« Primo poeta moderno »,
dunque, in questo senso che in lui pel primo si vede l'aspirazione a
un'inconseguibile beatitudine nell'amore di una creatura, magicamente
concepita come datrice di perfetta beatitudine; la felicità ricercata nel
sentimento e nella passione, ossia nel particolare non redento
nell'universale ma posto esso come l'universale; con la disperazione e la
malinconia che a ciò segue o s'accompagna, col senso continuo della
caducità e della morte de el disfacimento. Quanti altri gli tennero dietro
in questa via, e con quante variazioni di quel medesimo motivo
fondamentale! Primo infermo di un'infermità che corre attraverso tutto il
mondo e la poesia moderna, e che poi si propagò epidemicamente e si fece
sogno sterminato, spasimo e suicidio nel romanticismo, che si accrebbe- di
tristizia nel postromanticismo o decadentismo, e forse ancor oggi sarebbe
da riconoscere, sotto forme che la celano, in più ravvolti e più astrusi
erotismi, non escluso l'ardore cupo e insaziabile per la Vita, anche essa
del resto magicamente concepita, deità demoniaca. E in questo stato
d'animo, che egli rappresentò e iniziò, il Petrarca, più forse ancora che
nella sua opera di erudito e di umanista e nelle sue ideologie morali e
politiche, è un personaggio storico; perché personaggi storici non sono
soltanto gli uomini che creano ma anche quelli che disgregano, non solo
gli assertori di nuove idee e i fondatori di nuovi istituti e costumi, ma
anche le anime inquiete e diffondenti inquietudine. Come assertore in
senso positivo, il Petrarca potrebbe, per certi riguardi, sembrare
inferiore perfino al suo amico Boccaccio, vindice della natura e del senso
contro l'ipocrisia che li negava a parole, vindice dei diritti della
carne, la quale in effetto, ne ha, in quanto vita che si dice fisiologica,
in quanto sanità e gioia corporale, base delle superiori attività. Il
Petrarca ritrae, invece, il fantastico desiderare, l'irresoluto volere, la
malinconia, l'acedia, che non ha diritti, appunto perché non è un positivo
ma un negativo e, come si è detto, una malattia. Senonché malattie, come
questa che in lui appare, sono processi coi quali, nello sforzo e nel
dolore, l'umanità si affina e si fa maggiore. E al nuovo travaglio si
venne contrapponendo l'azione dei restauratori della sanità, degli
instauratori di una più alta sanità, che furono e filosofi e poeti, i
quali di quel male avevano avuto esperienza diretta o indiretta, in sé
medesimi o negli altri uomini, e si chiamarono, per esempio, Hegel e
Goethe.
Se tale è il contenuto psicologico e la posizione storica della poesia del
Petrarca, il suo accento proprio o il tono del suo canto non si potrebbe
forse adombrar meglio che con quella parola del Carducci, quando, in una
sua ode, richiamando le forme più gentili dell'arte italiana, dice, della
canzone del Petrarca, che, tra i lauri, « sospira ». Sospira: non grida,
non si dibatte violenta, non prorompe irruente; si snoda con leni modi,
con piani trapassi, fluisce senza rumore e rimbombo, è intimamente
musicale...
Tuttavia, come è noto, a questa spontanea disposizione di sentimento e di
stile poetico si univa, nel Petrarca, una vaghezza e un proposito che non
si appagavano del ritrarsi in sé e comportarsi in modo diverso dal vulgo
nemico e odioso, dal vulgo chiassoso, ma volevano l'atteggiamento di chi
ben si distingue e perciò studia, coltiva e osserva l'eleganza del dire. E
tale eleganza, se impone una sorta di ammirazione e suggezione, ed ha una
particolare efficacia oratoria, in certi circoli e rapporti sociali, non
giova parimente al poeta, distraendolo alquanto dalla sua gelosa intimità
e dandogli una compiacenza alquanto diversa da quella gioia per la
semplice forma delle cose, che è pure la gioia dell'artista. Assai sottile
è la distinzione tra arte ed eleganza, tra modi temperati e armonici che
superino l'immediatezza selvaggia e scomposta della passione, e modi
ricercati, che tendano a un distinguersi, per così dire, sociale, tra il
compiacersi nel fantasma poetico e il compiacersi di sé ascoltandosi nel
proprio dire, tra il punto giusto di maturità e il troppo maturo; e
nondimeno la si avverte sempre, anche dove più è sfuggente, dove i due
diversi atteggiamenti, simili in apparenza-, si commischiano o alternano;
e la si accusa, se non altro, col notare un « non so che » di manchevole o
di troppo (che val lo stesso). Il Petrarca era elegantissimo nel suo
verseggiare, proprio come uomo che dell'elegante contegno della persona si
sia fatta una regola da cui non si discosta neppure in casi in cui
dovrebbe dimenticarla o perderla in altra regola e legge più largamente
umana. Era in lui quasi il vezzo o il vizio della sua virtù, del suo senso
eletto della forma poetica. Il De Sanctis, quando dice che nel Petrarca «
l'emozione è rintuzzata, oltrepassata, e non è una forza impetuosa che ti
scuote l'anima, ma una bella faccia che ti diletta l'immaginazione »,
coglie al suo solito, con vivace intuito, il maggior problema dell'arte
del Petrarca...
Eleganza o eccessivo raffinamento stilistico, e introduzione degli
espedienti concettosi e retorici, sono inegualmente distribuiti nelle
varie parti dell'opera del Petrarca; ed è giudizio comune (ben fondato
come sono tali giudizi, risultanti da molteplici osservazioni che elidono
quelle fallaci, e perciò indarno contraddetto da qualche critico) che
nella serie delle rime in vita di Laura abbondino assai più che nella
serie delle rime in morte, e in queste il Petrarca sia maggior poeta.
Nelle prime, egli era legato principalmente a questi due motivi, il
lamento per la crudeltà della donna amata e l'esaltazione della bellezza e
gentilezza di lei, e verseggiò talora per ragioni pratiche, per
complimentosità, per incidenti esteriori, per abito, quasi trattando un
tema, in momenti di freddezza poetica; laddove, nelle altre, fu percorso,
come ben vide il De Sanctis, da una rinnovata e gagliarda commozione, che
ravvivò tutte le antiche e gli rese meno attraente la troppo raffinata
eleganza e meno necessario il soccorso delle acutezze e dei dilatamenti
oratori, potenziando il suo genio e lasciando tuttavia operare il suo
scrupolo di artista.
Anche nelle cosiddette « rime varie », morali e politiche, che gli furono
ispirate da gravi pensieri e accorata sollecitudine, lo stile è più
schietto, la composizione più unitaria, se pure, per la natura di quelle
rime, egli appaia in esse in prima linea, e splendidamente, come vir bonus
dicendi peritus, e secondariamente nella sua intimità di poeta, che
altresì vi si fa sentire. I Trionfi, l'ultima sua fatica, nonostante lo
stento dell'invenzione allegorizzante e della schematica esecuzione, hanno
alcuni tratti assai semplici e commossi, come il ricordo della morte di
Laura e il colloquio con lei dopo la morte quando ella gli scopre il suo
vero sentire, e taluni dei suoi versi più belli (« Vivace amor, che negli
affanni cresce »; « Tacendo, amando, quasi a morte corsi » ; « Che altro
che un sospir breve è, la morte?...). In generale, l'eleganza e
l'artificio non solo non valgono a soffocare nelle sue composizioni la
poesia, male danno risalto e la fanno per contrasto apparire nella sua
forza originale, nel suo vigore gentile.
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