Se con questi lumi
osserveremo alcuna delle immagini usate dal Petrarca, noi le troveremo ben
provvedute della qualità mentovata, cioè dirittamente vere alla sua
fantasia per cagion di qualche passione. Consideriamo spezialmente come
egli ragioni dopo la perdita di Laura, motivo a lui, se gli crediamo, d'inestimabil
dolore. Percorso da questo gagliardo affetto va egli immaginando cose che
senza dubbio considerate dall'intelletto son false, ma non son già tali
alla sua fantasia. Spesso gli sembra di mirar viva la sua donna, che a
guisa d'una Ninfa si segga sulla riva della Sorga... Altrove s'immagina di
mirarla in atto compassionevole assisa presso al suo letto, e di udirla
ragionar cose meravigliose, e aggiunge le parole ch'ella dicea:
-
Fedel mio caro, assai di te mi dole:
Ma pur per nostro ben dura ti fui,
-Dice, e cos'altre d'arrestar il Sole. |
Quanto fosse il turbamento della fantasia del Petrarca in amar Laura ancor
morta, e per conseguente gagliarda la sua passione, chiaro si scorge da
questo ultimo bellissimo verso, poiché la fantasia di lui immaginava si
dolci, sì maravigliose le parole di Laura, che le parcano possenti a
fermar il sole. La quale immagine, quantunque dall'intelletto nostro si
conosca falsissima, pure verissima parve all'innamorata e addolorata
fantasia del Petrarca, e naturalmente per forza dell'effetto ivi si
produsse. Così ancor può dirsi delle altre immagini nate in quel delirio e
furor della sua afflizione, che sono intellettualmente false, ma paiono
verissime all'agitata fantasia; e oltre a ciò, mirabilmente ci conducono
ad apprendere una verità reale e certa, cioè la gran doglia, il sommo
amore del Petrarca, e la beltà e gloria di Laura.
A questi lodevoli delirii della fantasia commossa dagli affetti non
dovette ben por mente l'autor franzese della Maniera di ben pensare,
quando egli con ischerzo osò mordere due versi del medesimo Petrarca, colà
dove egli dice a Laura già morta:
Nel tuo partir partì del mondo amore,
E cortesia ecc... |
E dice quell'autore che non abbiam molto da affliggerci, perché l'amore e
la cortesia son tuttavia rimasi nel mondo, benché ne gli abbia fatti
partire il Petrarca. Ma certissimo è che questa immagine era vera e
naturale nella fantasia del Petrarca addolorato. Chiedasi a chiunque che
dalla morte poco avanti è stato privato di qualche amatissima persona; ed
egli dirà francamente parergli che più non ci abbia da essere allegrezza
per lui; parergli il mondo un tormentosissimo soggiorno; e non esserci più
cosa che il diletti; che gli sembri bella. Aggiungerà che la sua fantasia
è solamente piena dell'oggetto perduto; che egli sovente il vede con gli
occhi interni, e che non ha altra consolazione che la speranza del
morire...
Possiamo appellar rapimento quello del Petrarca nel son. 159, par. I, là
dove l'innamorata sua fantasia, come rapita in estasi, va specchiandosi
nella beltà di Laura, e con questi accenti si sfoga:
Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra,
Cose sovra Natura altere e nuove.
Vedi ben, quanta in lei dolcezza piove:
Vedi lume che 'l Cielo in terra mostra. |
Ancora le seguenti immagini, durante il rapimento del nostro poeta, son
leggiadrissime; perciocché tanto è occupata e rapita la fantasia del poeta
dalle bellezze di Laura e dalla fervente passione, che ogni cosa
verisimilmente le par fatta bella dagli occhi di quella donna, e infin le
sembra che la serenità, il riso e lo splendore sieno dall'amato oggetto
comunicati al Cielo. E da ciò si scorge che simili rapimenti sono
mirabilmente acconci per far concepire ad altrui la violenza dell'amore,
del dolore, dello stupore, o d'altri simili affetti, da' quali è agitata
la poetica fantasia; come ancora la straordinaria o bellezza, o
disavventura, o virtù che ha svegliato sì leggiadri delirii.
Perché però non è sempre possibile un sì violento affetto, né lice a'
poeti l'usar sì spesso cotali rapimenti ed estasi; anzi alcuni altro far
non sanno che copiar gli adoperati da' nostri maggiori: un'altra spezie di
movimenti accenneremo, che più è in uso e ancor più facile presso a'
poeti. Son questi i voli poetici...
Il Petrarca, le cui nobilissime rime ci hanno per l'addietro forniti di
tanti esempi, fia il primo a farneli gustare in pratica. A questo
innamorato poeta era pervenuto l'avviso della morte di Laura. Qual
battaglia dentro di lui s'accendesse fra la doglia e l'amore, non è
difficile a immaginarsi. Fecesi egli dunque a spiegar queste sue passioni
colla canzone che è la prima della par. 2. Entra egli con questa
vaghissima e tenerissima immagine, parlando ad Amore:
Che debb'io far, che mi consigli,
Amore Tempo è ben di morire,
Ed ho tardato più ch'io non vorrei.
Madonna è morta, ed ha seco il mio core;
E volendol seguire,
Interromper convien questi anni rei ecc. |
Continua pure nella seguente stanza a ragionar con Amore, così nobilmente
cantando e proponendo le immagini del suo delirio:
Amor, tu'l senti, ond'io teco mi doglio,
Quanto è il danno aspro e grave;
E so che del mio mal ti pesa e duole,
Anzi del nostro, perché ad uno scoglio
Avem rotta la nave,
Ed in un punto n'è scurato il Sole. |
Quindi più non badando ad Amore, segue a dire:
Qual ingegno a parole
Poria aguagliare il mio doglioso stato? |
E immantenente si volge con alquanto sdegno a favellar col mondo, perché
seco non pianga:
Ahi! orbo Mondo ingrato,
Gran cagion hai di dover pianger meco,
Ché quel bel ch'era in te perduto hai seco. |
Dopo alcuni pochi versi, da me recati di sopra, d'improvviso lascia egli
di rampognar il mondo, e si rivolge a sé stesso, così dicendo:
Ma
io, lasso, che senza
Lei né vita mortal, né me stess'amo,
Piangendo la richiamo:
Questo m'avanza di cotanta spene,
E questo solo ancor qui mi ritiene. |
Poscia nell'altra stanza si pone con tenerezza a considerar le bellezze e
virtù di Laura.
Oimè, terra è fatto il suo bel viso,
Che solea far del Cielo,
E del ben di lassù fede fra noi ecc. |
Nella stanza appresso vola il suo dolore a ragionar con Laura medesima. E
tosto, come dimentico di parlar con lei, la suppone lontana. Nella qual
riflessione poco fermandosi, di repente passa a quest'altra:
Ma
tornandomi a mente
Che pur morta è la mia speranza viva,
Allor ch'ella fioriva,
Sa ben Amor qual io divento: e spero,
Vedal colei ch'è or sì presso al Vero. |
Quindi corre a ragionar colle donne, teneramente pregandole che vogliano
aver pietà di lui. Ecco i suoi nobili sentimenti:
Donne, voi che miraste sua beltate,
E l'angelica vita
Con quel celeste portamento in Terra,
Di me vi doglia, e vincavi pietate;
Non di lei, ch'è salita
A tanta pace, e me ha lasciato in guerra. |
Appresso dicendo che si ucciderebbe, se nol ritenesse Amore che gli parla
in cuore, passa a narrar le parole medesime che gli sembrano dette da
Amore. E finalmente dà commiato alla canzone, raccomandandole il non
comparir in parte ove sia allegrezza, e così terminandola:
Non fa per te di star. fra gente allegra,
Vedova, sconsolata, in veste negra. |
Bellissima senza fallo è .questa canzone, e per ravvisarla tale basta
l'aver qualche sapore del buono e conoscenza del bello. Fra le altre
bellezze però io spezialmente ammiro e lodo i maravigliosi e
leggiadrissimi voli poetici della fantasia trasportata. Nulla poteva
meglio, né più naturalmente esprimere, quanto gagliarda si fosse la forza
della passione, da cui era sorpreso il poeta.
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