FRANCESCO PETRARCA

  • DIFESA DEL PETRARCA
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    Autore: Ludovico Antonio Muratori Tratto da: Della perfetta poesia italiana

     
         

    Se con questi lumi osserveremo alcuna delle immagini usate dal Petrarca, noi le troveremo ben provvedute della qualità mentovata, cioè dirittamente vere alla sua fantasia per cagion di qualche passione. Consideriamo spezialmente come egli ragioni dopo la perdita di Laura, motivo a lui, se gli crediamo, d'inestimabil dolore. Percorso da questo gagliardo affetto va egli immaginando cose che senza dubbio considerate dall'intelletto son false, ma non son già tali alla sua fantasia. Spesso gli sembra di mirar viva la sua donna, che a guisa d'una Ninfa si segga sulla riva della Sorga... Altrove s'immagina di mirarla in atto compassionevole assisa presso al suo letto, e di udirla ragionar cose meravigliose, e aggiunge le parole ch'ella dicea:

     

    - Fedel mio caro, assai di te mi dole:
    Ma pur per nostro ben dura ti fui,
    -Dice, e cos'altre d'arrestar il Sole.


    Quanto fosse il turbamento della fantasia del Petrarca in amar Laura ancor morta, e per conseguente gagliarda la sua passione, chiaro si scorge da questo ultimo bellissimo verso, poiché la fantasia di lui immaginava si dolci, sì maravigliose le parole di Laura, che le parcano possenti a fermar il sole. La quale immagine, quantunque dall'intelletto nostro si conosca falsissima, pure verissima parve all'innamorata e addolorata fantasia del Petrarca, e naturalmente per forza dell'effetto ivi si produsse. Così ancor può dirsi delle altre immagini nate in quel delirio e furor della sua afflizione, che sono intellettualmente false, ma paiono verissime all'agitata fantasia; e oltre a ciò, mirabilmente ci conducono ad apprendere una verità reale e certa, cioè la gran doglia, il sommo amore del Petrarca, e la beltà e gloria di Laura.

    A questi lodevoli delirii della fantasia commossa dagli affetti non dovette ben por mente l'autor franzese della Maniera di ben pensare, quando egli con ischerzo osò mordere due versi del medesimo Petrarca, colà dove egli dice a Laura già morta:

     

    Nel tuo partir partì del mondo amore,
    E cortesia ecc...


    E dice quell'autore che non abbiam molto da affliggerci, perché l'amore e la cortesia son tuttavia rimasi nel mondo, benché ne gli abbia fatti partire il Petrarca. Ma certissimo è che questa immagine era vera e naturale nella fantasia del Petrarca addolorato. Chiedasi a chiunque che dalla morte poco avanti è stato privato di qualche amatissima persona; ed egli dirà francamente parergli che più non ci abbia da essere allegrezza per lui; parergli il mondo un tormentosissimo soggiorno; e non esserci più cosa che il diletti; che gli sembri bella. Aggiungerà che la sua fantasia è solamente piena dell'oggetto perduto; che egli sovente il vede con gli occhi interni, e che non ha altra consolazione che la speranza del morire...

    Possiamo appellar rapimento quello del Petrarca nel son. 159, par. I, là dove l'innamorata sua fantasia, come rapita in estasi, va specchiandosi nella beltà di Laura, e con questi accenti si sfoga:

     

    Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra,
    Cose sovra Natura altere e nuove.
    Vedi ben, quanta in lei dolcezza piove:
    Vedi lume che 'l Cielo in terra mostra.


    Ancora le seguenti immagini, durante il rapimento del nostro poeta, son leggiadrissime; perciocché tanto è occupata e rapita la fantasia del poeta dalle bellezze di Laura e dalla fervente passione, che ogni cosa verisimilmente le par fatta bella dagli occhi di quella donna, e infin le sembra che la serenità, il riso e lo splendore sieno dall'amato oggetto comunicati al Cielo. E da ciò si scorge che simili rapimenti sono mirabilmente acconci per far concepire ad altrui la violenza dell'amore, del dolore, dello stupore, o d'altri simili affetti, da' quali è agitata la poetica fantasia; come ancora la straordinaria o bellezza, o disavventura, o virtù che ha svegliato sì leggiadri delirii.
    Perché però non è sempre possibile un sì violento affetto, né lice a' poeti l'usar sì spesso cotali rapimenti ed estasi; anzi alcuni altro far non sanno che copiar gli adoperati da' nostri maggiori: un'altra spezie di movimenti accenneremo, che più è in uso e ancor più facile presso a' poeti. Son questi i voli poetici...
    Il Petrarca, le cui nobilissime rime ci hanno per l'addietro forniti di tanti esempi, fia il primo a farneli gustare in pratica. A questo innamorato poeta era pervenuto l'avviso della morte di Laura. Qual battaglia dentro di lui s'accendesse fra la doglia e l'amore, non è difficile a immaginarsi. Fecesi egli dunque a spiegar queste sue passioni colla canzone che è la prima della par. 2. Entra egli con questa vaghissima e tenerissima immagine, parlando ad Amore:

     

    Che debb'io far, che mi consigli,
    Amore Tempo è ben di morire,
    Ed ho tardato più ch'io non vorrei.
    Madonna è morta, ed ha seco il mio core;
    E volendol seguire,
    Interromper convien questi anni rei ecc.


    Continua pure nella seguente stanza a ragionar con Amore, così nobilmente cantando e proponendo le immagini del suo delirio:

     

    Amor, tu'l senti, ond'io teco mi doglio,
    Quanto è il danno aspro e grave;
    E so che del mio mal ti pesa e duole,
    Anzi del nostro, perché ad uno scoglio
    Avem rotta la nave,
    Ed in un punto n'è scurato il Sole.


    Quindi più non badando ad Amore, segue a dire:

     

    Qual ingegno a parole
    Poria aguagliare il mio doglioso stato?


    E immantenente si volge con alquanto sdegno a favellar col mondo, perché seco non pianga:

     

    Ahi! orbo Mondo ingrato,
    Gran cagion hai di dover pianger meco,
    Ché quel bel ch'era in te perduto hai seco.


    Dopo alcuni pochi versi, da me recati di sopra, d'improvviso lascia egli di rampognar il mondo, e si rivolge a sé stesso, così dicendo:

     

    Ma io, lasso, che senza
    Lei né vita mortal, né me stess'amo,
    Piangendo la richiamo:
    Questo m'avanza di cotanta spene,
    E questo solo ancor qui mi ritiene.


    Poscia nell'altra stanza si pone con tenerezza a considerar le bellezze e virtù di Laura.

     

    Oimè, terra è fatto il suo bel viso,
    Che solea far del Cielo,
    E del ben di lassù fede fra noi ecc.


    Nella stanza appresso vola il suo dolore a ragionar con Laura medesima. E tosto, come dimentico di parlar con lei, la suppone lontana. Nella qual riflessione poco fermandosi, di repente passa a quest'altra:

     

    Ma tornandomi a mente
    Che pur morta è la mia speranza viva,
    Allor ch'ella fioriva,
    Sa ben Amor qual io divento: e spero,
    Vedal colei ch'è or sì presso al Vero.


    Quindi corre a ragionar colle donne, teneramente pregandole che vogliano aver pietà di lui. Ecco i suoi nobili sentimenti:

     

    Donne, voi che miraste sua beltate,
    E l'angelica vita
    Con quel celeste portamento in Terra,
    Di me vi doglia, e vincavi pietate;
    Non di lei, ch'è salita
    A tanta pace, e me ha lasciato in guerra.


    Appresso dicendo che si ucciderebbe, se nol ritenesse Amore che gli parla in cuore, passa a narrar le parole medesime che gli sembrano dette da Amore. E finalmente dà commiato alla canzone, raccomandandole il non comparir in parte ove sia allegrezza, e così terminandola:

     

    Non fa per te di star. fra gente allegra,
    Vedova, sconsolata, in veste negra.


    Bellissima senza fallo è .questa canzone, e per ravvisarla tale basta l'aver qualche sapore del buono e conoscenza del bello. Fra le altre bellezze però io spezialmente ammiro e lodo i maravigliosi e leggiadrissimi voli poetici della fantasia trasportata. Nulla poteva meglio, né più naturalmente esprimere, quanto gagliarda si fosse la forza della passione, da cui era sorpreso il poeta.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis