FRANCESCO PETRARCA

  • LA POESIA DEL PETRARCA
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    Autore: Ugo Foscolo Tratto da: Saggio sopra la poesia del Petrarca

     
         

    Il Petrarca era nato per creare con ansietà, e per disperdere nello sconforto le illusioni necessarie al suo riposo: così fu spesso in procinto di annientare perfino le poesie liriche da lui indirizzate a Laura. Neppure ne fa menzione nella sua Lettera alla posterità, quantunque, se non era per queste medesime poesie, gli altri meriti letterari del grand'uomo non sarebbersi ricordati con tanta gratitudine. Cogl'intimi amici si mostra vergognoso di avere adoperato l'ingegno a sollazzo di canterini di frottole e di amanti, lagnandosi che i suoi versi fossero stati troppo largamente sparsi ond'essere ritirati; e dolendosi che talvolta gli fossero stati travisati in parte, e tal altra attribuitigliene di quelli che non erano suoi, e che i cantanti di mestiere faceansi pure gran merito di aver raccolti. Presenta a' leggitori la scusa medesima nel primo sonetto della raccolta, che si risolvette di preparare in vecchiaia, rifiutando le composizioni apocrife, e quelle da lui giudicate indegne di sé.
    Il piacere di rivivere nella sua gioventù, d'incontrar Laura ad ogni verso, di riandare la storia del proprio cuore, e forse la coscienza, che alla fin fine di rado svia gli autori rispetto alle migliori opere loro, indusse il poeta ormai vecchio a dare tal perfezione a' suoi versi d'amore, che non fu mai raggiunta da verun altro scrittore italiano, e ch'ei credeva « non potersi recare più oltre neppure da lui stesso ». Se non si conservassero tuttora i manoscritti, sarebbe impossibile. immaginare o credere le indefesse fatiche da lui sostenute nella emendazione de' suoi versi. Tali manoscritti sono monumenti curiosi, sebbene rechino poco aiuto ad esplorare per quale occulto lavoro la lunga -e laboriosa meditazione del Petrarca avesse sparso ne' suoi versi tutto il nativo incanto di subita ed irresistibile inspirazione...

    Quando alcun pensiero gli occorreva alla mente, ei lo notava in mezzo a' suoi versi così: « Bada a ciò. - Io aveva qualche intenzione di trasporre questi versi, e di fare che il primo divenisse l'ultimo; ma io nol feci in grazia dell'armonia: - il primo allora sarebbe stato più sonoro, e l'ultimo meno, che è contro regola; perché la fine dovrebbe essere più armoniosa che il principio ». Talora ei dice: « Il cominciamento è buono, ma non è patetico abbastanza ». In alcuni luoghi si suggerisce di ripetere le stesse parole, piuttosto che gli stessi concetti. In altri giudica meglio di non moltiplicare i concetti, ma di amplificarli con altre parole. Ciascun verso è rivoltato in più modi; sopra ogni frase e ogni parola colloca spesso modi equivalenti, per poi esaminarli di nuovo; e vuolsi conoscenza profonda dell'italiano, per accorgersi che, dopo tale perplessità scrupolosa, elegge sempre quelle parole che hanno insieme più armonia, eleganza e forza.
    Queste laboriose correzioni fecero pensare, fin da quando il Petrarca viveva, che i suoi -versi fossero opera più da, poeta che da amante. È fuor di dubbio, non essere violentissima quella passione che possiamo descrivere a nostro bell'agio. - Ma un grande ingegno sente più intensamente e soffre più fortemente che altri; e per ciò appunto, quando la forza della passione allenta, egli ne serba più a lungo la rimembranza, e più agevolmente può ridestarsela nell'immaginazione e risentirne gli effetti, e, come parmi, ciò che diciamo potenza d'immaginare sta più che altro nel concorso del forte sentire e delle rimembranze. Così al genio è peculiarmente largita la facoltà di osservare il lavorìo segreto della natura umana in quanto può nel cuor di lui e d'ogni altro; e per essa è fatto capace di descrivere que' sentimenti, e recarli addentro nell'animo d'ogni lettore. L'altro segreto dell'arte del poeta sta nel farci sentire la esistenza per forza di simpatia, ma, mentre esso geme sotto le angosce proprie, cercherebbe indarno di esaminare ciò che svolgesi nel suo o nel cuore altrui; - e i lirici versi che il Petrarca durò trentadue anni a scrivere, possono leggersi in pochi dì. Molte composizioni, non è dubbio, furono concepite ne' momenti che la passione più poteva sopra di lui, ma furono scritte assai giorni, forse assai mesi, e certamente perfezionate assai anni dopo. Il sonetto q.8° della prima parte della sua raccolta fu dettato undici anni dopo fatta conoscenza con Laura:

     

    Or volge Signor mio, il urrdecim'anno,
    Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo.


    Quattr'anni dopo quest'ultima epoca, dettò il sonetto 85°:

     

    Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai,
    Che dì e notte nella mente stanno,
    Risplendon sì ch'al quintodecim'anno
    M'abbaglian più che il primo giorno assai.


    Pel corso di questo e di tutto il prossimo anno compose soltanto undici sonetti; perché il 96° comincia:
    Rimansi indietro il sestodecim'anno e il 97°:

     

    Dicesett'anni ha già rivolto il cielo.


    Così in questi dodici mesi scrisse soli quattordici versi a Laura. E di vero, se la mente di lui non avesse avuto intervalli di calma, egli sarebbe stato inetto a vestire que' concepimenti, e vie più ad emendarli. Che anzi non sarebbe vissuto sì a lungo, o, se vissuto, avrebbe tratto i suoi dì nella irrequietezza e nella oziosità, inseparabili dai turbati sentimenti. L'armonia, eleganza e perfezione della sua poesia sono frutto di lunga fatica, ma i concetti primitivi e l'effetto scaturirono sempre dalla subita inspirazione di profonda e potente passione. Mercé l'attenta lettura di tutti gli scritti del Petrarca, può quasi ridursi a certezza: - che coll'indugiare di continuo nelle stesse idee, e col lasciare la mente pascersi senza posa di sé stessa, l'intero corso de' suoi sentimenti e delle sue riflessioni contraesse un forte carattere e tono; e che, se riusciva mai a rintuzzarli per alcun tempo, essi tornassero con accresciuta violenza; - che, per sedare lo stato irrequieto della mente, egli nel primo caso, corrispondendo co' più intimi amici, comunicasse loro in libero e abbandonato modo tutto ciò che pensava e sentiva; - che quindi riducesse queste narrative con ordine e descrizione migliore in versi latini; - e che all'ultimo le perfezionasse con maggior copia d'imagini e con più arte nella sua poesia italiana, la cui composizione da prima serviva unicamente, come dice più volte, « a divertire e a mitigare tutte le sue afflizioni ».
    Per tal modo ne si fa chiaro il perfetto accordo che regna nella poesia del Petrarca tra natura ed arte; tra l'accuratezza di fatto e la magia d'invenzione, tra profondità e perspicuità, tra passione divorante e pacata meditazione. In tre o quattro versi italiani egli spesso condensa la descrizione, e concentra il fuoco che riempie una pagina delle sue elegie e lettere latine.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis