, e Diemme e Aprilla, dovendo dire
direttamente. Mi diè e la aprì. E perché io v'abbia, di questi modi del
disporre; le somiglianze recate dal verso, non è che essi non cadano
eziandio nella prosa, per ciò che.essi vi cadano. È il vero che questa
maniera, ultima delle tre, più di rado vi cade che le altre; con ciò sia
cosa che alla prosa, per ciò che ella alla regola delle rime o delle
sillabe non sottogiace e può vagare e spaziare a suo modo, molto meno
d'ardire e di licenza si dà in questa parte, che al verso. Ora, sì come e
nelle sillabe e nelle sole voci queste figure entrano, così dico io che
elle entrano parimente negli stesi parlari, e per aventura molto più. Per
ciò che oltra che non ogni parte che si chiuda con alquante voci, s'acconviene
con ogni parte, e meglio giacerà posta prima che poi, o allo 'ncontro ; e
quella medesima parte non in ogni guisa posta riesce parimente graziosa; e
toltone o aggiuntone o mutatone alcuna voce, più di vaghezza dimostrerà
senza comperazione alcuna che altramente; sì aviene egli ancora che il
lungo ragionare, e di quelle medesime figure molto più capevole esser può,
che una sola voce non è, e, oltre a questo, gli è di molte altre figure
capevole, delle quali non è capevole alcuna sola voce; sì come ne' libri
di coloro palese si vede, che dell'arte del parlare scrivono partitamente...
Instando con M. Ercole mio fratello, che egli a M. Federigo facesse dire
il rimanente, et esso stringendone lui, e il Magnifico parimente, che
diceva che mio fratello aveva detto assai, egli dopo una brieve contesa,
più per non torre a mio fratello il fornire lo incominciato ragionamento
fatto, che per altro, lietamente a dire si dispose e cominciò:
- Io pure nella mia rete altro preso non arò che me stesso. E bene mi sta,
poscia che io tacere quando si conveniva non ho potuto, che io di quello
favelli che men vorrei. Né crediate che io questo dica, perché in ciò la
fatica mi sia gravosa, che non è, dove io a qualunque s'è l'uno di voi
piaccia, non che a tutti e tre. Ma dicolo per ciò che le cose, che dire si
convengono, sono di qualità, che malagevolmente per la loro disusanza
cadono sotto regola, in modo che pago e sodisfatto se ne tenga chi
l'ascolta. Ma come che sia, venendo al fatto, dico che egli si potrebbe
considerare, quanto alcuna composizione meriti loda o non meriti, ancora
per questa via: che, per ciò che due parti sono quelle che fanno bella
ogni scrittura, la gravità e la piacevolezza; e le cose poi, che empiono e
compiono queste due parti, son tre, il suono, il numero, la variazione,
dico che di queste tre cose aver si dee riguardo partitamente, ciascuna
delle quali all'una o all'altra giova delle due primiere che io dissi. E a
fine che voi meglio queste due medesime parti conosciate, come e quanto
sono differenti tra loro, sotto la gravità ripongo l'onestà, la dignità,
la maestà, la magnificenza, la grandezza, e le loro somiglianti; sotto la
piacevolezza ristringo la grazia, la soavità, la vaghezza, la dolcezza,
gli scherzi, i giuochi, e se altro è di questa maniera. Per ciò che egli
può molto bene alcuna composizione essere piacevole e non grave, e allo 'ncontro
alcuna altra potrà grave essere, senza piacevolezza; sì come aviene delle
composizioni di M. Cino e di Dante, ché tra quelle di Dante molte son
gravi, senza piacevolezza, e tra quelle di M. Cino molte sono piacevoli,
senza gravità. Non dico già, tuttavolta, che in quelle medesime che io
gravi chiamo, non vi sia qualche voce ancora piacevole, e in quelle che
dico essere piacevoli, alcun'altra non se ne legga scritta gravemente, ma
dico per la gran parte. Sì come, se io dicessi eziandio che in alcune
parti delle composizioni loro né gravità, né piacevolezza vi si vede
alcuna, direi ciò avenire per lo più, e non perché in quelle medesime
parti niuna voce o grave o piacevole non si leggesse. Dove il Petrarca
l'una e l'altra di queste parti empiè meravigliosamente, in maniera che
scegliere non si può, in quale delle due egli fosse maggior maestro.
|